I manichini e i manichei

C’è voluto l’ONU per indurre la FIGC a revocare la vomitevole squalifica comminata al calciatore   Sulley Muntari, reo di avere vivacemente protestato con l’arbitro per le offese razziste piovute insistentemente su di lui dagli spalti.

A distanza di pochi giorni, manco a farlo apposta, c’è stata una macabra esposizione di manichini con le maglie e i nomi di alcuni giocatori, impiccati sotto uno striscione che diceva : “Un consiglio senza offesa: dormite con la luce accesa!”.

Non ho scritto volutamente la sede di questi episodi, perché credo siano purtroppo “generalizzabili” a tutto il territorio nazionale. Alla paradossale sottovalutazione dell’episodio di razzismo, forse dovuta anche al fatto che riguardava un giocatore di una squadra poco blasonata e addirittura retrocessa in serie B con largo anticipo sulla fine del campionato, ha fatto da contraltare la scandalizzata reazione all’episodio dei manichini, forse dovuta anche al fatto che la maglia dei manichini era quella di una squadra importante di una città altrettanto importante.

I Ponzio Pilato sono venuti finalmente allo scoperto e i coccodrilli hanno cominciato a piangere. Non so se sia più deplorevole insultare per il colore della pelle un calciatore in carne ed ossa o alludere verbalmente e genericamente a violente esecuzioni sommarie per i nemici della squadra avversaria. Gli addetti ai lavori hanno cominciato il loro rosario di lamentazioni, ostentando sorpresa, incredulità, condanna e scandalo. Meglio questo del silenzio omertoso.

Tuttavia giocatori, allenatori, dirigenti e giornalisti dovrebbero farsi un bell’esame di coscienza: se arriviamo a questi eccessi non è solo per colpa della società, ma delle società (intendo quelle calcistiche) le quali vezzeggiano questi delinquenti, che fanno loro comodo, cassa, scena, sostegno. Il mondo del calcio è inquinato profondamente a tutti i livelli e allora non si può pretendere che i tifosi più accesi si comportino lealmente.

Se il dirigente trucca i bilanci, non paga le tasse, concede assurdi cachet ai giocatori; se l’allenatore si atteggia a deus ex machina e spara stronzate a raffica; se i calciatori si danno arie da salvatori della patria, simulano, scommettono, si fanno pagare in nero, aizzano il pubblico col loro comportamento; se gli arbitri sono direttamente o indirettamente invischiati nei giochi di potere; se i media gonfiano a dismisura gli avvenimenti calcistici   fino a farne una questione di vita o di morte; se tutto assomiglia sempre più ad un carrozzone dove succede tutto e il contrario di tutto e dove l’illegalità e la scorrettezza dilagano; se la violenza negli stadi e nelle immediate vicinanze è la costante delle partite più importanti; se agli ultras viene riconosciuto un ruolo istituzionale con tanto di incontri con giocatori e dirigenza; se gli scandali, dalle scommesse al doping, alle partite truccate, sono la cifra eloquente di un fenomeno che sta degenerando e che non ha più il benché minimo valore e significato sportivo; se tutto questo è vero, è perfettamente inutile piangere sul latte versato o ritenere che la responsabilità sia da ascrivere ai mali della società in generale.

Ognuno cominci a fare seriamente il proprio dovere, senza giocare a scarica-barile e forse qualcosa cambierà. Personalmente questa partita l’ho data persa da tempo, dal calcio mi sono allontanato. Le rare volte che mi lascio coinvolgere, dopo alcuni minuti mi chiedo: cosa sto facendo? Forse sto perdendo tempo o magari sto portando acqua al mulino col rischio di infarinarmi? Spengo il televisore e, se è sera, vado a letto, se è giorno, leggo (evitando scrupolosamente le pagine sportive dei giornali).