La gallina dell’antipolitica

La politica è l’arte del possibile, l’antipolitica è l’azzardo dell’impossibile; la politica è scegliere e mediare fra i diversi interessi in campo, l’antipolitica è sposare indistintamente tutte le proteste e le rivendicazioni emergenti; la politica è governare nel rispetto delle competenze istituzionali, l’antipolitica va oltre le istituzioni viste come la gabbia conservatrice dell’establishment; la politica mostra tutti i suoi limiti ed i suoi difetti, l’antipolitica riesce a minimizzare i propri confrontandoli continuamente con quelli della politica; la politica è vocata alla gradualità delle soluzioni, l’antipolitica propone l’accattivante“tutto e subito”; alla politica non si perdona niente, all’antipolitica si perdona tutto; a Hillary Clinton non hanno perdonato niente, Donald Trump può dire e fare tutto quel che vuole e va bene lo stesso; a Fillon non perdonano lo scandalo del “tenere famiglia”, la Le Pen non fa una piega rispetto alle accuse di avere approfittato dei fondi europei; a Ignazio Marino non perdonavano nemmeno i parcheggi in sosta vietata, Virginia Raggi viene comunque continuamente assolta dalle incredibili “manchevolezze” emergenti dalla sua sindacatura; la legge elettorale varata nel periodo di governo renziano è stata letteralmente massacrata da tutti, nessuno ricorda la porcata di Calderoli, illustre collega di quel Salvini che si erge a interprete autentico del popolo. Potrei continuare all’infinito.

Mi si dirà: ma allora in politica le cose vanno bene? Purtroppo no. Infatti non si riesce a capire se nascano prima i difetti della politica o le intemperanze dell’antipolitica. È un po’ la solita questione dell’uovo e della gallina. Certo che quando uno è disperato tende ad affidarsi a chi gli fa qualsiasi promessa, quando uno sta affogando si attacca dove può. Bisogna però avere la freddezza di uscire da questi atteggiamenti puramente emozionali, per ritrovare la razionalità. So benissimo che si ragiona molto meglio a pancia piena: persino in campo religioso vale questa regola, tanto che papa Giovanni XXIII evidenziava l’assurdità del proporre le alte convinzioni esistenziali a chi muore di fame. Però bisogna stare attenti a chi si limita ad accarezzarci la pancia senza darci la possibilità di riempirla.

Quando la politica non trova il filo della matassa, anzi la aggroviglia sempre più, ha buon gioco chi supera la matassa e punta il dito verso la maglia già fatta. Non hanno tutti i torti i Grillini quando, di fronte a certi loro balbettamenti, puntano il dito contro i pulpiti screditati da cui vengono le prediche. Prendiamo la questione dello stadio di Roma: è indubbio che i pentastellati ci stiano facendo una figura di merda, ma tendono a rilanciare la cacca contro chi nel tempo ha speculato e cementificato a più non posso, a Roma e altrove.

Da questo dialettico giro vizioso occorrerebbe uscire in fretta, mentre invece ci stiamo impantanando sempre più. Prendete la vicenda della scissione del PD: è un perfetto assist all’antipolitica, l’inconcludenza della politica che apre le porte al populismo.

Proviamo a guardare, nel controluce di questi ragionamenti, al dubbio “atroce” delle elezioni subito o alla scadenza naturale: è meglio lasciare spazio alla necessità di governare i tanti problemi che ci angustiano o è meglio cercare in fretta una (ri)legittimazione popolare per poi meglio governare? Al riguardo l’antipolitica non ha dubbi, la politica ne ha troppi.

La sinistra ha certamente le maggiori responsabilità nel (com)battere antipolitica e populismo. Mi viene sempre spontanea una similitudine: se devo fare un sacrificio per trovare la quadra nel mio bilancio è più probabile che sia disposto ad ascoltare i richiami e i consigli di un mio parente stretto piuttosto che quelli dell’inquilino della porta accanto. Ma se il mio consanguineo tace o fa solo confusione o addirittura scappa, allora non do retta a lui e nemmeno all’inquilino, vado in strada e mi metto nelle mani del primo che passa e me la sa raccontare.

Forse sto facendo solo confusione: ce n’è già tanta. Mi fermo e chiedo umilmente scusa.