Il Pd, ‘o famo strano

C’era da aspettarselo: l’uscita di Matteo Renzi dal partito democratico, come primo e immediato risultato, ha avuto quello di innescare l’apertura delle porte del partito ad opportunisti e pentiti. Renzi sostiene di avere riconquistato la propria libertà di iniziativa politica: sì, la libertà di lasciare campo libero a chi nel Pd ci crede ancor meno di lui. Il partito democratico viene stretto nella morsa dei nostalgici interni e recuperati e degli insoddisfatti fuorusciti. Non ho idea di cosa ci rimarrà.

Per fare politica occorrerebbe lungimiranza e, conseguentemente, pazienza. Due doti che sembrano mancare a Matteo Renzi, al quale va pur dato atto di avere tentato di svecchiare la sinistra, che fa molta fatica a interpretare culturalmente il mondo che cambia e a rappresentare politicamente le nuove istanze emergenti. Però, così come era entrato a gamba tesa all’inizio, presentandosi come rottamatore, alla fine ha abbandonato il campo, mandando affanculo la squadra per farne una nuova tutta sua, senza pensare che per gli spazi vuoti c’è sempre chi è pronto a occuparli.

Non nego di avere simpatizzato per lui, apprezzandone la verve e la modernità di linguaggio e restando affascinato dal suo attivismo e pragmatismo: finalmente un personaggio, che cercava di fare qualcosa di nuovo, uscendo dagli schemi tradizionali e dalle ingessature della politica.  Poi tutti sanno come è andata a finire ed è inutile rimescolare la pentola. Oggi, a mio modesto giudizio sta sbagliando, gettando al vento i pur piccoli semi di novità emergenti dal Pd: secondo Renzi sono soltanto cambiamenti contingenti, necessari ma non sufficienti, a cui lui stesso ha contribuito. In parte avrà ragione, ma mi sembra altrettanto velleitaria e inconcludente l’azione alternativa renziana, troppo pretenziosa per essere pura tattica, troppo debole per essere vera strategia.

Fatto sta che il rottamatore si è indirettamente trasformato in riciclatore. Ha indubbiamente conquistato la ribalta, ma poi bisogna recitare e cantare, non basta chiacchierare. Una critica che ho sentito fargli da molti è quella di “parlare troppo”. Al di là del difetto legato alla sua terra d’origine, esiste l’interpretazione spregiudicata e parolaia della modernità. Le operazioni politiche vanno accuratamente e seriamente preparate: vale per lo sbrigativo accordo PD-M5S, imposto tuttavia dalle circostanze economiche, internazionali ed istituzionali, ma vale a maggior ragione per la fuga renziana, vagheggiata da tempo e realizzata in fretta e furia.

Devo andare a prestito dalla fantasia dei miei genitori, anche a costo di ripetermi. Se mia madre, più o meno convintamene e seriamente, usava mettere in discussione le proprie scelte matrimoniali, dicendo: “Sa tornìss indrè …”, mio padre la stoppava immediatamente ribattendo: “Mi rifarìss còll ch’ j ò fat, né pu né meno”.  E giù a ridere ironicamente delle ipotetiche fughe con l’amante, con i due che scappano e cominciano a litigare scendendo le scale: della serie la famiglia ed il matrimonio sono una cosa seria. Anche i partiti e la politica sono cose serie!

 

Quei barconi carichi di…Lazzaro

Mi viene spontaneo fare un mix tra le due rubriche che porto avanti su questo mio modesto sito internet, tentare cioè una drammatica “confusione” tra un fatto del giorno e una riflessione religiosa. D’altra parte di che religione parliamo se la estraniamo dalla vita quotidiana e che vita viviamo se non facciamo riferimento a una fede (non necessariamente di tipo religioso).

Proprio in questi giorni ho sentito affermare, durante un’omelia di una celebrazione liturgica, che i cristiani hanno dei valori in più rispetto agli altri e quindi hanno l’obbligo di comunicarli: direi soprattutto di testimoniarli con la vita, a prescindere dal fatto che anche gli altri hanno valori in più rispetto a noi e li dobbiamo prendere in seria considerazione. Tutti mettano in campo i loro valori e li vivano concretamente e dopo le cose andranno molto meglio.

Ma torniamo ai fatti del giorno: un barcone carico di profughi, al largo delle coste libiche, si è capovolto. «Che cos’altro deve succedere affinché le autorità si prendano responsabilità per la situazione?». Alarm Phone rilancia via social l’allarme per l’imbarcazione in pericolo. Si tratta di una barca partita dalla Libia giorni fa: «Abbiamo informato le autorità in Libia, Italia e Malta, ma nessuno ha lanciato un soccorso». Con il passare delle ore la situazione, come prevedibile, è peggiorata: «I naufraghi temono di morire e chiedono aiuto. Le persone a bordo dicono che stanno imbarcando acqua». Intorno alle 13 l’ultimo disperato sos dalla barca: «Parlano di diritti umani, ma dove sono? Vi prego, aiutateci!”.

