Il rispolverato armamentario fascista

Scrive un lettore di Jesus, il mensile edito dai Paolini, a commento di un’analisi del giornale: «Il solito vizio catto-comunista di tacciare per fascisti e razzisti quelli che cercano di ragionare sull’attuale invasione degli immigrati, invasione tollerata in vista di un voto domani, diciamolo chiaro».

Mi chiedo: dove sono e chi sono coloro i quali cercano di ragionare sugli immigrati? I politici che di questo argomento fanno una bandiera non ragionano, ma seminano solo paura e intolleranza. Ad essi rispondono manifestazioni razziste, blitz squadristi e aggressioni verbali e fisiche, che si sono ripetute con crescente frequenza in questi mesi, nelle grandi città come nelle piccole realtà di provincia. A Macerata siamo arrivati ad un episodio di autentica delinquenza accompagnata da una tragica nostalgia fascista. Si scende in strada e si spara a casaccio contro gli immigrati, sbandierando il tricolore, ripetendo saluti fascisti, richiamando parole d’ordine e simboli razzisti: un’iniziativa molto probabilmente di carattere individuale, che costituisce tuttavia l’ennesimo sintomo di un pericolosissimo malessere socio-culturale, la conseguenza clamorosa, e speriamo isolata, di un modo di pensare molto più largo e condiviso di quanto si voglia far credere.

Secondo il segretario della Cei Nunzio Galantino, quando si arriva alla violenza, magari perpetrata in gruppo e programmata, ridimensionare il tutto a “ragazzate” non è più accettabile.

Non dobbiamo retrocedere a pura follia folkloristica la punta dell’iceberg di un autentico vento autoritario, antisemita e xenofobo. che sta riciclando il grande arsenale propagandistico della paura del comunismo, che almeno una ragione politica ce l’aveva, in un armamentario anti immigrati.

Il mensile Jesus, a cui ho volutamente fatto riferimento, intitola così una sua lucida e coraggiosa inchiesta: “Fascismo, rinascita di una tragedia?”. Non credo si tratti di allarmismo, non penso si stia esagerando con i fantasmi del passato, non ritengo si tratti di vizio catto-comunista: certi fenomeni vanno aggrediti subito, senza tentennamenti e indulgenze, anche perché sono espressione, seppure impazzita, di un diffuso sentimento anti-immigrato basato oltre tutto su dati fasulli e analisi “farlocche”.

Ma il mensile Jesus suona un allarme che riguarda anche il mondo cattolico: le organizzazioni cristiane impegnate con i migranti sono tra gli obiettivi delle azioni squadriste, mentre gruppi di destra si stanno avvicinando alle frange ultratradizionaliste. Le pulsioni reazionarie che rimproverano a papa Francesco la sua posizione sui migranti, non sono numericamente consistenti, ma si comportano come fossero la metà della Chiesa cattolica. In Europa stiamo andando verso un muro di Berlino cristiano? Solidarietà contro identitarismo.

Cosa c’è dietro il ritorno della xenofobia che si salda con il populismo? C’è il nero che avanza? Discorsi preoccupanti, oserei dire inquietanti. Meglio un eccesso di prudenza di una sbrigativa alzata di spalle. Perché non bisogna dimenticare che resistenza (nel cuore e nel cervello), costituzione (alla mano), repubblica (nell’urna) impongono una scelta di campo imprescindibile e indiscutibile: sull’antifascismo non si può scherzare anche se qualcuno tra revisionismo, autocritiche, pacificazione, colpi di spugna rischia grosso, non capendo che coi vuoti di memoria occorre stare molto e poi molto attenti e che (come direbbe mio padre) “ in do s’ ghé ste a s’ ghe pól tornär “.

 

 

04/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Giobbe 7,1-4.6-7; Salmo 146; 1 Corinti 9,16-19.22-23; Marco 1,29-39.

