02/03/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Genesi 37,3-4.12-13a.17b-28; Salmo 104; Matteo 21,33-43.45-46.

 

Riflessione personale

 

Gesù non manca occasione per spiegare, in modo più o meno allegorico, il violento rifiuto a cui andrà incontro. Nel brano evangelico odierno si parla di un padrone (Dio) che pianta una vigna e la affida a dei vignaioli (il popolo eletto di Israele); poi manda i suoi servi (i profeti) a ritirare il raccolto e vengono uccisi dai vignaioli; fa un estremo tentativo e manda suo figlio (Gesù), ma uccidono anche lui dopo averlo cacciato fuori della vigna (fuori delle mura di Gerusalemme). A quel punto il padrone consegna la vigna ad altri vignaioli (i pagani).

Può essere tranquillamente considerata come l’allegoria della vita personale del cristiano infedele. A chi consegnerà la vigna questo paziente vignaiolo, dopo averle provate tutte? A quelli che nel nostro perbenismo consideriamo persone disprezzabili, peccatori incalliti, gentaglia da evitare accuratamente. “I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno dei cieli”. Va bene, ma Gesù forse ha esagerato, voleva solo rendere l’idea, spaventarci, fare dei paradossi. Non credo! Voleva dire quel che ha detto. Andiamo quindi molto adagio a squalificare chi vive fuori dai nostri canoni.

Gesù, alla sua nascita, ha trovato accoglienza nei pastori, persone ritenute immonde, dei poco di buono, degli “sporcaccioni”, che vivevano da animali con gli animali a cui si univano persino sessualmente.  Alla fine tragica della sua vita, quando agonizzava sulla croce, trova solidarietà in un centurione romano, un nemico per antonomasia, e in un ladrone, uno squallido delinquente. E noi stiamo a sottilizzare, ci sentiamo a posto, migliori, perché pratichiamo il tempio, biascichiamo frettolosamente qualche preghiera, osserviamo le regole che abbiamo costruito a nostro uso e consumo. Buttiamo i nostri fratelli, i prediletti del Padre, nella cisterna e poi li vendiamo, li giudichiamo perduti, noi gli eredi (come successe a Giuseppe ad opera dei suoi fratelli), come successe a Gesù. Basti pensare all’idea che abbiamo del carcere e dei carcerati: hanno quel che meritano! Ne siamo proprio sicuri?

Gli “apericena” della crisi

Nel maggio del 2009 il finanziere americano Zachary Karabell (come riporta Federico Rampini nel suo libro “Le dieci cose che non saranno più le stesse”) lanciava questa domanda provocatoria sulle colonne del settimanale “Newsweek”: «Se siamo vicini a una Grande Depressione, perché tutti i bar che frequento a New York e Dallas sono pieni di giovanotti che prima della cena si scolano Martini-cocktail da 17 dollari l’uno?».

Nel gennaio del 2018 Ennio Mora, un semplice e modesto laureato in economia, lancia una domanda analoga e ugualmente provocatoria dal suo sito internet: «Se siamo in crisi e manca il lavoro soprattutto per i giovani, perché i bar di Parma (come penso delle altre città italiane) sono pieni di giovani alle prese con i cosiddetti “apericena”, che non so quanto costino, ma certamente non poco?».

Il discorso si potrebbe allargare agli ingorghi di traffico per i ponti delle festività natalizie, alle presenze negli alberghi e sugli impianti sciistici, alle città spopolate dall’esodo festaiolo, etc. etc.

Io li chiamo i “misteri della crisi”: da una parte si piange miseria e dall’altra si ostenta ricchezza. Forse che aveva ragione Berlusconi quando esorcizzava e giubilava le difficoltà economiche con  i ristoranti pieni in cui non si riesce neppure ad entrare?

Nella nostra società la crisi economica fortunatamente non si ripercuote immediatamente e tragicamente sulle persone, grazie alle protezioni sociali, grazie agli ammortizzatori pubblici e privati, grazie alle riserve accumulate negli anni positivi. Sul caso della spensieratezza dei giovani italiani influisce molto l’appoggio economico di genitori e nonni, i quali foraggiano i bamboccioni di turno (non so fino a quando…). Non è un caso che il presidente Mattarella nel suo saluto augurale per il 2018 abbia fatto un vero e proprio appello al senso di responsabilità dei giovani ed alla loro partecipazione al prossimo voto elettorale.