Veniamo alla religione. Proprio in contemporanea al drammatico fatto di cui sopra la liturgia della domenica offriva la parabola evangelica del ricco epulone. Lazzaro è un povero disgraziato, coperto di piaghe, che sta alla porta di un riccone ed è bramoso di sfamarsi con quello che cade dalla sua tavola, mentre lui non lo degna nemmeno di uno sguardo, fa finta di niente e continua a banchettare lautamente.   Arriva l’aldilà e il ricco epulone è collocato fra i tormenti, chiede prove d’appello, pietà e comprensione. Ma è troppo tardi, Lazzaro è in Paradiso e Abramo non può fare più nulla per alleviare le sofferenze dell’ingordo e indifferente vip.

Il contrasto vale a livello interpersonale, ma vale anche a livello sociale e internazionale. Da una parte abbiamo alcune persone dello spettacolo, dello sport, della finanza, dell’industria, del commercio che guadagnano milioni di euro e restano più o meno indifferenti davanti a tante persone che, con il magro stipendio o sussidio di disoccupazione, non sanno come sostenere le spese delle loro famiglie. Poi abbiamo i paesi ricchi che respingono e lasciano morire i disgraziati dei paesi poveri.  Il tratto dominante nella parabola e nei rapporti reali è l’indifferenza.

Arriviamo persino a teorizzare la nostra indifferenza come un diritto di difesa. Chiudiamo gli occhi di fronte a tante miserie, a tante sofferenze, a tante povertà e osiamo giustificarci: cosa possiamo fare? Non possiamo impoverirci, non servirebbe a niente, la povertà rimarrebbe comunque nel mondo. Noi abbiamo già dato, adesso tocca agli altri. Non se ne può più di questi profughi che vengono a insozzare la nostra società.

Pensiamo di farla franca, ma arriverà l’inferno e non si tratta di un inferno per i creduloni, un luogo teorico e didattico: è qualcosa di credibile e concreto. Non possiamo pensare di farla franca nell’aldilà, ma già in questo mondo: i profughi continueranno ad arrivare, noi li respingeremo e ne arriveranno ancora di più e la nostra società sarà giustamente scombussolata. Oltre tutto non abbiamo nemmeno l’umiltà di ammettere di avere bisogno di questi soggetti. Come se il ricco epulone non avesse più servitori e si rifiutasse di far lavorare il povero Lazzaro. Indifferenza e stupidità! Meritiamo un doppio inferno!

I mostri nei cassetti

La finanza pubblica è costretta a passare in mezzo a Scilla e Cariddi, i suoi due mostri, poco leggendari e molto reali, che corrispondono all’evasione fiscale e allo spreco della spesa pubblica. Quando si ragiona della quadratura del cerchio dei conti pubblici mi viene spontaneo non pensare tanto a nuovi provvedimenti a livello di entrate e/o di uscite, ma a come tutto potrebbe funzionare a meraviglia portando l’evasione a livelli accettabili in linea con gli altri Paesi e combattendo seriamente e rigorosamente gli sprechi del pubblico denaro.

A questo punto vorrei introdurre una paradossale esemplificazione di un amico medico il quale aveva esercitato la sua professione in strutture private e pubbliche. Per rendermi plasticamente l’idea della differenza fra le due impostazioni gestionali mi disse: «Nelle case di cura private assistevo con apprensione al “riciclaggio” delle garze, nei reparti degli ospedali pubblici vedevo con fastidio medici ed infermieri pulirsi le scarpe utilizzando garze sterili». Se tanto mi dà tanto…

È inutile parlare di nuove tasse se non si riescono a incassare quelle già esistenti; è assurdo ipotizzare sforamenti di bilancio se prima non si fa tutto il necessario per contenere spese inutili e improduttive. Sono convinto che i nostri partner europei, allorquando andiamo a battere cassa, penseranno: perché questi simpaticoni di italiani, prima di chiederci il permesso di aumentare deficit e debito pubblico, non cercano di migliorare il loro sistema di entrate ed uscite pubbliche? Non saprei cosa rispondere, se non che hanno mille ragioni.

Tutti gli esperti in materia dicono che, se si avviassero a soluzione questi due corni del problema, la finanza pubblica respirerebbe a pieni polmoni e consentirebbe di impostare politiche di sostegno a livello sociale ed economico. Anche gli indici di misurazione del nostro stato di salute devono tenere conto di queste anomalie. Il Pil va implementato con l’economia sommersa, il tasso di occupazione va integrato col lavoro nero e via di questo passo. La disoccupazione nel nostro Paese è meno grave di quello che appare proprio per il lavoro nero su cui, peraltro non vengono pagate tasse e contributi. Quando si dice che dipendenti e pensionati pagano fino all’ultimo centesimo, non è proprio vero, o per meglio dire è vero solo per chi lavora regolarmente. E così via.

