A puttane con Robin Hood

La Flat tax, tassa forfetaria, è un sistema fiscale proporzionale ad aliquota costante. La Costituzione Italiana all’art. 53 recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Mi sembra che il contrasto sia piuttosto evidente e quindi i casi sono due: o chi propone la flat tax fa una delle tante promesse da marinaio, oltre tutto assai problematica a livello di quadratura dei conti pubblici, oppure intende stravolgere lo spirito e la lettera della Costituzione. Ci si è strappate le vesti per molto meno in occasione delle riforme costituzionali sottoposte al referendum di fine 2016.

Il ragionamento (?) di quanti inseriscono questa novità nel programma elettorale si basa su due discorsi: pagheremo tutti meno tasse e le faremo pagare a quanti non le pagano (ammorbiditi nel loro intento evasivo); meno tasse, più investimenti, più sviluppo economico, più lavoro, più benessere.

Il primo punto sembra una versione ancor più demagogica del famoso intento di Robin Hood “togliere ai ricchi per dare ai poveri”. Si tratterebbe, detto come va detto, di togliere ai poveri per dare ai ricchi. Il mondo cambia, le regole vanno riviste, ma i ricchi e i poveri ci sono ancora e non riesco a capire come si possa mescolarli in questa equivoca ricetta tributaria.

Il secondo punto assomiglia molto alla storiella della ricottina sulla testa della contadinella illusa di diventare regina: la consequenzialità economica miracolistica finisce nel nulla realistico del “chi ha dato ha dato”.

Si tratta della più grossa “balla elettorale” mai ascoltata. Temo che gli Italiani possano cascarci: nel 1994 e seguenti pensarono ingenuamente (?) che votare per un soggetto capace di arricchirsi in proprio avrebbe garantito una politica capace di arricchire tutti. Se è stato bravo nel costruire una ricchezza per sé, lo sarà anche per noi… Provare per credere. La prova diede esiti disastrosi.

Oggi il meccanismo si ripete: un soggetto, che è stato fra l’altro condannato per frodi fiscali ed a cui viene conseguentemente inibita l’assunzione di cariche pubbliche, propone di pagare tutti meno tasse. Provare per credere.

Mi aspetto che prima della fine della campagna elettorale Silvio Berlusconi proponga un bunga-bunga generale: se lui se l’è saputa spassare, perché noi no? Provare per credere.

Il discorso, a giudicare dai sondaggi, è paradossale fino a mezzogiorno.

Un simile personaggio, in discreta compagnia con gli estremisti della sua parte, sta quadrando il cerchio del centro-destra: tu dai l’europeismo a me, io do a te meno tasse e più pensioni. Alla fine andremo tutti a…puttane.

 

 

30/01/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

2Samuele 18,9-10.14.24-25.30-19,4; Salmo 85; Marco 5,21-43.

 

Riflessione personale

 

Continuiamo a leggere le disavventure del re Davide. Il figlio Assalonne, che lo tradiva cospirando contro di lui, muore a causa di un incidente, ma soprattutto per la sbrigativa vendetta dei “solerti” seguaci del re. Davide non tira un sospiro di sollievo per essersi liberato di uno scomodo concorrente, ma piange e fa lutto e la sua vittoria in quel giorno si cambia in lutto per tutto il popolo. Viene spontaneo fare un parallelismo con la vicenda di tutti noi, uomini, figli-degeneri di un Padre, che piange per le nostre disgrazie pur dovute alla nostra cattiveria: Dio non può e non vuole bloccare la nostra libertà di tradirlo, ma ne soffre immensamente al punto da sacrificarsi per noi nel suo Figlio. Ci possiamo anche stupire della tremenda sofferenza a cui viene sottoposto Gesù. Non poteva il Padre trovare un modo meno cruento per salvarci e redimerci? Evidentemente sono talmente gravi le nostre malefatte ed è tanto forte il Suo dolore per i nostri assurdi comportamenti da giustificare un sì grande sacrificio redentivo. A estremi mali, estremi rimedi.  “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”: con queste parole ci scusa il Figlio di Dio, dopo che noi lo abbiamo messo in Croce. Ci vuole evitare persino i sensi di colpa. Il grande Avvocato chiede la nostra assoluzione per totale incapacità di intendere e di volere, ma, siccome non siamo incapaci ma cattivi, sconfigge e cambia sulla sua pelle la nostra cattiveria in amore. Più di così…

Amarcord Carlo Buzzi

La inevitabile bagarre pre-elettorale sulle candidature a deputato e senatore mi porta inevitabilmente ad aprire il libro dei ricordi per andare alla fulgida pagina del mio unico e grande leader politico: Carlo Buzzi.

