Alcuni anni or sono, quando andavo a fare visita ad una mia carissima cugina, ricoverata all’ospedale maggiore di Parma in stato di coma vegetativo, mi capitava di imbattermi, all’entrata, in un gruppetto di donne che recitavano ostentatamente il rosario in riparazione dei peccati riconducibili all’aborto. Mi davano un senso di tristezza e di pochezza. Per non mancare loro di rispetto frenavo l’impulso di interrogarle provocatoriamente: «Ma voi cosa sareste disposte a fare per una donna sull’orlo dell’aborto? Avreste il coraggio di ospitarla in casa vostra? Avreste la generosità di sostenerla economicamente in modo continuativo? Avreste la forza di aiutarla umanamente ad una scelta così difficile rispettandone la sofferta decisione? Sareste disponibili a fare gratuitamente turni di assistenza a questa mia cugina, alleviando la pena di suo marito, costantemente presente al capezzale di una moglie inchiodata nel letto senza prospettive di ritorno ad un seppur minimo livello di funzioni vitali?». Diceva don Andrea Gallo (cito a senso): «Con una ragazza incinta, sola, magari una giovane prostituta, cerco di portare avanti il discorso del rispetto della vita, faccio tutto il possibile, ma se lei non se la sente, se non riesce ad accettare questa gravidanza, cosa devo fare?».
Provocatori interrogativi rimasti nella mia immaginazione. È comodo pregare per o addirittura contro… È facile mettere a posto la coscienza snocciolando una cinquantina di avemaria e…chi ha il problema si arrangi… Ricordo un vecchio frate cappuccino al quale, in confessionale, avevo accusato la colpa di non portare sufficiente pazienza nei rapporti con mia madre gravemente ammalata. Mi disse fuori dai denti: «Guardi, lei deve sforzarsi di assistere sua madre con il massimo della disponibilità. Diversamente, può recitare anche decine di rosari, ma non serviranno a nulla…».
Tutte cose che mi ritornano alla mente in questi giorni in cui sta facendo molto scalpore che la regione Lazio assuma ginecologi non obiettori, a rischio licenziamento nel caso in cui dovessero poi rifiutarsi di effettuare le interruzione di gravidanza.
Sì, perché i ginecologi sono quasi tutti obiettori di coscienza e la struttura pubblica non riesce a far fronte alle necessità, vale a dire non riesce, se non con enormi difficoltà, ad eseguire gli interventi abortivi in base alla legge 194.
Ho le mie idee in materia di obiezione di coscienza: credo che la scelta sia credibile se accompagnata dalla concreta disponibilità ad impegni alternativi. Gli obiettori verso il servizio militare, agli inizi rischiavano condanne penali o dovevano scegliere di trascorrere un tempo lungo nei paesi sottosviluppati; poi venne finalmente la legge che introduceva la possibilità di alternativa col servizio civile.
Il concetto è comunque quello di trasformare l’obiezione di comodo (può essere una comodità anche mettersi in pace con la propria coscienza) in obiezione reale.
Ma dico di più: sinceramente non comprendo come un ginecologo possa rifiutarsi di effettuare un aborto, quando questo intervento si profili come rispettoso della legge, delle sue procedure e della volontà della persona. Siamo certamente di fronte a questioni delicate e drammatiche, ma non aggiungiamo problema a problema.
L’obiezione è comunque legittima e la rispetto, ma quindi è altrettanto legittimo che l’ente pubblico assuma ginecologi non obiettori per far fronte all’emergenza.
L’aborto è certamente una scelta drammatica. Non mi sento però di criminalizzare la donna che, certamente in modo sofferto, decida in tal senso e di colpevolizzarla, né sul piano civile, né sul piano etico, né a livello religioso. Lei, sì, farà i conti con la sua coscienza e chissà quanta sofferenza ne ricaverà. Semmai bisognerebbe sforzarsi di essere più vicini alla donna in procinto di assumere decisioni così delicate.
Persino la Chiesa, a livello istituzionale sta assumendo qualche atteggiamento di comprensione. Abbandoniamo quindi ogni velleità e rispettiamo la coscienza di tutti, anche quella dello Stato laico.
Mi risulta che durante un colloquio tra papa Giovanni Paolo II e monsignor Ilarion Capucci venne presa in considerazione la drammatica situazione di monache stuprate per le quali si sarebbe posta l’eventuale possibilità dell’aborto. Monsignor Cappucci era favorevole ad affrontare con grande flessibilità e realismo questi dolorosi casi. Il papa era drasticamente contrario ad ogni eccezione alla regola antiaborista. Ad un certo punto la tensione salì e il “trasgressivo” porporato chiese provocatoriamente al papa: «Ma Lei Santità crede di essere Dio?». Il papa, probabilmente preso alla sprovvista, non seppe rispondere altro che: «Preghiamo, preghiamo…».
Con tutto il rispetto per l’allora papa credo che pregare sia importante, ma non basti.