Vorrei però spendere due parole ulteriori sugli sprechi e sulla finanza allegra. Sono stati affidati, in questo delicato campo, incarichi a fior di esperti per mettere il dito nelle piaghe e cercare di risanarle: ho la netta impressione che non siano stati ottenuti risultati significativi. Molto spesso ci si limita a sforbiciare qua e là, a tagliare dove le resistenze sono più deboli, a sacrificare settori ad alto contenuto sociale, a premiare chi nella pubblica amministrazione non lavora o lavora poco, gravando in modo spropositato su chi fa il proprio dovere, lasciando inalterati i meccanismi burocratici forieri di inefficienze e diseconomie.

Non c’è governo e ministro che tenga, se non si correggono questi perversi meccanismi, nessuno riuscirà mai a quadrare i conti e ad impostare una seria politica di bilancio. Scaricheremo le colpe sulle ristrettezze imposte dalle pur esagerate e riformabili regole europee, ma non usciremo mai dalla debolezza dei nostri conti pubblici. Alla fine si sa come vanno queste cose: ci rimettono sempre i più deboli e quanti hanno meno voce in capitolo. Quindi, di fronte al solito ritornello della mancanza di risorse nella casse dello Stato, mi chiedo: chi l’ha detto? Forse basta cercare le risorse dove dovrebbero essere e sciuparne un po’ meno.  Agli scheletri negli armadi si aggiungono i mostri nei cassetti.

 

Il finimondo grillino

Vuoi vedere che, mentre tutti si preoccupano di valutare l’impatto negativo che potrebbero avere sul governo Conte II la scissione renziana e soprattutto la volubilità di Renzi, il pericolo per la sopravvivenza governativa viene dal M5S e dai suoi subbugli non più di tanto occultabili e comprimibili? Si fa un gran parlare di sommovimenti all’interno del movimento, dovuti all’indebolimento della leadership (?) dimaiana, alla perdita di controllo sulla situazione da parte del fondatore Grillo, all’insopportabile peso dirigista del pur sfilacciato gruppo dirigente, all’irritazione per l’accordo col nemico giurato piddino, alle simpatie verso l’ex alleato leghista, al logorio storico del potere per chi lo vorrebbe combattere sempre e comunque. Sembra effettivamente un’accozzaglia senza capo né coda, incapace di trovare il difficile equilibrio tra la viscerale spinta “rivoluzionaria” e la ragionata scelta “riformatrice”.

Sono arrivati al punto da minacciare multe salate per chi dovesse allontanarsi dal movimento per approdare ad altro gruppo parlamentare, si chiami Lega, Italia viva o chissà cosa. Ho comprensione per una formazione politica che fa dell’antisistema la sua base ideologica, che si vede catapultata nel sistema con responsabilità di governo e nella necessità di fare i conti nel potere e col potere. Tutti i giorni cercano disperatamente uno specchietto antipolitico per le allodole, ma non può durare e la contraddizione diventa sempre più insostenibile. L’abbattimento del numero dei parlamentari funziona un po’ da ultima spiaggia, ma, se il Pd apre la porta e vota questo provvedimento, i grillini cadono e non hanno più nulla da dire e polemizzare.

La convivenza con la Lega era difficile, problematica, quasi paradossale, ma forniva continuamente una buona sponda per il gioco dell’antisistema: era una gara in tal senso, che poteva tenere caldo l’elettorato e garantiva un minimo di coerenza tattica. L’alleanza col Pd ha invece un carattere politico, rischia addirittura di diventare una convivenza strategica e allora può essere un autentico bagno di sangue. Si deve passare dalla lotta contro il sistema alla riforma del sistema: il passo è lunghissimo, forse più lungo della gamba pentastellata. Potrebbe essere questo il gran busillis governativo. Riuscirà Giuseppe Conte a conquistare la leadership del movimento in senso riformista? Gli si potrebbe sciogliere in mano. Ecco forse il vero pericolo per la stabilità di un governo già pieno di problemi di tutti i tipi.

La storia insegna che chi ideologicamente combatteva il sistema, una volta convertito al sistema, ne diventa un pessimo gestore, facile ai compromessi più deleteri. Il salto della quaglia! Successe al partito socialista, quando si convertì alla collaborazione con la democrazia cristiana nell’ambito del centro-sinistra. Eloquente è lo scambio di battute fra Indro Montanelli e Fernando Santi (un vero socialista radicalmente contrario al centro-sinistra). «Ma perché, onorevole, chiese Montanelli, lei è così ostile a questo nuovo equilibrio politico-governativo?». «Lei non li conosce i miei compagni, rispose Santi, una volta entrati nelle stanze del potere, sarà un finimondo…».