Fu deputato prima e senatore poi per lunghi anni. Ricordo l’entusiasmo con cui aveva accettato l’ultima candidatura: era contento come se fosse la prima volta che provava ad entrare in parlamento. Ebbi occasione di percorrere insieme a lui un tratto della centralissima Via Mazzini e fra i tanti saluti cordiali che raccoglieva ve ne fu uno molto significativo, che recitò più o meno così: “Non preoccuparti Carlo se sei in parlamento da tanti anni, le persone come te è meglio che ci rimangano, magari per tutta la vita”. A dimostrazione che le regole dei due mandati e roba del genere lasciano molto a desiderare: dipende sempre tutto dal valore e dallo spirito di servizio della persona.

Quando venne il momento accettò l’esclusione con grande eleganza. Qualcuno disse che non era stato capace di creare un ricambio, che aveva personalizzato troppo la leadership: le solite cavolate dei grilloparlanti. Buzzi, lo dico per esperienza diretta, non ha mai chiuso od ostacolato la carriera politica a nessuno, semmai a volte eccedeva nel mettere in discussione la sua leadership. In questa città, che dorme fra due guanciali, nessuno è stato in grado di raccogliere il testimone di Buzzi.

La fine della sua vita parlamentare – dovuta a calcoli politici faziosi (un ostacolo in meno per l’imperante doroteismo democristiano e non) o a considerazioni socio-politiche di maniera (ricambio generazionale) – fu un fatto molto negativo per la politica parmense e non solo parmense e fu sostanzialmente per me la fine dell’impegno nella D.C. e nella sinistra D.C., preludio all’abbandono del partito allorquando si instaurò la segreteria nazionale di Arnaldo Forlani: ero stato facile profeta di un degrado del partito democristiano che portò alla debacle.

Ma vorrei spingermi oltre per ribadire, quasi con spietatezza, l’essenzialità della leadership buzziana nella sinistra D.C. parmense: riconosco come il suo tramonto abbia segnato la fine della sinistra DC a Parma, la sua perdita di mordente e di incisività, il suo sostanziale snaturamento, il suo inserimento in una linea di moderatismo possibilista e perbenista, rispettabile ma assai lontano dalle sue spinte ideali.

Ammetto di vivere queste memorie con tanta nostalgia, ma anche con rinnovata, seppur problematica, fiducia nella politica intesa come servizio. Le candidature vanno scelte e sostenute in base a questo criterio: un mix tra competenza, preparazione, esperienza, dedizione, impegno, senso politico, capacità di legiferare. A pelle e senza sottovalutare i profili delle candidature emergenti, credo siano volte più a stupire che a “servire”: ricordiamoci che il Parlamento non è un’accademia scientifica e nemmeno una passerella di big della cosiddetta società civile: non è detto infatti che un luminare della medicina sia capace e disponibile ad organizzare la sanità, che un grande giornalista riesca a garantire un sistema informativo autenticamente democratico, che un importante magistrato sappia riformare la giustizia e via discorrendo. Non voglio fare un assist agli ignoranti, ma ai candidati disponibili a rimboccarsi le maniche senza inutili protagonismi ed eccellenze fini a loro stesse.

Al di là del sistema elettorale, che forse non incoraggia ad una scelta oculata delle persone da mandare in Parlamento, bisogna sforzarsi di partire proprio dalle persone, che vengono prima dei partiti, nonostante siano questi ultimi, come prevede la Costituzione, a concorrere democraticamente a determinare la politica nazionale. Non mi stupiscono le code polemiche rispetto alle scelte operate all’interno dei partiti: non c’è metodo selettivo che tenga…. D’altra parte meglio la polemica per i troppi candidati che il conformismo sui pochi: direi quindi “molti, ma buoni”.