 

Riflessione personale

 

La sofferenza rimane il più grande mistero. Al dolore, soprattutto se innocente, non c’è spiegazione razionale e plausibile. Anche la fede non riesce a fornire una motivazione accettabile: bisogna avere l’umiltà di ammetterlo. L’unica risposta consiste nella condivisione. Dio ha condiviso e sofferto in Gesù tutto quel che umanamente si può ipotizzare: dolori lancinanti, umiliazioni fisiche e morali, tradimenti, solitudine, incomprensione, calunnie, persecuzioni, torture, fino alla peggiore delle condanne a morte, vale a dire la crocifissione. Ciò non significa che Dio ami la sofferenza: l’uomo non è stato creato per soffrire, ma per gioire. Tuttavia quando si soffre con vicino una persona amata, che ci vuole bene al punto di condividere il nostro dolore, ci sentiamo relativamente sollevati e rasserenati, figuriamoci se questa persona è un Dio che è passato attraverso le nostre sofferenze. Soffrendo si capiscono tante cose, si matura, si colgono i valori autentici, si coglie la più profonda motivazione della nostra esistenza. E poi ricordiamoci che niente unisce più della sofferenza condivisa e combattuta insieme: sì, perché il dolore bisogna anche prevenirlo e combatterlo con la carità. La sofferenza resta sofferenza e ne ho tanta paura, la morte resta morte e mi spaventa assai, ma non hanno l’ultima parola e non ci allontanano dalla vita, ma ci avvicinano ad essa, alla vita vera.  A Maria, che ci è madre in tutti i sensi, a Lei che di sofferenza se ne intende, chiediamo con insistenza: “Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”.

Il masochistico linguaggio della paura

La storia insegna come tutti i regimi, al loro nascere e per il loro consolidamento e mantenimento, abbiano utilizzato e cavalcato le paure. Volendo rimanere in Italia, il fascismo al suo nascere enfatizzò il rischio di una possibile rivoluzione marxista, strumentalizzò il clima di incertezza di fronte al malcontento dilagante di carattere economico e sociale, si presentò come elemento rassicurante rispetto ad un futuro carico di incognite e di conflitti.

Negli anni settanta fu la vicenda del golpe cileno, nato come reazione alla paura di una sinistra incapace di governare e di frenare le proteste sindacali e di piazza, ad innescare in Italia il discorso del compromesso storico, vale a dire di un dialogo e di un patto tra le forze popolari, che potesse garantire un evoluzione pacifica delle trasformazioni socio-economiche ed un’ evoluzione progressista della politica. Questa seria prospettiva fu disturbata, complicata e interrotta da una serie di eventi interni ed internazionali, che privarono la politica italiana del disegno berlingueriano e moroteo, sprofondandola nell’incertezza e nella confusione di cui ancor oggi si notano e si soffrono le conseguenze.

Negli anni novanta con la crisi del patto di potere tra democristiani e socialisti si aprì una fase nuova ed ecco spuntare i seminatori di paura. Berlusconi agitò la bandiera dell’anticomunismo, poco importando che il comunismo praticamente non esistesse più: bastava seminare la zizzania di una sinistra che avrebbe rovinato il Paese sprofondandolo nel caos. Gli Italiani ci cascarono alla grande e fu un quasi-regime ventennale.

Nonostante tutto Silvio Berlusconi tenta il bis, aggiustando il tiro, ma facendo sostanzialmente un’operazione molto simile: “Se l’Italia cadesse nelle mani dei ribellisti, dei pauperisti, dei giustizialisti, il Paese pagherebbe un grande prezzo, pure in termini di isolamento internazionale, ma sarebbe un serio problema per tutta l’Europa. Sarà il centro-destra ad impedire che si precipiti in un “baratro pericoloso”.

Alla cavalcata salottiera delle paure, si accompagna quella sbracata della Lega: “L’Italia deve salvarsi dalla deriva extra-comunitaria, dal clima delinquenziale che ci condiziona, dalla compressione economica che ci tarpa le ali”.

Due modi di intendere, creare e strumentalizzare le paure. Della serie “turatevi il naso per non lasciare il potere in mano ai grillini ed a quanti vogliono governare i problemi”.

Esistono alcune differenze fra la tattica del novantaquattro e quella odierna. Allora il comunismo non esisteva più, oggi il grillismo esiste eccome; l’antipolitica poteva essere interpretata da Forza Italia, Lega e Alleanza Nazionale, mentre oggi viene interpretata su fronti opposti dal M5S e dalla Lega; il centro-sinistra è sempre diviso, ma mentre all’inizio degli anni novanta poteva essere considerato un epigono dei comunisti nostrani, oggi viene considerato fin troppo accomodante e continuista; Berlusconi, pur essendo un personaggio assai noto politicamente parlando, non aveva ancora governato, mentre ai giorni nostri ha dato ampia e tragica dimostrazione di incapacità e di grave commistione con interessi particolari.