Forza Italia viva

Giudico l’operazione Renzi idealmente debole, storicamente scialba, politicamente inopportuna: non si può improvvisare un partito a prescindere dai valori, dalle radici e dalla cultura, legando un sacco vuoto con la corda del personalismo. Matteo Renzi si è destreggiato abilmente nel soggiorno governativo, è scivolato ed è caduto nel salotto istituzionale, sta combinando pasticci nella cucina politica.

Ciò detto, forse qualcosa di buono potrebbe anche succedere, qualcosa di inaspettato. Si sta infatti registrando una modesta attenzione da parte dei quadri dirigenti del PD, mentre la prospettiva di questa strana “Italia viva” sta creando un qualche benefico imbarazzo nell’area moderata della destra, tra chi, cioè, non ne può più delle trombonate narcisistiche e populistiche di Salvini.

Probabilmente nel mondo post-berlusconiano si rifiuta il ruolo gregario all’interno dell’agglomerato sovranista della destra e quindi si va alla ricerca di un nuovo protagonismo, per il quale la proposta renziana può avere un suo indiscutibile appeal: una sorta di berlusconismo riveduto e corretto o, se si vuole, un renzismo berlusconizzato ma non troppo.

Se servisse a scompigliare il moderatume elettorale, l’iniziativa renziana potrebbe trovare un senso ed avere un effetto benefico: una fettina di riformisti scontenti e una fettona di moderati contenti. Ed eccoci arrivati al tanto evocato partito di centro che si allea, a seconda dei casi, con la sinistra o con la destra. Vista l’attuale connotazione anti-democratica del leghismo e il balbettamento antipolitico del M5S, non rimane altro che un’alleanza con la sinistra rappresentata dal PD e dai suoi inevitabili cespugli.

Conoscendo la vocazione renziana a ricoprire tutte le parti in commedia, il rischio è che “Italia viva” crei solo disturbo e irritazione in tutti e raccolga solo gli scontenti, financo quelli del grillismo in via di sgonfiamento, senza offrire prospettive politiche serie e durature. Rifare la democrazia più o meno cristiana è una gara piuttosto dura: staremo a vedere, legge elettorale permettendo. Il rischio maggiore mi sembra quello di un delirio di onnipotenza renziano contrapposto a quello salviniano: le avvisaglie ci sono, vedi l’annunciato confronto televisivo tra i due leader. Detta come va detta, Renzi non deve giocare a fare il capo della sinistra o del centro-sinistra, sfruttando la debolezza della classe dirigente piddina. Resti nel suo orto e forse potrà coltivarlo bene con risultati apprezzabili.

In questo movimentato terreno non so se possa avere un ruolo il mondo cattolico: non per mettere l’etichetta cristiana a “Italia viva”, non per convertire all’umanesimo cristiano il partito democratico rimasto senza religione e senza liturgie, non per intrufolarsi nei meandri della politica, men che meno per farsi abbagliare dalla strumentale simbologia salviniana, ma per dare voce ai valori che rischiano di rimanere nel sottoscala.

 

L’orgia dei prepotenti

Durante la sessione dell’Onu dedicata alle problematiche del clima sono state naturalmente espresse molte preoccupazioni e molte buone intenzioni: speriamo che le une siano compensare dalle altre. Il clima politico della discussione non era tuttavia meno inquietante di quello naturale.

Il presidente Usa Donald Trump, che in un primo momento sembrava non dovesse intervenire, tanta è la sua insensibilità e la sua posizione negazionista rispetto ai problemi della salvaguardia della natura, ha fatto un’assurda comparsa (minacciato tra l’altro di impeachment dal suo Parlamento): nel suo intervento infatti non ha mai citato il clima, in compenso ha fatto un’affermazione paradossalmente antistorica, ha cioè affermato che il futuro è nelle mani dei patrioti e non dei globalisti. Si può intuire cosa intendesse dire: ognuno si preoccupi della sua patria e lasci perdere il mondo. “Cittadini di tutto il mondo…fate i c…. vostri”. Musica per le orecchie dei sovranisti sparsi un po’ dappertutto.