Ho iniziato ricordando il mio padre-politico, finisco con mio padre a tutto tondo. Devo dire ad onor del vero che non ebbe mai in tasca tessere di partito: da quanto diceva al riguardo ho dedotto che non fosse assolutamente una scelta qualunquistica, ma al contrario un modo per mantenere intatto il suo incontenibile spirito critico e per dare sfogo al suo libero pensare. Non era fatto per il gioco di squadra, non accettava schemi precostruiti, non era un militante. Temeva (aveva quasi un complesso al riguardo) i fanatismi, forse perché ne aveva visti troppi, e quindi riteneva di non rischiare non aderendo ad alcun partito politico. Questo non gli impediva di elaborare le proprie scelte, di esprimere le proprie idee e di partecipare al voto (cosa che aveva fatto con coraggio anche con gli addomesticati referendum del regime fascista, votando regolarmente “no”). Critico sempre, ma non disfattista, anzi. Forse a chi fa tante storie sulle candidature calate dall’alto e sulla tendenza all’astensione dal voto, risponderebbe alla sua maniera: “ As fäva prima ai temp dal fascio e in Russia, it devon la scheda dal sì e basta! “.

 

29/01/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

2Samuele 15,13-14.30; 16,5-13; Salmo 3; Marco 5,1-20.

 

Riflessione personale

 

Il re Davide si dibatte tra la ragion di Stato e le ragioni del suo Dio: tradimenti e vendette scandiscono la vita del suo regno in contrasto perenne con la volontà di un Dio giusto che lascia intravedere la legge del perdono. I Gerasèni, contemporanei di Gesù, mettono le loro ragioni economiche prima della sua azione salvifica. Meglio difendere l’allevamento dei porci (morti affogati per essere diventati lo strano rifugio di una legione di demoni) e lasciare gli indemoniati al loro destino: gli fanno capire che è opportuno un suo allontanamento da quel territorio. Il Vangelo è il più bel libro mai scritto, Gesù il più grande uomo di tutti i tempi fin tanto che non vengono toccati i nostri interessi. Diversamente tutto viene accantonato. Il vero indemoniato non è il Geraseno liberato e guarito, ma i suoi conterranei prigionieri di una mentalità chiusa. Anche la nostra fede è spesso indemoniata dall’opportunismo, dal formalismo, dalle convenienze e dalle convenzioni. Anche noi tendiamo, come i Geraseni, a fare i nostri porci comodi.

La clonazione delle scimmiette e…di Mimì

Ambarabà ciccì coccò tre scimmiette sul comò che facevano l’amore con la figlia del dottore, il dottore si ammalò, Ambarabà ciccì coccò. La filastrocca si presta ad introdurre un commentino etico alla sbandierata novità scientifica della clonazione delle scimmiette, dopo quella delle pecore.

Da una parte questi fatti, come ha detto il teologo e scrittore Vito Mancuso, ci rendono orgogliosi delle conquiste scientifiche di cui siamo capaci, dall’altra ci deve preoccupare l’uso che sapremo fare di queste scoperte, rischiando purtroppo di prescindere da qualsiasi limite etico.

Non dobbiamo avere paura della scienza vivendo in modo oscurantista la sua evoluzione, ma stiamo attenti a ritenerci onniscienti e onnipotenti: più progrediamo nella conoscenza e più dovremmo capire i nostri limiti. Abbiamo in mano degli strumenti importantissimi che ci impongono di rispettare ed utilizzare al meglio la natura e non di stravolgerla. Ci sentiamo forti, intelligenti, capaci di tutto e tendiamo conseguentemente a sovrapporci a quanto circonda la nostra vita.

Questo avviene in campo scientifico, ma anche, ad esempio, in quello artistico. Rai cinque, il canale televisivo culturale, con una sorta di lapsus freudiano, ha annunciato la messa in onda di Bohème come opera di Graham Vick: ho fatto un salto sulla seggiola e mi sono precipitato su internet per verificare questo strano annuncio. Non mi risultava infatti che esistesse un tale compositore e tanto meno una sua opera lirica intitolata Bohème. Sono rimasto a quella di Giacomo Puccini.

Mi ci è voluto poco a capire che trattavasi del regista a cui veniva attribuita la Bohème andata in scena con successo al teatro comunale di Bologna: una rappresentazione piuttosto “innovativa”. Dopo qualche incertezza ho seguito la trasmissione, incerto tra il seguirla chiudendo gli occhi o ad occhi sbarrati: ammetto infatti, come già scritto ripetutamente, di non sopportare queste fastidiose ed inutili operazioni pseudo-culturali. Ogni tanto, mi chiedevo, ma cosa sto guardando? Ad un certo punto ho gettato la spugna e me ne sono andato sconsolatamente a letto.