Temo che, al di là di tutto, il tasso di crescita e sviluppo della nostra società sia fortemente condizionato dal tasso di irresponsabilità di molta gente: la nostra società ha accumulato molti torti nei confronti delle nuove generazioni e probabilmente se li vuole far perdonare, consentendo ai giovani di vivacchiare bene (poco studio, molto divertimento, insensata spensieratezza) in attesa di tempi migliori.

Una seconda osservazione riguarda la stratificazione sociale in atto: si allarga sempre più la distanza tra i ceti abbienti, peraltro in calo numerico, ed i ceti più disagiati, peraltro in crescita numerica. La società nel suo modo di vivere viene tarata sui primi e i secondi sono probabilmente sempre più invisibilmente emarginati e affatto rappresentati.

Tornando ai giovani, tra i tanti errori commessi a livello educativo nei loro confronti, vi è sicuramente quello di non avere trasmesso il senso del dovere e del lavoro. Conversando con amici e parenti spesso mi ritrovo a criticare i nostri genitori per la severità con cui ci formarono: “non ci hanno lasciato godere la nostra giovinezza”, diciamo con un pizzico di rimpianto. In parte è vero, ma avevano ragione: la vita non è un divertimento, ma un impegno. È il concetto che a molti giovani odierni manca: chi lo chiama provocatoriamente bamboccionismo, chi lo definisce fuga dalla realtà, chi spera in una automatica e improvvisa maturazione intellettuale.

Mio padre aveva un suo modo di rapportarsi coi giovani, non era assolutamente implacabile nelle critiche verso di loro, ma non gliele risparmiava: intendeva ricondurli al senso di responsabilità, senza inutili accanimenti più o meno terapeutici. Di fronte a certe intemperanze giovanili, tipicamente maschili, non si scandalizzava, ma era solito commentare: «Quand al gh’arà la moróza, chil robi chi al ne j a fà pu…». Una bella fiducia nel ruolo della donna, alla faccia dei maschilismi di ieri e di oggi.

 

 

01/03/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Geremia 17,5-10; Salmo 1; Luca 16,19-31.

 

Riflessione personale

 

“Uno” è risuscitato dai morti, ma io non sono persuaso. Continuo imperterrito a banchettare lautamente davanti ai Lazzaro che giacciono alla mia porta. Il problema non sta tanto nella ricchezza in sé, ma nel fatto che ci ottunde la mente, ci fodera gli occhi e ci precipita nell’indifferenza. “Sono come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vedo; dimoro in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere”.

Ma io in fin dei conti non sono ricco, sono solo un benestante e mi metto a posto la coscienza guardando i veri ricchi, coloro che hanno patrimoni colossali, i conti in banca che scoppiano. Ci sono due modalità per essere ricchi: avere il portafoglio pieno e il cuore vuoto. Certamente i due elementi si influenzano a vicenda, ma si può essere ricchi anche possedendo poco e tenendo quel poco tutto per sé. E oltretutto il possesso non riguarda soltanto il danaro, ma tutti i beni materiali e immateriali che ci sono stati donati. Si può essere ricchi della propria intelligenza, della propria cultura, del proprio prestigio, della propria posizione sociale, della propria salute, financo dei propri sentimenti.

Non mi accorgo di essere annoverabile nella categoria degli anonimi e indifferenti ricchi. Cosa aspetto per scrollarmi di dosso questo egoismo che mi attanaglia? Ho Mosè, i profeti di un tempo e quelli di oggi, ho soprattutto Gesù che è risuscitato dai morti…Nonostante ciò “confido nell’uomo, pongo nella carne il mio sostegno e il mio cuore si allontana dal Signore”. Non mi resta che sperare nei poveri Lazzaro, i quali, anziché starsene buoni alla mia porta, alzino la voce, si facciano sentire, mi provochino, mi tolgano la finta serenità, mi scuotano e mi salvino in nome di Dio.