In perfetta sintonia con Trump si è espresso il presidente brasiliano Bolsonaro, che dal podio delle Nazioni Unite, ha ribadito il diritto sovrano a gestire la questione Amazzonia come meglio crede, perché “l’Amazzonia non è patrimonio dell’umanità”. Il presidente sovranista di estrema destra ha detto: “È un errore affermare che è patrimonio dell’umanità e un malinteso confermato dagli scienziati dire che le nostre foreste amazzoniche sono i polmoni del mondo”. Il presidente ha inoltre accusato i media internazionali di aver mentito sulla situazione reale della foresta: “Non è successo quello che i giornali internazionali hanno raccontato. Erano tutte bugie”, e ha definito gli interventi dei leader mondiali a favore del salvataggio dell’Amazzonia, colonialisti. “La foresta non è devastata e gli incendi non sono così pericolosi da temere il peggio”, ha polemizzato Bolsonaro smentendo platealmente scienziati, foto satellitari e Ong che da sempre si occupano di ambiente.

Ma all’Onu era presente anche il premier inglese Boris Johnson, al quale è arrivata la notizia che la Corte Suprema del suo Paese si era pronunciata: la decisione di Boris Johnson di sospendere il Parlamento è «illegale» ed è stata motivata dalla volontà di impedire ai deputati di svolgere il loro legittimo ruolo di scrutinio delle attività dell’Esecutivo. Gli undici giudici hanno raggiunto all’unanimità un verdetto devastante per il premier britannico. Il Governo non ha presentato «alcuna giustificazione plausibile o ragionevole» per la sua decisione di bloccare i lavori della House of Commons per cinque settimane, ha dichiarato stamani Lady Hale, presidente della Corte Suprema. Ecco un altro sovranista, che intenderebbe addirittura sconvolgere l’assetto istituzionale inglese, prevaricando il Parlamento per strizzare l’occhio al suo popolo bue.

Non sono certamente migliori altri personaggi potenti del mondo: ad esempio il russo Putin e il cinese Xi Jinping. L’aria che tira è questa: i potenti che non si accontentano di essere tali, ma si comportano da prepotenti. Per loro negare l’esistente è quasi un obbligo, snobbare le istituzioni un imperativo, illudere il popolo rappresenta il loro stile politico. In questa folle deriva mondiale siamo purtroppo invischiati anche noi, come Europa e come Italia. Meno male che i sovranisti a livello europeo gridano molto, ma non contano un cazzo: meno male che Matteo Salvini, il prepotente nostrano, ha trovato chi lo ha messo a cuccia, anche se di lì continua ad abbaiare. Fino a quando i prepotenti non riusciranno a portare il mondo allo sfascismo?  “Cittadini di tutto il mondo…fate i cazzi vostri”, sembrano gridare Trump e soci. Bisogna avere il coraggio di rispondere, restando nel linguaggio scurrile: “Fare i c…. nostri non vuol dire ascoltare le teste di c….”. Chiedo scuso della volgarità nascosta dietro i puntini, ma quanno ce vo, ce vo!

L’assistenza più pubblica che sociale

Sarà bene che la magistratura faccia luce, il più in fretta possibile, sull’inquietante vicenda di Bibbiano, che è diventata materia di violenta polemica politica con reiterati attacchi al partito democratico reo di avere suoi esponenti attivamente o passivamente implicati.

Stando alle ricostruzioni giornalistiche, i fatti sarebbero scandalosamente seri: in poche parole i responsabili dei servizi sociali del comune forzavano, colpevolmente o addirittura dolosamente, a dismisura le situazioni di disagio minorile all’interno di certe famiglie a rischio per ottenere l’affido dei figli a strutture amiche con vantaggi economici conseguenti, il tutto in un giro di favori, connivenze, falsità e violenze sui minori stessi (costretti a dichiarare il falso con minacce e subdoli procedimenti psicologici), al coperto di un sistema pubblico assistenziale a dir poco invadente, ma sconfinante nella criminale strumentalizzazione dei rapporti con le famiglie più o meno in difficoltà.

Probabilmente sulla base delle situazioni famigliari a rischio si costruiva un castello di rapporti insostenibili, che consentivano l’adozione di misure estreme con tanto di affidamento dei minori ai servizi sociali comunali e alle strutture con essi convenzionate. Così ho capito e naturalmente mi sono stupito, scandalizzato e indignato. È proprio vero che su tutto si può speculare anche sulla pelle dei bambini e sulle loro famiglie. Fin qui saremmo alla cronaca della delinquenza, che si annida anche nei servizi pubblici e nel campo dell’assistenza sociale. In assoluto non si tratta di novità, ma di eventi che fanno comunque rabbrividire. Che la delinquenza si introduca nelle vicende umane sfruttando anche le occasioni offerte dalla pubblica amministrazione non è un fatto nuovo: certo, un conto è speculare sui loculi cimiteriali, un conto è rovinare la vita di un bambino e della sua famiglia per fare soldi.

