Al guären di can in céza

Si riapre il caso Diciotti. La Cassazione, sezioni unite civili, il massimo livello della giustizia, ha accolto il ricorso di un migrante eritreo che era a bordo della nave della Guardia costiera che su ordine del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, dal 16 agosto al 25 agosto 2018, nei primi quattro giorni non fu autorizzata ad attraccare in un porto italiano e nei successivi sei giorni, una volta permesso l’attracco nel porto di Catania, non ottenne il consenso allo sbarco sulla terra ferma. Per la Cassazione invece dovevano sbarcare subito e quindi il danno per i migranti c’è stato, e deve essere risarcito, diversamente da quanto deciso un anno fa dalla Corte d’appello di Roma. (dal quotidiano “Avvenire”)

Nei giorni scorsi abbiamo assistito a clamorose divisioni nella maggioranza di governo in materia di politica europea: la premier Meloni si è presentata al Consiglio europeo strordinario con alle spalle violenti scontri e divergenze sulle strategie difensive, sulle scelte inerenti le armi, sugli eventuali interventi a garanzia dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Sono volati gli stracci fra Salvini e i partner di governo. Un paio di giorni ed ecco la ritrovata unità nel dare addosso alla magistratura ed ai migranti da essa difesi nei loro sacrosanti diritti.

«Non credo siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni e confesso che dover spendere soldi per questo, quando non abbiamo abbastanza risorse per fare tutto quello che sarebbe giusto fare, è molto frustrante». Lo afferma sui social la premier Giorgia Meloni, commentando la sentenza con cui la Cassazione ha accolto il ricorso di un gruppo di migranti a cui, dal 16 al 25 agosto del 2018, dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, fu impedito di sbarcare dalla nave Diciotti.

«Non so cosa rispondere, credo che il dovere del governo sia di difendere i confini nazionali, ma se tutti gli immigrati irregolari chiedessero un risarcimento così facciamo fallire le casse dello Stato. È una sentenza che non condivido, non ne condivido le basi giuridiche». Così il ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia Antonio Tajani a una domanda sulla decisione della Cassazione sul risarcimento chiesto al governo per i migranti trattenuti sulla nave Diciotti.

«Sentenza della Cassazione sulla Diciotti? Ennesima vergogna. Chiedere dopo anni che siano i cittadini italiani a pagare per la difesa dei confini, di cui ero orgogliosamente protagonista, è indegno. Paghino i giudici e accolgano i clandestini, se ci tengono tanto». Lo afferma sui social il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini. (sempre dal quotidiano “Avvenire”)

Quando si litiga, è facile e comodo trovare l’accordo nel dare addosso ai poveri cristi, ai cani in Chiesa che nessuno sopporta. Il governo italiano è salvo! Che vergogna!

 

 

 

La pace, se non è giusta, che pace è

«Serve una pace giusta, che non crei un omaggio alla prepotenza delle armi». Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel corso della sua visita in Giappone ha rilasciati un’intervista all’emittente nipponica Nhk. «È da tre anni che l’Italia chiede che ci si sieda ad un tavolo per negoziare una pace naturalmente duratura e giusta. Occorre che si arrivi ad una soluzione che non mortifichi nessuna delle due parti».

Dopo gli attacchi arrivati dalla portavoce del ministro degli Esteri russo Lavrov, Maria Zakharova, Mattarella senza farvi esplicito riferimento ribadisce che «quella della Russia all’Ucraina è stata un’aggressione in violazione delle regole del diritto internazionale, della carta dell’Onu, di ogni regola di convivenza tra i Paesi». E ora «è evidente che una soluzione di pace deve essere circondata da garanzie che non si riprendano le ostilità. Ed essendo la Russia molto più potente e molto più armata dell’Ucraina significa garanzie per la sicurezza dell’Ucraina».

Tuttavia, i negoziati di pace non sono ancora iniziati e quindi, per Mattarella «è prematuro» discutere di soluzioni come l’eventuale invio di forze militari in Ucraina per svolgere una funzione di peacekeepers successivamente ad un cessate il fuoco.

Emerge sempre più chiaramente che «rafforzare la difesa europea è uno sviluppo naturale dell’integrazione europea che è andata avanti in questi decenni».