L’effetto sorpresa, che a suo tempo giocò un ruolo fondamentale per il successo elettorale berlusconiano, non dovrebbe più esistere, a meno che gli Italiani non abbiano la memoria talmente corta al punto da volerci masochisticamente riprovare. La campagna elettorale si sta purtroppo radicalizzando nello scontro tra anti-politica e politica di destra. Il terzo incomodo, il PD rischia di essere schiacciato dall’irrazionalità dell’elettorato e condizionato a sinistra dai rigurgiti demagogici.

Purtroppo temo che l’elettore non abbia alcuna paura delle trombonate narcisistiche di Grillo, delle tensioni addominali di Salvini e delle pelose rassicurazioni di Berlusconi. La paura esiste solo per gli immigrati e per la politica. Sotto la coperta della paura, per chi vota a destra sono sempre convinto non giochino tanto fattori ideologici o politici, ma i propri egoismi: Berlusconi è maestro nel cucinarli a dovere. Per chi vota M5S non conta il desiderio di far evolvere la politica verso i bisogni collettivi, ma lo sprezzante rifiuto di ogni e qualsiasi politica. Se è così, per il PD la gara si fa molto dura. Non voglio ripetere preventivamente il discorso saragattiano   del “destino cinico e baro”, ma, quando non ci si intende sulle questioni di fondo, quando il linguaggio è quello della paura, a parlare si sbaglia sempre. E tacere non si può, allora…

03/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

1Re 3,4-13; Salmo 118; Marco 6, 30-34.

 

Riflessione personale

 

Quando prego, ho la tendenza a chiedere tante cose per me e per quanti mi stanno particolarmente a cuore: una lista di bisogni e di problemi, come se il Padre Eterno non li sapesse ben prima e meglio di me. Probabilmente sorriderà della mia ingenua premura, scuoterà il capo e avrà compassione di una creatura che vuol fare da suggeritore al creatore.

Il grande re Salomone fu molto più discreto e “furbo”: andò al sodo e si accontentò di chiedere la “saggezza”, la capacità di scegliere tra il bene e il male e Dio gli diede anche tutto il resto in sovrappiù.

Mi ha sempre colpito l’episodio di quel vecchietto che sostava a lungo davanti al Santissimo Sacramento e non diceva niente, sembrava assente. A chi gli chiese se e come pregasse rispose: «Io guardo Lui e Lui guarda me…».

«Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’» dice Gesù ai suoi apostoli e sicuramente lo dice anche a noi. Bello considerare la preghiera un solitario riposo in compagnia di Gesù. Tutto il resto potrebbe essere anche “fuffa”.

I giovani camorristi non sono eroi, nemmeno in negativo

Quando Vittorio Sgarbi sferra i suoi attacchi a qualche mostro intoccabile della televisione pubblica e privata, ammetto di godere. Ciò a prescindere dai contenuti, dai toni spesso volutamente esagerati ed ostentatamente scorretti, ma per la sua capacità di dissacrare il verbo di questi padreterni catodici, di mettere, anche violentemente, in discussione la pseudo-verità televisiva ed anche l’opinione degli intoccabili, di qualsiasi parte e provenienza politica e culturale.

L’ultima uscita clamorosa di Sgarbi riguarda lo scontro violento avuto con Corrado Formigli, conduttore di “Piazza Pulita” un programma de La7, in ordine alla presunta e diseducativa esaltazione di certi fenomeni criminale che alcuni opinionisti rischiano di fare nei confronti dei giovani. Non è una questione di lana caprina e tanto meno una vuota polemica: credo che metta il dito su un problema culturale reale.

Questo discorso è stato sollevato, con ben altro garbo, da Corrado Augias nel suo bel programma televisivo “Quante storie”, aprendo un seppur lieve fronte polemico con Roberto Saviano. Lo scrittore, come noto, racconta l’ascesa delle giovani leve della malavita napoletana. L’autore di Gomorra analizza il modus operandi dei cosiddetti “paranzini”, ragazzi pronti a morire in giovane età pur di emergere nel mondo criminale. Augias gli ha contestato il rischio di mitizzare il male, descrivendo i giovani camorristi come degli eroi, seppure in negativo.