Non so fino a che punto gli amministratori competenti fossero conniventi o semplicemente distratti. L’inquietudine aumenta: possibile che un sindaco, un assessore, un consigliere comunale e tutti coloro che ricoprono cariche pubbliche non fossero a conoscenza di queste procedure artefatte e violentemente lesive dei diritti delle persone? Può darsi che abbiano tenuti chiusi gli occhi, ma non si può dormire nello svolgimento di certi incarichi e nell’assunzione di certe responsabilità. Se sapevano e tacevano per convenienza o per vigliaccheria, le cose peggiorano e il marciume si allarga.

C’è però un ulteriore livello a cui tutti si riferiscono senza avere il coraggio di affrontarlo con sincerità e onestà intellettuale da entrambe le parti; da chi mette genericamente la sinistra sul banco degli imputati ritenendola responsabile direttamente o indirettamente di una deriva pubblicistica dell’assistenza sociale all’ombra del rapporto affaristico tra pubblico e privato sociale in nome del prevalente interesse pubblico rispetto ai diritti delle persone; da chi dovrebbe fare chiarezza sulla propria impostazione politica dell’assistenza sociale e sui relativi schemi di intervento e sulle procedure di comportamento. Tanto per essere chiaro e muovermi fuori dagli schemi politici: in Emilia Romagna si è esagerato pretendendo di strutturare tutta la società con l’intromissione dei pubblici poteri a tutti i livelli e in tutti i sensi? In parte sì, ma non vorrei che l’acqua sporca affogasse il bambino.

La sinistra politica ha il merito di avere attenzionato ed affrontato i problemi sociali fornendo soluzioni strutturali avanzate in un rapporto benefico tra pubblico e privato. C’è da chiedersi se questa osmosi non sia diventata anche il pretesto per omologare il sociale chiudendolo nella scatola più o meno dorata del favoritismo e della strumentalizzazione politica. Questo mi sembra il nodo da affrontare, non con le magliette provocatorie esibite in Parlamento, non con le pacchiane e demagogiche presenze infantili sui palchi dei comizi, non gettando fango su tutto e tutti, non identificando l’avversario politico con una banda di profittatori, ma, prendendo spunto da certe gravissime vicende, per discutere di modelli apparentemente virtuosi, che però possono nascondere brutti tranelli nonché pericolose e devianti esagerazioni.

Conte e i gabbiani

Quando giudicava positivamente, pur con la necessaria cautela, un politico, soprattutto un personaggio chiamato a governare il Paese, mio padre si esprimeva in modo eloquentemente colorito:  “Al n’é miga un gabbiàn…  a  pära facil mo l’ é dificcil bombén… né gh vól miga di stuppid parchè i stuppid i s’ fermon prìmma”. Lo avrebbe detto sicuramente di Giuseppe Conte, superando tutte le perplessità sollevate dalla sua prima esperienza governativa e forse ancor più dalla seconda che si sta avviando.

Non voglio nascondermi dietro le battute paterne per scusarmi di essermi in parte sbagliato nei confronti di Giuseppe Conte. Ero partito considerandolo un premier improvvisato, uscito dal cilindro grillino, un burattino manovrato da Di Maio e Salvini, un personaggio scialbo e grigio stretto nella morsa pentaleghista, un uomo con poca dignità chiamato a svolgere un compito spropositato rispetto alla sua esperienza ed alla sua preparazione. Forse non avevo tutti i torti, ma il tempo sta dando ragione a lui. Con molto equilibrio e grande prudenza, sotto la sapiente sorveglianza del Capo dello Stato, ha saputo conquistare il favore della gente e dei colleghi di mezzo mondo fino a liberarsi, in modo quasi spregiudicato, del gravame leghista per riproporsi nel suo ruolo con una compagine riveduta e corretta.

Spero che il vero Giuseppe Conte sia quello che sta emergendo nell’ambito dei primi passi del governo giallo-rosso. Non a caso si intravede nei suoi confronti una certa qual insofferenza di Luigi Di Maio, il quale probabilmente si era abituato a vivere la presenza di Conte come una mera sponda rispetto alla prepotenza del gioco politico giallo-verde ed ora si trova a fare i conti con un interlocutore autonomo ed autorevole che gli fa ombra e gli crea qualche fastidio.

Giuseppe Conte, senza esagerare nei miei giudizi per farmi perdonare l’ipercriticità iniziale, sta dimostrando una certa convinta autonomia d’azione pur nel dovuto rispetto delle forze politiche che lo sostengono. Ha conquistato con le buone maniere un ruolo significativo a livello europeo ed internazionale, sta lanciando messaggi dialoganti alle forze sociali, sta dimostrando un garbo ed una misura ammirevoli nell’approccio ai gravi problemi esistenti sul tappeto. È presto per gridare al miracolo, ma, se la giornata si vede dal mattino, si può sperare in qualche squarcio di sereno.

