Gli spinelli della discordia

Sembra entrata in una fase calda la discussione sulla legalizzazione della Cannabis, la meglio nota marijuana, una cosiddetta droga leggera, bloccata a livello legislativo in Parlamento, sepolta sotto il solito gioco massimalistico (mentre i parlamentari disquisiscono, i clan mafiosi fanno affari), dimenticando che la politica è l’arte del possibile e non la ricerca della perfezione dogmatica (che oltretutto non esiste).
Mi sembra che l’opinione del procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, peraltro molto attento a non trascinare la magistratura in un campo non suo, sintetizzi in modo appropriato e costruttivo la questione: la priorità è la lotta agli imperi criminali; occorre concentrarsi su nuovi, moderni e più efficaci strumenti di attacco alle finanze dei trafficanti; lo Stato, nella sua centralità e in via esclusiva, può occuparsi della coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati, sottraendo spazi di mercato a ‘ndrangheta e camorra o ai clan nord africani, afgani e albanesi.
Il punto critico della questione mi pare però quello dell’impatto eventuale sul consumo soprattutto a livello giovanile: la legalizzazione lo favorisce, è benzina sul fuoco? Le indagini statistiche, effettuate nei sempre più numerosi Paesi anti proibizionisti, sembrano dimostrare che non ci sia un significativo effetto espansivo e ciò costituisce già una realistico elemento di pragmatica e doverosa cautela.
Credo che il punto fondamentale da cui partire sia peraltro ben esposto da Nicola Quadrano, un giudice (ben venga l’opinione dei magistrati quando porta un contributo su problemi scoperti a livello legislativo e che quindi si ripercuotono sull’applicazione della giustizia, dall’impegno delle forze dell’ordine all’intasamento dei tribunali e delle carceri) esperto e impegnato in materia: «Il proibizionismo di fronte a certi problemi sociali, che non si riescono ad eliminare, è la risposta peggiore perché si rinuncia a governarli, rigettandoli nella sfera dell’illegalità e accrescendo l’insicurezza. Se si riporta il tema nella legalità e si regolamenta l’uso delle droghe leggere ciò consentirà di governare il fenomeno».
Anche a livello educativo, proibire qualcosa è sempre un involontario impulso alla trasgressione. Mi si risponderà che il permissivismo può portare alla distruzione: anche questo è vero. Bisogna dosare i due meccanismi e non è facile. Si parla infatti di droghe leggere. Qualcuno sostiene che siano l’anticamera di quelle pesanti. Allora però tutto può essere preludio al peggio: fumo, alcol, frequentazione delle discoteche, etc. etc.
Il problema va affrontato, una buona volta e laicamente, a livello legislativo. Il nodo a livello parlamentare sembra essere se limitare la destinazione della marijuana all’uso terapeutico o allargarlo a quello ricreativo per i maggiorenni. Siamo alle solite pretestuose schermaglie ed ai raffinati distinguo tra depenalizzazione e legalizzazione. Speriamo non ne escano le solite barricate ideologiche culminanti nel consueto compromessone all’italiana.
Fatta la legge fatto l’inganno? L’inganno lo abbiamo già! Proviamo a smascherarlo. Non sopporto il giocare a nascondino dietro i sacrosanti principi finendo con l’ imbalsamare ed incancrenire i problemi: meglio provare pragmaticamente ad affrontarli pagando inevitabili prezzi a livello ideologico. Il resto poi sta nelle contraddizioni della nostra società e qui il discorso si fa grosso e va ben oltre e sta a monte delle droghe leggere e/o pesanti.