Una antica ricetta contro il bullismo

E se tornassimo alle vecchie maniere? Me lo sono chiesto di fronte alle discussioni sul bullismo, che ha trovato addirittura la sua versione informatica, il cyberbullismo. Il progresso è inarrestabile!

Un tredicenne viene riempito di botte da suoi coetanei: “gli fanno l’uomo addosso”, storia vecchia. Suo padre butta la questione in pasto a internet e gli psicologi si scatenano sull’opportunità o meno di postare sui social il volto tumefatto di quel ragazzo. Gli psicologi sono belli come il sole: non si preoccupano delle tumefazioni al volto conseguenza di un prepotente, delinquenziale e gratuito pestaggio, ma di tutelare il volto tumefatto della vittima. Da cosa non ho capito. Meno tutelato di così! Senza motivo viene picchiato a sangue e gli psicologi dissertano se sia o meno il caso di sbattere in faccia al mondo questa triste realtà del bullismo. Bene ha fatto questo padre a tentare di arrivare al punto usando le immagini, dal momento che viviamo nella società delle immagini. Io forse sarei andato per le spicce e avrei affrontato direttamente i genitori di quei bulli facilmente individuabili e raggiungibili per metterli con una certa energia di fronte alla triste realtà.

I carabinieri scoprono i cinque componenti del branco, i responsabili dell’aggressione: sono ragazzi che hanno meno di quattordici anni, non sono imputabili e saranno ascoltati dagli investigatori in presenza dei loro genitori. Un tempo mi risulta che i carabinieri portassero in caserma i protagonisti di queste che un tempo si chiamavano ragazzate e impartissero loro una memorabile lezione a suon di botte per poi rilasciarli e mandarli a casa, laddove il padre completava l’opera con un’altra mano di…bianco.

Detesto la violenza, ma forse quattro scapaccioni, anche cinque, ben dati non farebbero male. Mi auguro che i genitori di questi delinquentelli si assumano le proprie responsabilità e non comincino a scaricarle sulla scuola che non istruisce a dovere, sulla società che non offre momenti di sana aggregazione, sulla parrocchia che non accoglie più i ragazzi e gli adolescenti, sui quartieri che non offrono impianti sportivi, sulla televisione che istiga alla violenza, su internet che distrae dallo studio, sulla politica che non sostiene le famiglie, sui media che snocciolano cattivi esempi.

La digestione si fa in bocca e l’educazione si dà in famiglia. A un caro amico un poco in sofferenza nei rapporti con i figli, lo psicologo di turno disse: «I figli giudicano i genitori da due comportamenti molto precisi: da come si rapportano con il coniuge e da come affrontano il lavoro”. I ragazzi imparano da quel che vedono in famiglia, non tanto da quel che ascoltano.

E quando la pianticella prende una brutta piega bisogna avere il coraggio di drizzarla fin che si è in tempo. Non so cosa faranno i genitori dei bulli, ma se usassero le maniere forti, sarebbero da giustificare, se non addirittura da ammirare. Certo dopo la giusta dose di botte, deve arrivare qualcosa d’altro, perché se il papà, che picchia duro, poi fa il bullo con la moglie, con gli amici, con i colleghi, casca l’asino.

Ammetto che il “mestiere” del genitore sia il più difficile che possa esistere. Non ho esperienze dirette, se non dalla parte di figlio. Mi sembra tuttavia che il ritorno alle maniere forti si imponga. Cosa voglio dire. Bisogna fare sul serio e quando occorre…