Per la verità il mio cambiamento di giudizio nei suoi confronti è maturato gradualmente e quindi non è soltanto dovuto alla sua virata politica piuttosto imbarazzante ed azzardata. Ho visto crescere la mia stima nei suoi confronti ascoltandolo ed apprezzandone la correttezza e l’eleganza e soprattutto la deferenza nei confronti delle istituzioni democratiche, in particolare del Parlamento che lo aveva fiduciato e del Presidente della Repubblica che lo aveva nominato. Poi è arrivato il capolavoro della totale presa di distanza dall’insopportabile e pericoloso fanfarone nemico e anche dai fanfaroni amici, della ricreata verginità in vista di un clamoroso ma necessario ribaltone.

Ho seguito con interesse la sua recentissima partecipazione ad un dibattito con Maurizio Landini, leader CGIL, di fronte ad una platea molto attenta nell’ambito delle Giornate del Lavoro. Due personaggi, come direbbe mio padre, “chi pòccion int al so’ calamari”, finalmente alla ricerca di un dialogo schietto e costruttivo, due galantuomini a confronto. Si respirava un’aria positiva, lontana dalle solite forzate ed artificiali dialettiche. Ognuno impegnato a fare il proprio mestiere con molto impegno e tanta convinzione, senza demagogia e senza propaganda. Era ora!

 

La lingua governativa e il dente fiscale

Mio padre non era un economista, non era un sociologo, non era un uomo erudito e colto. Politicamente parlando aderiva al partito del buon senso, rifuggiva da ogni e qualsiasi faziosità, amava ragionare con la propria testa, sapeva ascoltare, ma non rinunciava alle proprie profonde convinzioni mentre rispettava quelle altrui. Volete una estrema sintesi di tutto cio? Eccola! Rifletteva ad alta voce di fronte alle furbizie varie contro le casse pubbliche: «Se tutti i paghison e i fisson col ch’l’è giust, as podriss där d’al polastor aj gat…». Un autentico manifesto per la lotta all’evasione fiscale.

Non c’è governo che non inserisca questa necessità nel proprio programma e anche il Conte II non fa eccezione alla regola. Stando ai dati più o meni ufficiali, esaminati in un recente articolo de “La Repubblica”, “l’evasione corre sulle tre cifre, il recupero dell’evasione su due. Ogni anno lo Stato non riesce a incassare 109 miliardi, tra imposte e contributi. Ogni anno ne recupera 16, saliti ultimamente a 19 solo grazie a rottamazioni e condoni. Malgrado i recenti progressi, la montagna dell’infedeltà fiscale è ancora là, integra e minacciosa. E ci impedisce di andare avanti, in tutti i sensi. Facile il conto di cosa potremmo fare con 109 miliardi”. Altro che taglio dei parlamentari…

Quali sono i motivi a cui ascrivere questo fenomeno di malcostume e di malgoverno? C’è di base una mancanza di senso civico e persino di senso religioso. Evadere le imposte, tutto sommato, è una furberia accettabile e, per i credenti, un peccato veniale.

“Le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute”. Il ministro Tommaso Padoa-Schioppa qualche anno fa, discutendo su tasse e welfare, diceva così e aggiungeva: “Ci può essere insoddisfazione sulla qualità dei servizi che si ricevono in cambio, ma non un’opposizione di principio sul fatto che le tasse esistono e che si debbano pagare”. Per i benpensanti destrorsi, che facevano finta di non capire e irridevano ai pronunciamenti etici dell’illustre pensatore prestato alla politica, si trattava di “una frase rivelatrice della cultura e della mentalità, che vede nell’imposizione fiscale una sorta di misura salvifica rispetto al peccato commesso da chi guadagna con il suo lavoro o la sua impresa”, di “una visione penitenziale e punitiva della vita che si combina con il paternalismo altezzoso e arrogante dei governanti di sinistra”.

Qualcuno arriva a teorizzare, dal punto di vista civico ed economico, che non pagare le tasse sia un bene in quanto, così facendo, si sottraggono risorse a corrotti e corruttori, agli spreconi ed ai fannulloni e di conseguenza si rimette in circolo una ricchezza diversamente costretta a rimanere inerte nelle casse dello Stato o a finire nelle mani di profittatori di ogni genere. Questa comoda giustificazione trova un riscontro interessante nella storia del nostro dopo-guerra: il boom economico, si dice, lo realizzarono i piccoli lavoratori autonomi, che, lavorando in nero e sudando sette camice nelle cantine delle grandi città del Nord-Italia, crearono benessere e ricchezza per tutti. Un po’ di verità c’è, ma il discorso è molto più complesso.