La cartina di “tornabuio” di CasaPound

Nel 1994 gli italiani si fecero incantare dalla combinazione di un riccone, di un nordista (leggi Bossi) e di un revisionista (leggi Fini). Oggi rischiano di farsi imbrogliare dal solito riciclato e invecchiato riccone con una compagnia di nostalgici, di nazionalisti e di populisti: non v’è dubbio che la situazione sia mutata. In peggio!

Ne è una prova l’endorsement di CasaPound a favore di Matteo Salvini: un’affinità scomoda, smentita timidamente da Salvini, rifiutata sdegnosamente da Berlusconi, accolta in silenzio dai Fratelli d’Italia. Sono certo che il centro-destra non abbia cercato questo appoggio elettorale, ma il fatto che sia spontaneamente arrivato è forse ancor più grave e la dice lunga su una tacita sintonia con queste frange carognesche, che, anziché entrare in Parlamento, dovrebbero finire nelle fogne, come si urlava un tempo.

“Non ho bisogno dei voti di altri, né mi interessano i voti di Tizio e Caio”. Così il leader leghista in riferimento a CasaPound, pronta a sostenerlo. Che a un politico in campagna elettorale non interessino i voti suona piuttosto strano e paradossale. Quanto a Tizio e Caio Salvini dovrebbe meglio precisare e chiamare le persone con il loro nome e cognome e avere il coraggio di prendere le distanze con precisi e chiari argomenti politici e non con presuntuose battutine.

“La nostra coalizione non ha nulla a che fare con CasaPound o coi loro programmi. Né ora né dopo il voto”. Così Silvio Berlusconi, piuttosto distratto dal giochino a nascondino dietro la candidatura a premier di Tajani. Un po’ meglio rispetto a Salvini, ma sempre poco o niente.

Come interpretare il silenzio di Giorgia Meloni? È un personaggio che, parli o stia zitto, proprio non mi interessa. E forse interessa poco anche a CasaPound, dal momento che avrebbero scelto come referente la Lega, abbandonando l’ideologia e sposando la tattica.

Bisognerebbe essere comunque grati a questo movimento fascistoide per avere indirettamente scoperto qualche altarino al centro-destra: chi è orientato a votare così, non si farà certo scandalizzare e condizionare, ma un poco di chiarezza si è indirettamente fatta. Non c’è bisogno di usare i luoghi comuni (ogni simile ama il suo simile, dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, etc.) per arrivare a certe conclusioni politiche.

Saranno camerati che sbagliano? I voti si contano e non si pesano? Saranno manovre di disturbo? Dalli all’untore? Tutto fa brodo? Il fascismo non fa più paura? Tra CasaPound e i centri sociali non si sa chi scegliere? La Lega non è estremista, visto che c’è qualcuno ancor più a destra? Si tratta di quattro gatti che fanno casino? Nei bar si sprecheranno simili argomentazioni.

«Non mi curo di certe sottigliezze dogmatiche perché mi importa solo una cosa: che Dio sia antifascista!». Così diceva don Andrea Gallo a chi lo voleva imbrigliare in questioni di lana caprina nei rapporti tra religione e politica. A proposito dei contenuti del centro-destra e del suo fascismo di ieri e di oggi, parafrasando don Gallo (in modo strumentale, lo ammetto e gli chiedo umilmente scusa, anche se lui ne riderebbe di gusto e sarebbe oltremodo d’accordo) si potrebbe dire: “Non mi curo di certe sottigliezze politiche. perché mi importa solo una cosa: che la Repubblica Italiana sia antifascista!”.

 

28/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Geremia 18,18-20; Salmo 30; Matteo 20,17-28.

 

Riflessione personale

 

Gesù tenta di spiegare agli apostoli la sua prospettiva di passione, morte e risurrezione, ma loro non capiscono e addirittura si mettono a litigare su chi di essi possa meglio piazzarsi nell’assetto di potere dell’imminente Regno del Cristo. A posteriori appaiono indisponenti. Abbiamo però poco da sorprenderci. Non ci comportiamo forse così anche noi?  Dopo duemila anni di cristianesimo, la Chiesa è ancora ferma al palo e ciascuno di noi si illude di sgattaiolare al di fuori della logica della Croce.