Il discorso non è nuovo. La verità deve essere raccontata:   non regge l’argomentazione del lavare i panni sporchi in famiglia o addirittura del tenere nell’oscurità certe realtà scomode ed estremamente provocanti. Tuttavia, soprattutto in riferimento ai giovani, non si può nascondere il problema dell’emulazione, un istinto che può nascere quando la verità, pur negativa, venga presentata con eccesso di zelo, quasi con indiretto compiacimento, con abbondanza di toni letterari, con generalizzazioni un tantino semplicistiche.

Lo scrittore non deve edulcorare la realtà per il timore che possa creare scompiglio, ma nemmeno dimenticare come la descrizione del male senza via di scampo possa creare rassegnazione negli anziani e volontà di emulazione nei giovani. La reazione può diventare questa: se la realtà criminale è talmente diffusa e radicata, non c’è nulla da fare, o ci rassegniamo a subire o diventiamo protagonisti.

Mi pare che una seria riflessione di carattere etico-educativo non guasti e non debba essere considerata un’invasione di campo o addirittura una censura. Un padre gesuita, impegnato nelle carceri e avvezzo ai rapporti anche con i peggiori criminali, mi diceva: «Anche nella peggiore situazione di male, nel più brutto dei terreni esiste sempre un filo d’erba, che lascia intravedere uno spiraglio di bene, di riscatto, di inversione di marcia».

Credo che al di là delle sue intemperanze Vittorio Sgarbi volesse dire proprio questo, come del resto anche Corrado Augias, che non esito a definire il migliore interprete giornalistico della nostra società.

Forse anche lo stesso Leonardo Sciascia (spero di non forzare il suo pensiero), quando parlava di “mafia dell’antimafia”, intendesse alludere al rischio di fare dell’antimafia un comodo e superficiale mestiere e di cavalcare involontariamente la tigre. Non è certo il caso di Roberto Saviano e nemmeno di Corrado Formigli, ma non sarà male se anche loro vorranno riflettere e adottare maggiore prudenza. Quando la provocazione si fa eccessiva e asfissiante, cessa di essere tale e diventa fine a se stessa. È come una medicina che può avere effetti indesiderati. Una fotografia può essere fuorviante anche in negativo.

Impariamo dal più grande provocatore di tutti i tempi: Gesù Cristo. Denunciava senza pietà il male compiuto, anche dagli uomini religiosi, ma lasciava sempre aperta la porta della conversione e soprattutto proponeva l’alternativa. “Ma io vi dico…”.

 

02/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Malachia 3,1-4; Salmo 23; Ebrei 2,14-18; Luca 2,22-40.

 

Riflessione personale

 

Oggi si celebra la presentazione di Gesù al tempio, ma secondo la legge ebraica si trattava del rito della purificazione imposto alla madre e del riscatto del bambino. Non ho mai capito da cosa dovesse essere purificata una madre dopo il parto: tale rito rimase in vigore anche nella Chiesa cattolica, seppure sotto traccia. A giudicare da quanto scrive Erri De Luca nel suo libro “E disse”, ai tempi di Mosè e della legge a lui rivelata, le donne erano le beniamine della divinità, nascevano perfette, mentre i maschi dovevano essere ritoccati con la circoncisione. Il parto doveva essere considerato il punto più perfetto dell’arte di natura, alla donna il creatore aveva dato il compito esclusivo e preferenziale di trasmettere la vita. E allora? Fin dagli inizi prende piede l’equivoco della donna creatura di serie “b”, condannata a partorire nel dolore, impura per le mestruazioni, mentre invece la fertilità era sorgente di benedizione.

Da eretico quale sono, considero pertanto questa celebrazione come l’esaltazione della maternità di Maria, preludio alla salvezza messianica. Maria e Giuseppe si sottomisero alle prescrizioni della Legge. Maria si purificò anche se Simeone le disse che la sua vera purificazione sarebbe consistita in una spada che le avrebbe trafitto l’anima. Riscattarono Gesù offrendo una coppia di tortore, anche se il vecchio Simeone predisse che il vero riscatto lo avrebbe operato questo bambino, una volta cresciuto e diventato segno di contraddizione.

