Deficit comune, mezzo pareggio

Nel ginepraio di percentuali, i cui decimali comportano spostamenti di miliardi di euro come se fossero noccioline, nella sovrapposizione tra manovra correttiva sul bilancio 2017 (3,4 miliardi di tagli alla spesa o di maggiori entrate) da effettuare a brevissimo termine e previsioni sul bilancio 2018 (la Ue prevede un deficit strutturale da ritoccare, si fa per dire, di 18,7 miliardi vale a dire 8,5 miliardi di aumento storico a cui si aggiunge la richiesta di aggiustamento di 10,2 miliardi per rientrare nelle regole e nei parametri previsti), c’è effettivamente da perderci la testa per i cittadini e da lasciarci la faccia per i governanti del nostro Paese.

Sembra tuttavia che la drammatica situazione dei conti pubblici italiani possa migliorare usufruendo per il 2018 di un maxi-sconto dello 0,5% (8,5 miliardi) grazie ai normali margini di tolleranza inseriti nelle regole europee. Resterebbero solo, si fa per dire, 10,2 miliardi da trovare ad ottobre. C’è però una speranza: potrebbe arrivare un altro bonus da 5 miliardi. Come mai tanta generosità in arrivo da Bruxelles? Il motivo riguarderebbe il fatto che per il 2018 una mezza dozzina di Paesi dell’eurozona, i quali dovrebbero risanare in modo robusto i propri conti, sarebbero orientati a chiedere una riforma delle regole della moneta unica, al fine di ottenere la riscrittura della cosiddetta “matrice” dimezzandone le implicazioni. Se ho ben capito (se mi sbaglio, semmai mi corriggerete…), per l’Italia si tratterebbe del dimezzamento della quota da colmare, portandola da 10,2 miliardi a 5,2 miliardi, con un bel sospiro di sollievo per il governo italiano in odore di procedure di infrazione.

Morale della favola: non sono solo gli Italiani gli spendaccioni di turno, hanno altri importanti compagni “di bevute e di scopate”. E allora mal comune, mezzo gaudio, o per meglio dire, deficit comune, mezzo pareggio.

Forse sarà il caso che l’Europa rinunci a queste regole ad elastico, che oltretutto lasciano il forte dubbio di essere molto rigide per gli sfigati e molto morbide per i bulli. In quale categoria rientri l’Italia dipende molto dagli umori dei partner e dai momenti storici. L’Italia continua a chiedere flessibilità per il terremoto, per i migranti, per i giovani, per il risanamento ambientale e strutturale. Forse esagera. L’Europa risponde: abbiamo già dato. Poi arrivano i raccomandati di ferro e i cordoni della borsa tendono a riaprirsi. La scia aperta dai bulletti serve anche agli sfigati.

Mio padre ricordava spesso gli autentici salti mortali che era costretto a fare per entrare al teatro Regio, quando la povertà non gli consentiva il regolare biglietto e bisognava arrangiarsi per non privarsi della impagabile soddisfazione dell’opera lirica. Una sera davano un’opera diretta dal concittadino maestro Podestà. Si misero in due ad aspettarlo davanti all’entrata del palcoscenico, in largo anticipo sull’orario normale (gli artisti sono in teatro un’ora prima dello spettacolo), per chiedergli se avesse potuto farli entrare assieme a lui per poi sgattaiolare in sala e sistemarsi in qualche modo. Dopo aver capito che si trattava di veri appassionati che non avevano effettivamente la possibilità di pagare l’ingresso, acconsentì con la promessa che non sarebbero rimasti in palcoscenico, cosa assolutamente vietata, e avrebbero trovato una soluzione accettabile. Si accodarono al maestro e fecero per entrare, ma il controllore chiese: «Méstor, chi eni chi dú chi?». «Lasa pasär, jen con mi…». Fin qui tutto bene, ma altri capirono l’antifona e si intrufolarono. «Ànca chilù?» chiese l’inserviente. «Sì» rispose il maestro. E la storia si ripetè per altri. Ad un certo punto l’addetto alla portineria chiese spazientito: «Méstor…». Podestà non gli fece neanche finire la domanda e gli rispose senza possibilità di appello: «Mo sì, tùtti…». Conosceva la passione dei suoi concittadini e la loro povertà. Che stia succedendo un po’ così anche a Bruxelles?