Non è questione di dolorismo o di fanatismo, ma di testimonianza e servizio inevitabilmente oggetto di sofferenza per incomprensione, emarginazione, discriminazione e persecuzione. I martiri cristiani, a differenza dei terroristi islamici, non si uccidono per uccidere, ma vengono uccisi perché testimoniano la loro fede e prestano il loro servizio fino alle estreme conseguenze.

Il profeta Geremia viene colpito in quanto considerato un fastidioso mestatore: i sacerdoti, i sapienti e i profeti tramano insidie contro di lui in difesa dei loro ruoli e del loro status di categorie privilegiate. Il sommo sacerdote Caifa nel suo cinismo religioso afferma in riferimento a Gesù: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Siamo tutti schierati in difesa dello status quo. Il giusto disturba, è scomodo, va eliminato. E ci guardiamo bene dall’essere giusti perché faremmo una brutta fine.

Non sono emarginato e maltrattato, non perché sia bravo, ma perché sono un cristiano di comodo, che non dà fastidio, che non tocca nel vivo, che non esita nello scendere a compromessi con la propria coscienza, con la propria fede, con il potere civile e religioso. Nella mia tiepidezza posso stare tranquillo: nessuno mi disturberà, non rischio nulla, sono al coperto. Sono un auto-raccomandato di ferro. La madre di Giacomo e Giovanni, seppure ingenuamente, inaugura nella Chiesa il metodo della raccomandazione, del privilegio, dei primi posti. La logica della Croce è dura da accettare, lo fu anche per Gesù. Ma non c’è via di scampo: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra e alla mia sinistra, ma per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio».

La neve che cade dal basso

Non vedo sinceramente cosa ci sia di straordinario nell’ondata di gelo che ha colpito l’Italia in questi giorni, semmai era straordinario che durante questo inverno non facesse freddo: siamo tornati alla normalità, quell’ordinarietà che, nell’epoca in cui ero giovane, comportava nevicate frequenti, gelate con temperature ampiamente sotto lo zero, partendo da Santa Lucia fino a San Giuseppe.

Nessuno allora si sognava di chiudere le scuole, di lanciare allarmi, di “emergenziare” la situazione. E pensare che non c’erano i mezzi tecnici che esistono oggi, la società era più disorganizzata, le previsioni del tempo erano affidate al mitico Ferri, capo-stazione di Vicofertile, la cui moglie si diceva aspettasse il giorno in cui la previsione del marito metteva burrasca per fare e stendere il bucato.

Tutto deve fare notizia, anche il fatto che nevichi in inverno. In questi giorni, durante i quali son si possono divulgare i risultati dei sondaggi elettorali, si è ripiegato su quelli in base ai quali la maggioranza degli elettori si creerebbe un’opinione politica seguendo la televisione: i giornali cartacei non contano più nulla al riguardo e i social sono un riferimento solo per le fasce giovanili. D’inverno quindi nevica e la gente si informa guardando la televisione: due scoperte dell’acqua calda, che stanno andando di pari passo.

Proprio in questi giorni a commento di una campagna elettorale squallida ed in previsione di un risultato sconvolgente in libera uscita dalle urne, un caro amico mi ha inviato un allarmato e profondo messaggio telefonico: «Riscoprire le “radici” della politica, della cooperazione, del Vangelo, le nostre radici. Questo è il segreto di ogni rinnovamento. Le radici! Infatti si dice dei giovani d’oggi che sono “sradicati” cioè senza radici. Questa è la radice del problema!».

Fiocca la neve ed è un qualcosa di bello, utile e salutare; fioccano le cazzate dei grillini e si prendono per buone, mentre la televisione enfatizza il tutto e ce lo somministra facendolo cadere dall’alto. La neve effettivamente cade dall’alto, ma le sciocchezze pentastellate vengono dal basso. Il succo comunque sta nel vuoto in cui cade l’informazione drogata: la mancanza di radici che ci espone anche ai più evidenti equivoci. Un tempo per definire un atteggiamento credulone si parlava di “credere agli asini che volano”: oggi di asini in giro ce ne sono parecchi e li fa volare la televisione tra una nevicata e l’altra.