Non sono venuto per cambiare la Legge ma per darle compimento, per andare oltre, dirà Gesù. E si comincia subito. La Legge però continuerà a voler prevalere sui cuori. È infatti molto più comodo obbedire alle regole, anche perché si trova sempre il modo di aggirarle: fatta la legge, fatto l’inganno. Amare Dio e il prossimo non è una regola, è la vita stessa del cristiano. I sacramenti non sono riti, ma la massima espressione dell’amore di Dio e noi dovremmo “sacramentare” il nostro prossimo. Questo non è un ostacolo aggirabile!

Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Non chiediamo di essere perdonati per le preghiere che facciamo. Un vecchio frate cappuccino, a cui avevo confessato la colpa di “perdere la pazienza” con i miei genitori anziani e malati, mi disse: «Attento! Sappia che se lei tratta male qualcuno, a maggior ragione sua madre o suo padre, potrà recitare un’infinità di rosari, ma non varranno a niente, anzi…». Se ti presenti al tempio e ti ricordi di avere un contrasto con qualcuno, lascia l’offerta in sospeso e vai prima a riconciliarti con tuo fratello: così ha detto Gesù!

Puntualmente in ritardo

Recentemente, in un dialogo con simpatiche e brillanti amiche, sono tornato a parlare del vezzo piuttosto diffuso di non essere puntuali, di arrivare clamorosamente in ritardo. Durante la mia vita professionale ne ho sofferto le conseguenze: vocato per natura ed educazione alla puntualità, ho tristemente perso tanto tempo aspettando i vari Godot degli incontri di lavoro, che arrivano con ritardi assai poco accademici.

Ad un certo punto, stanco di buttare via tempo prezioso per colpa altrui, mi diedi una regola: aspettare mezzora e poi lasciare il campo. Fu un macello, dovetti ripiegare frettolosamente, passai dalla parte del torto, rischia il licenziamento. Io mi ero dato una regola, ma gli altri non si erano dati una regolata e il torto finiva con l’essere mio: al danno del tempo sciupato si aggiungeva la beffa di essere paradossalmente considerato assenteista. Non avevo infatti l’autorità sufficiente, quella di quel giudice del tribunale di Parma che spaccava il minuto e, in occasione di procedure fallimentari, iniziava le assemblee dei creditori per l’approvazione della situazione debitoria con assoluta puntualità, mettendo parecchi soggetti in seria difficoltà. “Se ci sono io, ci devono essere anche loro”, era la pesante ma giustissima argomentazione posta alla base del suo rigido comportamento.

Ma veniamo ai giorni nostri. Lord Michael Bates, ministro britannico del Dipartimento internazionale per lo sviluppo, è arrivato alla Camera dei Lord con due minuti di ritardo, sufficienti a non permettergli di rispondere alla prima domanda della baronessa Lister. Quando ha preso la parola, il ministro si è scusato per il suo comportamento e ha presentato le sue dimissioni con effetto immediato” al primo ministro. “Di tutti i ministri che vorrei si dimettessero, lui è l’ultimo. Risponde sempre alle domande, mentre molti le evadono in modo maleducato”, ha dichiarato la stessa Lister. In ogni caso Bates molto probabilmente manterrà il suo posto, le sue dimissioni sono state infatti rifiutate da Downing Street.

Non so fino a qual punto l’aplomb del ministro inglese sia artificioso o meramente provocatorio, tuttavia è un bell’esempio di correttezza, che viene prima della politica, ma che deve essere applicata alla politica. Non ho dimestichezza con le aule parlamentari italiane e non so dire cosa succeda su questo fronte: a giudicare dall’assenteismo emergente da certe inquadrature televisive, dall’atteggiamento di molti parlamentari intenti a sbrigare le loro faccende con tanto di smartphone e di computer, dai rumori di sottofondo che accompagnano i dibattiti, posso facilmente immaginare che il rispetto degli orari sia un optional probabilmente superato dalla preventiva ed arbitraria selezione degli impegni (quelli televisivi sempre e comunque in priorità).