Cosa c’entra la Bohème di Vick con le scimmiette clonate: non so, ma mi è venuto spontaneo fare questo ardito parallelo. Stiamo forse sovvertendo il nostro patrimonio con l’intento di sfruttarlo a fini quanto meno discutibili ed equivoci? Stiamo perdendo il senso della misura in nome della novità a tutti i costi?

Tra l’altro esiste il rischio di dare fiato alle trombe reazionarie a cui non voglio minimamente unirmi. Stiamo attenti a non esagerare perché ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria e alla fine si salvi chi può.

Cloniamo le pecore, poi le scimmie, poi arriviamo a clonare anche Puccini, facendolo diventare quello che noi vorremmo fosse? Ricordo con emozione, in uno sceneggiato Tv sulla vita del compositore, come lui piangesse sulle creature femminili delle sue opere o come chiedesse conto incredulo di certi fiaschi subiti alle prime rappresentazioni. Non penso potesse minimamente immaginare che le sue opere avrebbero un giorno rischiato di essere clonate da scenografi e registi senza troppi scrupoli.

 

28/01/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Deuteronomio 18,15-20; Salmo 94; 1 Corinti 7,32-35; Marco 1,21-28.

 

Riflessione personale

 

Mia madre, così come era rigorosa ed implacabile con gli anziani, era portata a giustificare chi delinqueva, commentando laconicamente: “Jén dil tésti mati”. Allora mio padre, in un simpatico gioco delle parti, ricopriva il ruolo di intransigente accusatore: “J én miga mat, parchè primma äd där ‘na cortläda i guärdon se ‘l cortél al taja.  Sät chi è mat? Col che l’ätor di l’à magnè dez scatli äd lustor. Col l’é mat!”.

Matti o delinquenti? Indemoniati o malati mentali? Poco importa! Gesù li guarisce, ci guarisce tutti. Non tanto coi miracoli, ma col miracolo dei miracoli che è la sua morte in Croce. Quando abbiamo qualche grosso problema proviamo a pensare a Lui, quando ha detto, prima di morire, “tutto è compiuto”. In quel “tutto” ci sta sicuramente anche la nostra sofferenza, c’è l’antidoto ai nostri mali: non spariscono, ma trovano una spiegazione, l’unica possibile.

Magra consolazione? Quando qualcuno definiva assurda ed illusoria la risposta della fede ai misteri della vita, della morte e dell’aldila’, mio padre, che peraltro non era un cattolico praticante, era solito rispondere: “Alóra, catni vùnna ti !!!”.   

La storia non ha cimitero

Nella mia famiglia si arrivava anche a parlare del referendum Monarchia-Repubblica nell’immediato dopoguerra. Chiedevo conto ai miei genitori del loro comportamento. Entrambi non nascondevano il loro voto: mia madre aveva votato monarchia, mio padre repubblica. Nel 1946 vivevano insieme da dodici anni, ma ognuno, giustamente, manteneva le proprie idee politiche e le esprimeva liberamente. Mia madre così giustificava la sua difesa dell’istituto monarchico: «Insòmma, mi al re agh vräva bén!». Non un granché come motivazione politico-istituzionale, ma mio padre non aveva nulla da eccepire. Taceva. Io non mi accontentavo e, da provocatore nato, chiedevo: «E tu papa? Cos’hai votato?». Rispondeva senza girarci attorno: «J’ ò votè Repubblica!». Allora mia madre controbatteva che comunque l’opzione repubblicana vinse con l’aiuto di brogli elettorali. A quel punto mio padre si chiudeva in un eloquente silenzio e aggiungeva solo: «Sì, a gh’é ànca al cäz, ma…». Mia sorella invece girava il coltello nella piaga e rivolta polemicamente a mia madre diceva: «Il re, bella roba! Ci ha regalato il duce per vent’anni, poi, sul più bello, se l’è data a gambe. E tu hai votato per il mantenimento di questa dinastia?». Papà allora capiva che la moglie stava andando in difficoltà, gli lanciava la ciambella di salvataggio e chiudeva i discorsi con un: «J éron témp difìcil, an e s’ säva niént, adésa l’é tutt facil…».