Si dovrebbe reagire! In giro si sente gente che dice sconsolatamente: «Io non me ne intendo di politica, quindi provo a votare per chi non se ne intende di politica». Ogni simile ama il suo simile. A volte forse il non intendersene sta per fregarsene. Dalla politica non si può prescindere, è necessaria come il pane, non è un optional. Dopo essermene interessato, pretendo di affidarla in senso istituzionale a chi è preparato. Meglio correre il rischio dei mestieranti piuttosto di quello degli ignoranti.

27/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Isaia 1,10.16-20; Salmo 49; Matteo 23,1-12.

 

Riflessione personale

 

“Il più grande fra voi sia vostro servo.; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”. Lo strano e paradossale ascensore dell’umiltà. Penso che Gesù, così come detestava le manie di grandezza degli scribi e dei farisei, non desiderasse la falsa modestia di chi finge l’umiltà per essere ancor più considerato e adulato. Si tratta di avere consapevolezza dei propri limiti e soprattutto di esprimere il meglio di se stessi, mettendosi al servizio degli altri. Gesù non vuole cristiani disimpegnati ed irresponsabili, al contrario ci sprona al massimo dell’impegno e della responsabilità, solo che il tutto deve essere finalizzato non al proprio tornaconto psicologico, umano, sociale, economico, politico, ma al bene dei fratelli, “a ricercare la giustizia, a soccorrere l’oppresso, a rendere giustizia all’orfano, a difendere la causa della vedova”.

Mia sorella quando considerava i fulgidi esempi di chi combatte la mafia (ricercate la giustizia), di chi va in missione nei Paesi del Terzo mondo (soccorrete l’oppresso), di chi difende i diritti dell’infanzia e delle donne (rendete giustizia all’orfano), di chi si schiera a favore dei poveri e degli ultimi (difendete la causa della vedova), esclamava convintamente: «Sono i Santi!».  Innanzitutto bisogna avere il coraggio di denunciare le ingiustizie, le disuguaglianze, gli sfruttamenti, le oppressioni, i mali sociali e poi combatterli concretamente da tutti i punti di vista con l’impegno e il servizio. Non basta l’impegno del servizio personale ci vuole anche il coraggio della denuncia sociale, non basta gridare contro le ingiustizie ci vuole anche la testimonianza personale: due facce della stessa medaglia.

E allora “anche se i nostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana”. Immagini che mi hanno sempre affascinato e consolato nella mia consapevolezza di avere tanti peccati da farmi perdonare. La strada però è difficile. Occorre prendere l’ascensore giusto: a volte capita di sbagliare a cliccare il pulsante e magari di salire se si voleva scendere o viceversa. Qui non ci si può sbagliare: per salire bisogna prima di tutto scendere.

 

 

 

 

Il coniglio presidenzialista

L’assetto istituzionale delineato dalla Costituzione italiana, pur nella sua visione partecipativa, rappresentativa, equilibrata e garantista, necessiterebbe di una sana revisionata. Il tentativo renziano, non era certo la panacea di tutti i mali sistemici, ma meritava un’accoglienza migliore e purtroppo è andato inopinatamente e inspiegabilmente a vuoto: adesso gli insopportabili grilli parlanti lamentano le contraddizioni, a cui prima o poi bisognerà rimettere mano, anche se non sarà facile ritrovare lo spirito costituente in un clima sempre più vuoto e fazioso.

Se un punto dell’ordinamento istituzionale si è rivelato centrato e proficuo, questo è l’elezione a livello parlamentare del Presidente della Repubblica: ha consentito di eleggere, quasi sempre, i migliori esponenti politici, al di sopra degli schieramenti, con larghe maggioranze; quando hanno fatto capolino  gli equilibri politici e l’elezione del presidente della Repubblica è diventata  oggetto di scontro tra opposte fazioni, se ne sono viste immediatamente le conseguenze negative (mi riferisco all’elezione di Giovanni Leone, non per la qualità della persona, ma per la strumentalità dell’operazione).

Ebbene, a dimostrazione della insensatezza delle promesse elettorali sparate alla viva il parroco, qualcuno (il solito, inossidabile e impareggiabile prestigiatore elettorale, Silvio Berlusconi) ha tirato fuori dal cilindro il coniglio del presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo.