È vero che la puntualità non è tutto, che si può essere puntuali e inefficienti allo stesso tempo, ma, se, come si suol dire, il buon giorno si vede dal primo mattino, ci sono persone che partono con un’ora di ritardo e non so alla sera a qual punto saranno arrivati. E i loro interlocutori? Lasciamo perdere…

Tutti avranno visto i politici inquadrati dalle telecamere: hanno sempre l’orecchio attaccato al telefono, salutano tutti cordialmente, rispondono sempre alle domande dei cronisti. Gli osservatori ingenui penseranno: come sono impegnati! Come sono educati! Come sono bravi! Come sono disponibili! Se grattiamo la scorza mediatica non so cosa salti fuori.

Tornando al ministro britannico, qualcuno malignerà che si tratti del solito deviante formalismo inglese. Può darsi! Non desidero le orribili assemblee parlamentari dove tutti, allineati e coperti, applaudono a bacchetta come marionette. Tuttavia un po’ di correttezza, di educazione, di stile non guasta. In Gran Bretagna, ma anche in Italia.

E poi l’istituto delle dimissioni mi ha sempre affascinato: è una dimostrazione di forza e di serietà. Però andrebbero date sul serio e non per farsele respingere. Altrimenti…

01/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

1Re 2,1-4.10-12; 1Cronache 29,10-12; Marco 6,7-13.

 

Riflessione personale

 

Davide traccia una scia di preziosi insegnamenti per il figlio Salomone, che ne eredita il trono. Io non ho ereditato alcun trono e ben poche ricchezze dai miei genitori, ma molti e indimenticabili insegnamenti, che, strada facendo, diventano sempre più pressanti e sostanziosi. Non c’è giorno in cui non mi sovvenga qualche lezione di vita-vissuta impartitami dai miei genitori: ci si arriva col tempo e infatti l’educatore non deve avere fretta e non deve essere assillante.

La mia nascita per mia madre Lavinia fu l’inizio di una seconda vita. Lo capii quando, durante una delle notti insonni, vissute nella ritrovata intimità, che la stavano portando alla fine, mi sussurrò: “Ti ho voluto tanto bene!” Queste cose, chissà perché, si capiscono sempre tardi, troppo tardi. Meglio tardi che mai.

Anche Gesù, quando manda in missione i suoi apostoli si preoccupa di insegnare a loro uno stile sobrio e credibile di testimonianza, ma non suggerisce loro di incassare consenso immediato. Al contrario: “Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro”. I miei genitori forse non sono stati costretti a tanto, ma sicuramente non hanno raccolto in vita quell’adesione convinta che meritavano. La sto loro centellinando piano piano: oltre al bastone (l’amore per la famiglia), non presero nulla per il viaggio familiare (povertà assoluta): faticarono a guadagnare il pane, non accumularono beni, vissero faticosamente. Vangelo vivo: non potevo pretendere di più!

Il pietismo dell’Eurispes

Prendo da televideo e trascrivo testualmente. “Eurispes: il Paese è confuso e deluso. Un Paese deluso e confuso, tradito da un sistema che non riesce più a garantire crescita, stabilità, sicurezza economica e prospettive per il futuro. Questa la fotografia del 30esimo Rapporto “Italia” dell’Eurispes. Quattro italiani su dieci arrivano a fine mese usando i risparmi e solo il 30,5% riesce a far quadrare i conti. Il 18,7% riesce a risparmiare, mentre il 29,4% ha difficoltà a pagare le utenze. Inoltre, il 23,2% ha difficoltà ad affrontare spese mediche, il 25,4% a sostenere il mutuo e il 38% a pagare l’affitto. Per far fronte alle difficoltà economiche, ci si affida soprattutto alla famiglia d’origine (31,6%).”

Proseguo con la trascrizione. “Eurispes: fiducia in forze armate e polizia. Gli italiani hanno fiducia nelle istituzioni, particolarmente nelle Forze armate, nella polizia, nella Protezione civile e nel volontariato, ma solo 1 su 5 (il 21,5%) si fida del governo. Così il Rapporto Eurispes. Stabile il sentimento di affezione al Presidente della Repubblica (44,5%). Più del 50% sovrastima la presenza di immigrati e solo il 28,9% valuta giustamente all’8% la loro incidenza sulla popolazione. Il 77,5% ha paura dei cambiamenti climatici, ma nel 2008 il dato era all’81,5%. Tra le questioni considerate come minacce: corruzione (87,7%), politici incompetenti (86,2%), mafia (85,6%), smog (81,1%) e attentati (78%)”.