Questo bel quadretto familiare è tornato d’attualità allorché le ceneri di Vittorio Emanuele III sono rientrate in Italia con abbondante coda polemica. Nel serrato dialogo che ho fedelmente riportato c’è tutto. L’importante infatti non è tanto la collocazione della salma dell’allora Re d’Italia: non ho niente contro il fatto che le ceneri possano riposare in un cimitero italiano. Paradossalmente parlando, non mi sconvolse nemmeno tanti anni fa la fuga del boia nazista Herbert Kappler, aiutato dalla moglie e da qualche compiacente guardiano: andò a morire nel suo letto e la pietà non va negata a nessuno.

La cosa fondamentale è il non confondere la pietà con il revisionismo storico: sul passato non si deve mettere una pietra considerandolo alla stregua di una notte in cui tutti i gatti sono bigi.   Vittorio Emanuele III ha enormi e gravissime responsabilità per le catastrofi vissute dal nostro Paese, che non possono essere coperti da un non meglio precisato sentimentalismo monarchico. Se al sorgere del fascismo si può ipotizzare che il re sia stato preso in contropiede – ammesso che sia stato un errore di sottovalutazione tale comunque da comportare una frettolosa abdicazione se non addirittura un cambio di forma statuale – non si può certo parlare di errore per quanto concerne le leggi razziali, per non parlare di tutto quanto successe durante il ventennio, sotto i suoi occhi foderati dal ridicolo prestigio coloniale.

Mio padre, non per eludere, ma per sdrammatizzare il giudizio su Vittorio Emanale III, utilizzava un aneddoto piuttosto simpatico. Nella sua compagnia esisteva un amico dotato di una testa grossa. Per deriderlo bonariamente gli amici osservavano ironicamente: «Se ti a t’ fiss al re, pr’i frànboll, con la tò tésta, agh’ vriss un fój da giornäl…».

 

27/01/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

2Samuele 12,1-7.10-17; Salmo 50; Marco 4,35-41.

 

Riflessione personale

Dio è capace di sedare le tempeste, quelle che scoppiano nel nostro animo e portano a macchiarci di gravi colpe. Successe al re Davide, che seppe ravvedersi. È successo e succede anche a me. Mia madre vedeva i miei errori, ma non interferiva, forse in cuor suo riteneva che fosse necessario sbagliare per poi ravvedersi e migliorarsi: il percorso è quasi obbligato. Ecco perché nel libro a lei dedicato le ho indirizzato la seguente preghiera: “Non stancarti di pregare per me, ne ho un bisogno indicibile, più passa il tempo e più me ne rendo conto. Senza di te tutto è più difficile, è diverso, ma mi hai promesso di non dimenticarmi e tu le promesse le hai sempre mantenute, eri una donna di parola. Ora puoi liberamente intrometterti, non l’hai mai fatto su questa terra e ti sono oltremodo grato di avermi lasciato sbagliare da solo, ma adesso è diverso e non posso più sbagliare, sono certo che tu non me lo permetterai e perciò meriti un grande bacio”.

Il fascismo non ebbe meriti

Ricordo i rari colloqui tra i miei genitori in materia politica: tra mio padre antifascista a livello culturale prima e più che a livello politico e mia madre, donna pragmatica, generosa all’inverosimile, tollerante con tutti. «Al Duce, diceva mia madre con una certa simpatica superficialità, l’à fat anca dil cozi giusti…». «Lasemma stär, rispondeva mio padre dall’alto del suo antifascismo, quand la pianta l’é maläda in-t-il ravizi a ghé pòch da fär…».

La colorita analisi paterna sul fascismo ha trovato un puntuale e definitivo riscontro nelle parole del Presidente Mattarella in occasione della celebrazione della giornata della memoria, vale a dire nel giorno in cui si ricordano in modo particolare le vittime della persecuzione contro gli Ebrei. Riprendo una breve sintesi dell’intervento che andrebbe centellinato e metabolizzato dai cittadini italiani: “Basta revisionismi. L’Italia deve ammettere le sue colpe. Il fascismo non ebbe meriti. Le leggi razziali sono una macchia infamante per il nostro Paese che, tutto e con rarissime eccezioni, si voltò dall’altra parte e divenne complice dello sterminio degli Ebrei”.

Il giudizio inappellabile e definitivo, lanciato molto opportunamente dal Capo dello Stato, consente di chiarire tre equivoci di fondo, che traspaiono, seppure in filigrana, dalla rivisitazione piuttosto ammorbidita della nostra storia e che, talora ne condizionano l’interpretazione autentica.