“È pronto un referendum che presenteremo subito dopo la vittoria del centro-destra. È ora che noi italiani si possa votare il presidente della Repubblica»: così una delle tante frasi dette da Berlusconi (e non solo da lui) per dare aria ai denti. Non so quanto gli italiani sentano il desiderio di concorrere direttamente col loro voto alla nomina del Capo dello Stato, ma la proposta mi sembra demagogica e campata in aria.

L’elezione diretta non ha senso in un sistema di democrazia parlamentare come il nostro, bisognerebbe allora trasformare tutto l’impianto istituzionale da parlamentare a presidenziale e, se fu giudicato autoritario il progetto renziano, figuriamoci l’idea di “presidenzializzare” il sistema.

Nell’attuale assetto istituzionale il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale ed è munito di poteri riconducibili sostanzialmente al funzionamento del sistema Costituzionale: buttarlo in pasto alle urne non sarebbe un’operazione democratica, ma una scelta populista di assai dubbio gusto, se non di subdolo travisamento dell’ordinamento stesso.

Di questa assurda proposta non si farà nulla, ma che preoccupa è l’improvvisazione con cui si affrontano temi di grande rilevanza. Si sta dicendo tutto e il suo esatto contrario, si sparano cannonate a destra e manca: è come con i fuochi artificiali, che incantano, ma durano solo un attimo, e possono tuttavia fare male e scoppiare in tempi, modi e luoghi sbagliati.

In campagna elettorale è normale che i toni si accendano, le promesse abbondino, i contrasti si inaspriscano. Potrebbe essere un modo, non il migliore, per mettere in grado il cittadino di scegliere tra le diverse opzioni sul tappeto, chiarite da una radicale contrapposizione e da una forte caratterizzazione.  Se il tutto serve però a confondere le idee all’elettore e a rendere impraticabile l’inevitabile mediazione post-elettorale, si fa un pessimo servizio alla democrazia che, come diceva un grande personaggio di cui mi sfugge il nome, comincia veramente il giorno dopo della consultazione elettorale. In effetti la confusione in capo all’elettorato è palpabile e, causa-effetto di ciò, le prospettive politiche del dopo voto risultano altrettanto strane e fantasiose. L’unico baluardo a questa bagarre è il presidente della Repubblica, che dovrà saggiamente e garantisticamente dipanare una matassa scriteriatamente aggrovigliata.

Se ne è accorto persino il furbastro Luigi Di Maio: sta tentando di coinvolgere il Presidente nei giochetti grillini, presentandogli la lista dei Ministri e quindi delegittimandolo a mero preventivo notaio oppure corteggiandolo per averne almeno un gesto di attenzione da spendere tra le ultime cartucce della campagna elettorale.

Pensiamo se anche Mattarella fosse invischiato nel gioco politico, se dovesse rispondere alla parte dell’elettorato che lo ha votato, se fosse un uomo di parte, non avremmo nessun ombrello protettivo. Teniamoci dunque ben stretto un presidente nominato dal Parlamento con la più ampia maggioranza possibile. Il resto lasciamolo al ridicolo riformismo berlusconiano: prima, quando si presentava come “rivoluzionario”, faceva ridere l’Europa e il mondo; oggi si presenta come “moderato” e fa piangere. In effetti non è né estremista, né centrista, è scentrato.

 

26/02/2018

Letture bibliche nella liturgia del giorno

 

Daniele 9,4b-10; Salmo 78; Luca 6,36-38.

 

Riflessione personale

 

La storia del popolo Ebreo, quella della Chiesa, quella individuale del singolo cristiano sono un vergognoso susseguirsi di disubbidienze, trasgressioni, peccati, ribellioni, malvagità, empietà, misfatti. Ciononostante al Signore Dio non fa difetto la misericordia ed il perdono. La condizione essenziale per ottenere questo immeritato trattamento non è tanto una sofferta penitenza, ma riservare da parte nostra un uguale trattamento ai nostri fratelli: essere misericordiosi, non giudicare, non condannare, perdonare, dare. Otterremo da Dio nella misura in cui daremo ai fratelli.

