I riti e le parodie

Avevo sedici anni circa quando ebbi l’occasione, durante un viaggio premio a Roma, di visitare l’aula di Montecitorio. Ne fui emozionato, quasi intimorito oltre che onorato: pensavo a tutte le vicende storiche che in quel Parlamento si erano dipanate, ai personaggi che l’avevano frequentata da protagonisti e da osservatori, alle discussioni e alle decisioni fondamentali che in essa si erano svolte. Mi trovavo nel tempio della democrazia italiana.

Nei templi si svolgono dei riti, che hanno precisi significati simbologici e che danno un senso al divenire della vita di una società democratica. Anche quello tenutosi a Westminster con il discorso letto dalla regina Elisabetta, per l’inaugurazione della sessione parlamentare dopo le recenti elezioni, aveva un tono ritualistico, ma devo confessare che, pur con tutto il rispetto per una democrazia ultraconsolidata come quella inglese, dava l’idea di una parodia, di una penosa messa in scena. Una Gran Bretagna chiusa in se stessa, fuori dall’Europa, in evidente crisi politica, squassata dal terrorismo e da tragici lutti nazionali, divisa territorialmente, socialmente e politicamente, rappresentata al più alto livello da una vecchietta arzilla proveniente da una famiglia reale piena di umane contraddizioni e di insignificanze sociali. Questa la triste realtà coperta da una cerimonia vuota: un discorso letto in nome e per conto di una premier di cartone, la presenza imbarazzata e ravvicinata dei leader di maggioranza (che non esiste) e di opposizione (che timbra il cartellino), i segni di un sistema decadente con lo sguardo al passato (è stata risparmiata la Corona, sostituita da un sobrio ma ridicolo cappellino), una sfilata regale senza carrozza e forse senza regina (una cenerentola a rovescio che suscita più compassione che ammirazione).

Se devo essere proprio sincero preferisco la pur deplorevole cagnara del Parlamento italiano alla fredda ritualità inglese. Da europeo poi, mi sono consolato leggendo la sintesi del programma del presidente francese Macron, emergente dalla sua prima intervista da Capo dello Stato: l’Europa è l’unico posto al mondo dove le libertà individuali, lo spirito della democrazia e la giustizia sociale si sono unite così tanto; non si tratta solo di applicare politiche a paesi o popoli, bisogna convincerli e farli sognare; l’Europa non è un supermercato, ma un destino comune.

Mi sono riconciliato con la democrazia. Molto meglio queste parole francesi (sono parole ma chissà…) delle insulse pantomime inglesi (sono fatti ripetitivi e antistorici). E poi, se proprio volete che dica la verità, molto meglio Brigitte Macron della regina Elisabetta. Una donna che mi ispira fiducia (il mio femminismo è sempre più spinto), che, come il marito, sa andare contro certe convenzioni, proprio l’esatto contrario dei reali inglesi prigionieri del loro falso perbenismo. Viva la Francia! Lo dico in italiano per non esagerare. Non si sa mai.