Per quel poco che ho imparato lavorando in campo fiscale ed amministrativo, posso affermare che il ginepraio di leggi, regolamenti e adempimenti, esistente in questa materia, non è affatto funzionale ad un minuzioso controllo dei contribuenti, ma finisce col creare il brodo di coltura per l’evasione, soprattutto quella dei pesci grossi, che nuotano con grande abilità nel torbido mare della confusione normativa con l’ulteriore vantaggio di usufruire periodicamente di condoni, totali o parziali che siano. I controlli, eseguiti in base a logiche piuttosto incomprensibili, finiscono col tartassare spietatamente e, a volte anche sommariamente, i pochi che cadono nella rete. Non c’è da fidarsi della buona fede dei contribuenti, ma c’è da dubitare anche della preparazione, competenza e perizia dei controllori. E non aggiungo altro per carità di Patria.

Se il governo Conte II intende voltare pagina avrà, come si suole dire, del filo da torcere. D’altra parte, se è vero come è vero, che un governo di sinistra deve qualificarsi sul piano dell’eguaglianza e della giustizia sociale, non v’è dubbio che la leva fiscale rappresenti uno strumento fondamentale per redistribuire il reddito e per sostenere politiche sociali a favore dei soggetti e dei territori svantaggiati. Nessuno ha la bacchetta magica per far pagare le tasse agli italiani, ma provarci seriamente e concretamente è un dovere per un governo. Se il M5S vuole cambiare il sistema, questa è la via maestra al di là dei velleitarismi contro i poteri forti e contro l’establishment. Se il PD vuole recuperare credibilità e consensi deve avere l’umiltà e la pazienza di ricominciare dal tasto dolente delle tasse.

 

I gretini non sono cretini

È una vera e propria rivoluzione culturale o una ridondante e mediatica moda ecologista? Me lo sono chiesto di fronte alle manifestazioni globalizzate dei giovani a salvaguardia della natura e contro tutti i disastri che il mondo sta combinando.

Faccio parte di una generazione che si è battuta, con forza e convinzione mista a violenza e illusione, per una società più giusta, a misura d’uomo: era una, pur velleitaria, ricerca di cultura alternativa, di un modo diverso di porsi davanti alla realtà. Non so quanti segni di cambiamento e di progresso siano rimasti, difficile da stabilire, impossibile da verificare. Come sarebbe oggi il mondo se i giovani, negli anni sessanta, non avessero protestato e lottato contro le ingiustizie, le diseguaglianze, gli sfruttamenti, etc. etc. Qualcuno sostiene che, dopo tutto quel gran casino, i giovani si siano “imborghesiti” ed abbiano ricostituito la società su basi rivedute e scorrette. Mi sembra un giudizio storico ingiusto e impietoso.

Cosa resterà della sommossa ecologista scoppiata in questo periodo sulle piazze di mezzo mondo? Qualcuno grida al miracolo dell’autoconvocazione globale, qualcuno snobba il tutto riducendolo a “gretinismo” ecologico, ultima e diffusa versione del cretinismo salottiero e domenicale degli improvvisati fans naturisti.

Che milioni di ragazzi scendano in piazza per testimoniare, seppure in modo alquanto retorico, la loro fede nella bontà della natura e nella cattiveria degli uomini che la deturpano, mi sembra un fatto rilevante al di là delle facili e mediatiche emulazioni in corso. Che le nuove generazioni prendano coscienza della rovinosa deriva in cui siamo immersi, non è cosa da poco. Come sempre la mobilitazione sociale comporta dei pericoli: rimanere alle grida-contro che scivolano sul vetro della conservazione o, nel caso dei cambiamenti climatici, sullo scetticismo del già visto e già vissuto; scendere sul terreno degli entusiasmi collettivi per lasciare inalterati gli equilibri societari di potere; mettere a posto la coscienza vagheggiando il paradiso terrestre.

Non saranno sufficienti le risposte dei governi, non basteranno gli accordi internazionali e, ancor meno, i protocolli tra i potenti della terra, ma qualcosa dovrà pur cambiare. Può darsi che il punto d’attacco progressista sia proprio quello dell’ecologismo, del ripartire dalla natura e dall’ambiente per impostare una società diversa. La provocazione giovanile non va sottovalutata. I giovani vanno presi sul serio e non snobbati o ridicolizzati. Ammetto di non essere in sintonia con la loro mentalità, sono figli del nostro mondo e ben venga che pretendano di diventare protagonisti del loro mondo.

Non so andare oltre il rispetto e l’attenzione, non riesco a vedere gli sbocchi immediati per un impegno concreto in difesa dell’ambiente naturale che, come sostiene papa Francesco, è anche ambiente umano e sociale. I giovani devono costruire il loro futuro partendo dalla loro fantasia creativa, perché quello che gli stiamo consegnando non basta. Lasciamoli creare e lavorare!