Siamo portati a impostare il nostro rapporto con Dio come un regolamento di conti in base al raffronto tra la sua legge e il nostro comportamento: sarebbe un discorso meschinamente umano e disperatamente fallimentare. Dio scompiglia le carte, si pone e ci porta su ben altro livello: vuol vedere come concretamente ci poniamo di fronte ai fratelli. Lì si scoprono gli altarini. Non basta quindi percuotersi il petto, fare digiuni, pregare: tutti pre-requisiti. Occorre andare al sodo. Non ce la possiamo cavare con una leggera penitenza fatta di qualche orazione, nemmeno con un’elemosina una tantum, neppure con un’indulgenza plenaria secondo le leggi di Santa Romana Chiesa. Bisogna che concediamo agli altri quanto Dio concede a noi: i doni che ci elargisce abbondantemente non sono riservati, sono da condividere.

Non basta la giustizia come noi la intendiamo, non basta forse neanche la solidarietà, anche se è già un notevole passo avanti, non è sufficiente donare il superfluo secondo regole economicistiche, ci vuole la condivisione.  Vale a dire: quello che ritengo mio, non lo è, lo devo circuitare, lo devo mettere a disposizione. Non so se il comunismo fosse o sia un cristianesimo impazzito, se occorra essere dei comunisti di sagrestia; sono certo che, ideologie e politica a parte, sia assolutamente necessario essere veri cristiani, che ragionano ed operano come ha detto e fatto Gesù.

 

 

 

Il grande fratello della campagna elettorale

Le scelte elettorali a livello mondiale di questi ultimi anni dimostrano come la gente sfoghi nelle urne le proprie crisi di nervi sull’onda delle quali vive, a volte in modo colpevolmente egoistico, a volte per oggettive e gravi difficoltà. Basti pensare all’insensatezza della brexit da parte di un popolo di storica, tradizionale e compassata razionalità politico-democratica e allo sciagurato imbroglio dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti: due eventi che condizionano e condizioneranno brutalmente la nostra storia.

Ho imparato quindi a non stupirmi più di niente, né della superbia inglese, né della dabbenaggine americana, né della protervia di certi paesi europei. Facendo una spontanea proiezione sull’Italia non mi stupirei che gli elettori affidassero il Paese a Beppe Grillo, ai suoi nani ed alle sue ballerine. Tutto sommato ci può stare: se gli americani si sono buttati disperatamente nelle braccia di un riccone sciocco ed insensato, gli italiani si possono ben fidare dell’accozzaglia di politici capitati per puro caso in parlamento: la parola d’ordine che raccolgo in giro è “proviamoli, tanto peggio di così…”.

La gente ha perso completamente la tramontana politica, non vota o vota a casaccio. C’è l’attenuante di una politica corrotta, incoerente e confusionaria, ma c’è anche l’aggravante di una imperante mentalità egoistica, pressapochistica e menefreghistica. Con alcuni amici scambio impressioni e pareri e il dato emergente è lo stupore di fronte alla pochezza culturale in base alla quale gli elettori si stanno appressando alle urne. Intendiamoci bene, tutto contribuisce a portarli nel fosso: la rissa quotidiana tra i partiti e il grande fratello mediatico.

Ad un sacerdote chiesero di esprimere un giudizio su un libro riguardante la vita di Gesù: si lasciò andare al punto da confessare paradossalmente di non aver mai letto una vita così schifosa. L’equivoco contenuto nelle sue parole era evidente, ma rischiava l’analisi illogica di chi confonde il soggetto con l’oggetto. Per fare un parallelo potrei dire che non ricordo una politica così schifosa: in realtà dovrei dire che la politica è una cosa seria, mentre è schifoso inquinarla con una campagna elettorale inqualificabile e fuorviante.

“Proviamoli, tanto peggio di così…”: una doppia bestemmia lanciata in cattedrale. Le scelte politiche non si fanno al buio, non si può provare e vedere poi di nascosto l’effetto che fa, anche perché non si può tornare indietro. Al peggio poi, se proprio vogliamo, non c’è mai un limite, quindi stiamo ben attenti a non buttare il bambino, magari sporco, assieme all’acqua sporca.  Ho una residua speranza nel buon senso di tanta gente. Quando si arriva alle decisioni fondamentali generalmente prevalgono l’equilibrio e la razionalità, ma come scrivevo sopra, dopo brexit e Trump, tutto è grillinamente e berlusconicamente possibile.