Ricostruire la ricostruzione

I terremoti purtroppo si ripetono, la terra si muove troppo e noi non possiamo o non sappiamo resistere ai movimenti tellurici. Però c’è un altro fatto che si ripete in conseguenza dei terremoti: la immobilità della burocrazia. Quella non si muove mai, non trema, rende tutto più difficile: lungaggini, ritardi, rischi di corruzione, etc. etc.

Tutte le volte ci ricaschiamo. Non vi lasceremo soli. Infatti scattano meccanismi di solidarietà, impegni istituzionali, stanziamenti di fondi. Poi le macerie restano nelle strade, le casette prefabbricate arrivano con il contagocce, scattano indagini, emergono opacità e anomalie procedurali, forse qualcuno vuole speculare, forse altri si sono addormentati. I sindaci dei comuni interessati protestano. La gente dispera del ritorno alla normalità. I politici ammettono ritardi e confusioni. Tutta colpa della burocrazia. Ne siamo proprio sicuri?

Che la nostra pubblica amministrazione rappresenti una palla al piede è noto, che il cattivo funzionamento della macchina pubblica comporti un handicap per il nostro Paese è altrettanto scontato, che nelle pieghe di una burocrazia complessa ed elefantiaca si possano nascondere disgustosi e gravi fenomeni di corruzione è quasi normale, ma che tutto il male venga di lì comincio a dubitarlo.

Posso entrare al bar della politica? Me lo concedo. Come mai quando si organizzano eventi politici di portata internazionale (G7, G20 etc.) o quando si allestiscono manifestazione di portata mondiale (Expo), pur tra mille difficoltà ci si salta sempre fuori con un certo successo? Ricordo, come qualche tempo fa la manutenzione del duomo di Milano sia stata eseguita a tempi di record. Invece, quando si tratta di rimettere insieme i cocci dopo un terremoto, tutto diventa assurdamente lungo. Non ci si salta fuori. Ci sono i soldi, ci sono i commissari, si fanno le leggi ad hoc, la tecnologia non manca, eppure tutto si svolge a fiato d’oca.

In molti, e in diversi tempi, hanno tentato di riformare questo mostro burocratico che ci opprime: non ci si riesce. Però bisogna volerlo! A mio giudizio si tratta (anche e soprattutto) di una seria questione di volontà politica. Sicuramente il nostro assetto democratico è appoggiato comodamente sulla struttura burocratica che lo condiziona e lo imprigiona. Ci siamo liberati dal fascismo, ma non riusciamo a liberarci dalla conservazione degli apparati autoreferenziali ed inefficienti. Chi ci prova , ci lascia le penne. Un insigne ministro   lanciò la spugna, palesando l’intenzione di emigrare negli Stati Uniti (dove peraltro non sono sicuro che le cose funzionino così bene: purtroppo tutto il mondo è paese, lo stiamo vedendo anche in Gran Bretagna e in altri stati europei…). Certo, si tratta di una sorta di rifondazione statuale con tutte le conseguenze del caso. Forse prima, o meglio mentre ricostruiamo le zone terremotate, dobbiamo ricostruire la macchina statale. Bisogna volerlo fare ed essere capaci di farlo. Quante volte nella mia vita professionale ho visto fior di leggi svuotate e smontate dalla cavillosa e statica burocrazia. Quante volte ho constatato, nelle realtà aziendali in cui ho lavorato, che non è sufficiente dare un ordine per risolvere i problemi, bisogna anche eseguirlo, sta tutto lì il difficile. A volte basta poco, a volte non basta nemmeno il molto. La protezione civile deve allargare il campo e diventare protezione dalla burocrazia. Su questa partita ci giochiamo quasi tutto.