Il primo riguarda il giudizio sul fascismo che avrebbe fatto cose buone salvo poi rovinare tutto con le leggi razziali e con l’entrata in guerra al fianco dei nazisti. Non si arriva per caso a queste sciagurate scelte: di un percorso non può essere sbagliato solo l’arrivo, ma anche e prima di tutto la partenza e la percorrenza.

Ricordo un simpatico amico che raccontava di avere incontrato un suo conoscente sul sentiero che porta al rifugio Ciampedie in Val di Fassa, con tanto di ciabatte ai piedi. Quando ci incontravamo non poteva mancare l’eloquente battuta: «Al Ciampedie col savàti…». Se uno parte per una escursione in alta montagna deve scegliere l’abbigliamento adatto, deve conoscere il sentiero giusto, deve fare le opportune soste per recuperare le energie, deve concentrarsi sulla meta da raggiungere, non deve distrarsi, deve farsi accompagnare da una guida che lo consigli e lo rassicuri. Se non pone queste premesse e poi sbaglia strada e si perde o, nella peggiore delle ipotesi, precipita in un burrone, non può imprecare alla mala sorte, incolpare l’andamento atmosferico, rammaricarsi di aver messo un piede in fallo all’ultimo minuto.

Così come non potrà scaricare la colpa sulla guida che non conosceva il percorso o ne ha scelto uno rivelatosi totalmente errato. Il fascismo ha sbagliato ad allearsi con il nazismo, dicono alcuni sempliciotti, più o meno in buona fede. E con chi doveva allearsi, visto che sul piano storico ed ideale il fascismo era stato ispiratore del nazismo?

Mio padre spesso si lasciava andare a sintetizzare la parabola storica di Benito Mussolini, usando questa colorita immagine: «L’ à pisè cóntra vént…». Chi si comporta così non può pensare di uscirne asciutto e pulito…

Il secondo equivoco riguarda l’assegnazione della colpa del razzismo contro gli Ebrei al regime fascista, come se questo fosse stato calato dall’alto, come si fosse trattato di un evento imprevedibile ed inevitabile. Ci sono dietro appoggi, convenienze, omertà, complicità, opportunismi. Quanta gente con un po’ più di coraggio avrebbe potuto evitare o rimediare a certi orrori accaduti!

Il terzo errore storico è quello di riportare la responsabilità totale e globale della strage ebrea al nazifascismo. Certamente la culla dell’antisemitismo è stata la Germania, accompagnata dall’Italia. Ma quante nazioni sono state a guardare! Quante istituzioni si sono barcamenate (Chiesa cattolica compresa)! Quanti Paesi non hanno voluto ospitare gli Ebrei che fuggivano dalle persecuzioni. E tutto in base al solito e attualissimo ragionamento, propedeutico a tutti i razzismi, del “prima veniamo noi e vengono i nostri interessi, poi, caso mai…”.

Ci riscattano da tante responsabilità storiche tutti coloro che ebbero il coraggio di ribellarsi e di rischiare, andando contro corrente, sacrificando la propria vita, aiutando gli ebrei e quanti erano perseguitati dal regime. La Costituzione Italiana parte da loro, ecco perché è così bella!

26/01/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

2Timoteo 1,1-8; Salmo 95; Luca 10,1-9.

 

Riflessione personale

 

Paolo, nella sua seconda lettera a Timoteo, ricorda la fede della nonna e della madre di questo suo diletto figlio. È infatti molto importante e impegnativa l’eredità religiosa che ci portiamo dietro. Nel mio caso ho potuto contare su una madre che mi ha trasmesso una fede semplice ma granitica ed una sorella maggiore che mi ha fatto da battistrada e da esempio sulla via della partecipazione convinta ma critica alla vita ecclesiale. Alla mia nascita fui chiamato Ennio come lo zio sacerdote, al cospetto del quale, ormai morente dopo lunghe e tremende sofferenze patite con esemplare senso oblativo, fui battezzato, mentre la zia suora mi porse in fasce al bacio di benedizione di colui che sarebbe diventato il mio santo protettore.

Poi ho goduto dell’insegnamento e della testimonianza di parecchi discepoli del Signore (sacerdoti, educatori, maestri, amici).

Se con queste premesse mi dovesse capitare di precipitare nel regno degli inferi, vorrà proprio dire che ce l’avrò messa tutta di mia spontanea volontà.  Speriamo bene.