Il gioco politico del lotto punta su Lotti

Ho ascoltato con grande attenzione, sgombro da ogni pregiudizio, l’intervento del ministro Luca Lotti in Senato al termine della discussione sulla mozione di sfiducia verso di lui, presentata dal movimento cinque stelle.

La questione si pone a tre dimensioni e livelli. Sul piano giudiziario è in atto un’indagine che, mi pare, non abbia raccolto grandi prove contro il comportamento di Lotti per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento: tutto ruota infatti attorno alla testimonianza di un manager di Stato che avrebbe rivelato di essere stato informato dal ministro dell’inchiesta in atto e della installazione di microspie nel suo ufficio. Della serie “stai attento perché ti stanno spiando nell’ambito di una indagine riguardante episodi di corruzione nelle procedure sulle gare d’appalto adottate dall’azienda di cui sei amministratore delegato”. Il ministro avrebbe avuto queste indiscrezioni da ambienti delle forze dell’ordine, tanto che risultano indagati anche alti esponenti dell’arma dei carabinieri.

La giustizia farà il suo corso. Il ministro Lotti dice di avere fiducia nella magistratura e di collaborare con essa. Nega con assoluta decisione di avere mai e poi mai violato segreti e favorito con informazioni riservate persone coinvolte nell’inchiesta di cui sopra.

Si profila un caso classico di due verità che si scontrano: o sono magari mezze verità oppure una delle due è una falsità. Probabilmente non se ne uscirà. Ricordo come durante un processo tenutosi al tribunale di Parma proprio in materie simili, chiesero al Presidente di procedere ad un confronto fra due persone che si smentivano a vicenda clamorosamente. Il Presidente non ammise alcun confronto, perché sostenne saggiamente che processualmente non serviva a nulla: ognuno avrebbe mantenuto la sua posizione e tutto sarebbe stato teatralmente interessante, ma giudizialmente inutile. Non esistono quindi allo stato motivi che a termini di legge comportino incompatibilità o decadenza dalla carica di ministro. Principio di garanzia che dovrebbe valere sempre e per tutti.

Dal punto di vista politico non vedo sinceramente come si possa dimostrare che sia venuta meno la fiducia sulla base di accuse categoricamente smentite dall’interessato. Siamo, caso mai, nel campo dell’opportunità o meno che un ministro sottoposto ad indagini si dimetta in quanto anche solo il dubbio potrebbe compromettere la credibilità e la trasparenza dell’azione di governo: ecco infatti che i più “smagati” politici, a livello parlamentare, hanno ripiegato su una mozione di richiesta di dimissioni e/o di invito al Presidente del Consiglio a ritirare la delega al ministro. Il secondo discorso fatto in aula dal Ministro è stato proprio questo: dopo aver chiarito la correttezza del suo comportamento anche sul piano politico, ha giudicato meramente strumentale l’attacco, in quanto utilizza solo un dato giuridico provvisorio, e quindi irrilevante, per arrivare in realtà a formulare giudizi politici riguardanti l’azione di governo, della serie “attacco nuora (Lotti) perché suocera (Gentiloni e Renzi) intenda”.

Arriviamo per gradi al piano della sensibilità individuale. Tutto alla fine si risolve lì. Se Lotti cioè ritenga opportuno, pur senza la benché minima ammissione di colpa, farsi da parte per, come si suol dire, agevolare il corso della Giustizia, per potersi meglio difendere, per sgombrare il campo da ogni e qualsiasi ombra sul suo operato e sulla credibilità del governo di cui fa parte. Evidentemente non lo ritiene opportuno né dal punto di vista personale (ammissione indiretta di colpa), né dal punto di vista politico (indebolimento del governo). Altrimenti lo avrebbe già fatto, senza aspettare le inutili e poco credibili spallate degli avversari storici e di quelli anti-storici. Inutile e pretestuosa è la ricerca di analogie col comportamento di altri ministri, in altre situazioni, in altri momenti storici: se si tratta di valutazioni personali e politiche, ogni caso fa storia a sé.

Un’ultima riflessione (in cauda venenum). Pierluigi Bersani avrebbe deciso di presentare, assieme agli amici scissionisti del PD (mi viene spontaneo definirli così, prima o poi mi abituerò a chiamarli col nuovo nome che hanno assunto, vale a dire MDP), una mozione, come detto sopra, che chiede a Gentiloni di ritirare le deleghe a Lotti. Bersani aggiunge con la sua solita lapalissiana verve da bottegaio in pensione: «Qui o ha ragione Lotti o ha ragione Marroni». Deduzione di altissimo spessore giuridico, politico ed etico: ragionamento tendente alla scoperta dell’acqua calda. Forse, effettivamente e tutto considerato, ha ragione Lotti a rimanere al suo posto, anche se io, al suo posto, me ne sarei andato al primo accenno di indagine a mio carico. Ma questo fa parte della mia cronica “dimissionite” e non fa testo.