Con tutto il rispetto per Eurispes, mi sembra la scoperta dell’acqua calda. Non sono dati confortanti, ma nemmeno catastrofici. Quelli riguardanti la fiducia nelle istituzioni e la preoccupazione sui problemi sembrano fatti apposta per   creare confusione e incoraggiare l’astensionismo alle prossime elezioni politiche. Quelli di carattere socio-economico sembrano funzionali alla stregoneria dei grillini ed a quanti promettono la ripresa del miracolo economico.

In questi giorni sto seriamente riflettendo sul clima di sbornia informativa che i media   stanno creando: alla cosiddetta partitocrazia della prima repubblica è succeduta la “fantasiocrazia” del regime berlusconiano, ora stiamo vivendo nel catastrofismo mediatico. Il lupo perde il pelo ma non il vizio: sono, a ben pensarci, tre modi sostanzialmente equivalenti per confinare la democrazia nelle cantine carbonare dell’anti-politica. C’è il qualunquismo di chi se ne sbatte altamente di tutto e di tutti (l’indifferenza), c’è il qualunquismo che reagisce alla politica corrotta (il moralismo), c’è il qualunquismo indotto dagli incantatori di serpenti (il populismo dell’antipolitica). Contro le prime due manifestazioni si può sperare di combattere, contro la terza si rischia di non saltarci fuori, perché assolutizza mediaticamente il relativo, trasforma le impressioni in certezze, imposta la società come un mega-orto in cui vengono coltivate le paure.

La schizofrenia dell’elettorato italiano ha tante cause, ma la più consistente mi sembra la paura: la storia insegna che le risposte dettate dalla paura sono sempre fuorvianti se non tendono addirittura a criminalizzare alcune categorie (è sempre il turno degli stranieri) e cercano di trovare un riparo non tanto nelle istituzioni ma nella loro forza armata. Poi magari ci si pulisce la coscienza con una pacca sulla spalla del volontariato.

I dati Eurispes, come tutti i dati statistici da Trilussa in poi, sono fuorvianti se non vengono raccolti correttamente ed analizzati profondamente: l’acqua calda in cui nuota il caffè servito al bar sport dell’antipolitica.

Ricordo che mio padre, con la sua solita e sarcastica verve critica, di fronte agli insistenti messaggi statistici sulla morte di un bambino per fame ad ogni nostro respiro, si chiedeva: «E mi alóra co’ dovrissja fär? Lasär lì ‘d tirär al fiè?». Lo diceva forse anche per mettere fine ai pietismi di maniera che non servono a nulla e vanno molto di moda. Ricordiamoci poi che pietismo fa rima con egoismo e qualunquismo.

 

31/01/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

2Samuele 24.2.9-17; Salmo 31; Marco 6,1-6.

 

Riflessione personale

 

Papa Paolo VI consigliava: «Dite ai giovani che il mondo esisteva già prima di loro e ricordate ai vecchi che il mondo esisterà anche dopo di loro». Oggi dedico la mia riflessione ai giovani in concomitanza con la festa di San Giovanni Bosco, un maestro che seppe credere in essi. Col passare degli anni, invecchiando, sono portato a valorizzare la memoria storica e quindi a guardare indietro. Sono però molto attento a due “categorie” umane: le donne e i giovani. Per le prime – al di là della forte attrattiva verso di esse che ha caratterizzato tutta la mia vita – nutro una incommensurabile fiducia: il miglioramento del mondo, da tutti i punti di vista, credo dipenda soprattutto da loro e dalle loro inespresse e conculcate qualità. Sui secondi, i giovani, ho forti perplessità: li vedo assenti, fuori dal mondo, faccio fatica a capirli. Sono vecchio?! Pretenderei di abbinare gioventù ed esperienza, dimenticando che il bello dei giovani è proprio quello di non essere condizionati e frenati dall’esperienza. Mio padre diceva argutamente: «Se un ragas al gaviss al sarvél ‘d n’omm, al ne sariss miga un ragàs…». D’altra parte, facendo riferimento al brano evangelico odierno, i Nazaretani non si scandalizzavano di Gesù al punto che Egli, forse considerato un giovane fuori dagli schemi, non poté profetizzare nella sua patria? Papa Francesco dice: «Se i giovani fanno sognare gli anziani, vi assicuro che gli anziani faranno profetizzare i giovani».