Guardando, in uno scenario più ampio, al nuovo corso avviato dall’Amministrazione Trump con la politica di dazi, «un mondo fatto di economie chiuse, in contrapposizione tra di loro, è un mondo invivibile. Invece un mondo fatto di economie aperte – conclude il capo dello Stato – è quello che nella storia ha sempre accompagnato la pace». (dal quotidiano “Avvenire” – Angelo Picariello)

Meno male che c’è Mattarella a portare un po’ di buon senso e di equilibrio nei rapporti internazionali. In un momento storico improntato alla improvvisazione e allo scontro, una boccata d’ossigeno ci fa del bene.

La difesa europea senza mettere il carro avanti ai buoi, l’invio di forze militari quale eventualità da valutare con calma in una logica di graduale pacificazione, le economie aperte da perseguire quale viatico alla pace, le garanzie per la sicurezza dell’Ucraina da basare come presupposto per il ritorno alle regole del diritto internazionale. La pazienza è il dato emblematico per la ricerca della pace giusta, che non si fondi sulla prepotenza delle armi.

Finalmente un messaggio positivo! Era ora…

 

 

Agenzie rare per lo sviluppo internazionale

“Cari amici, come sapete il 20 gennaio scorso il Presidente Trump ha firmato un ordine esecutivo che congelava per 90 giorni i finanziamenti gestiti da UsAid (l’Agenzia governativa statunitense per lo sviluppo internazionale) destinati ai programmi di aiuto umanitario. Il 27 febbraio questa sospensione è diventata definitiva e gli aiuti sono stati ridotti del 92%. Ma cosa significa per il nostro ospedale?”. Inizia così una lettera aperta firmata da Giovanna Ambrosoli, della Fondazione Ambrosoli, che sostiene un grande ospedale a Kalongo, nel nord dell’Uganda, fondato dal padre comboniano Giuseppe Ambrosoli. Per l’ospedale di Kalongo il taglio ai fondi UsAid “significa non poter più garantire materiali, medicine e cure salvavita a migliaia di persone, non poter contare su uno staff dedicato, non poter più raggiungere le comunità più vulnerabili e prive di risorse, tutte attività essenziali sostenute da oltre 15 anni dai finanziamenti UsAid per la lotta all’Hiv”.

“La loro improvvisa cancellazione ha causato la sospensione immediata dell’intero staff medico dedicato alla cura dell’Hiv e la cancellazione di tutti i servizi di prevenzione e cura sul territorio costringendo i pazienti dei villaggi più lontani a recarsi in ospedale o a interrompere il trattamento per la mancanza di mezzi e risorse per raggiungerlo e rassegnarsi a drammatiche prospettive future”. Giovanna Ambrosoli aggiunge: “Noi siamo al lavoro per cercare soluzioni immediate per non lasciare sole le 3.087 persone che sino ad oggi hanno potuto contare sulle eccellenti cure della clinica Hiv e perché il personale non perda il lavoro lasciando l’ospedale privo della presenza di questi operatori dediti e competenti. Nell’immediato abbiamo potuto garantire per 3 mesi la copertura del costo di 23 membri del personale della clinica per la cura dell’Hiv che di fatto rappresenta il 9% del personale dell’ospedale. Ma sappiamo che i nostri enormi impegni nel sostenere la continuità dei servizi ospedalieri non ci danno la certezza di poter mantenere questo ulteriore supporto perché la nostra maggiore responsabilità è garantire la continuità di tutti i servizi ospedalieri, non solo quelli dedicati all’Hiv”. “Restateci vicino – questi l’appello – per continuare a proteggere la vita dei più fragili e garantire un futuro di cure e speranza per tutti”. (SIR Agenzia d’informazione)

La Corte Suprema ha bloccato la sospensione dei fondi Usaid decisa da Trump e quindi non si sa come finirà questa folle interruzione degli aiuti umanitari. Se negli Usa rimaneva acceso un barlume di umanità, ci ha pensato Trump a spegnerlo di brutto.

Siamo alla demagogia dell’anti-demagogia! E se l’Europa anziché stanziare fondi per il riarmo costituisse un’Agenzia per lo sviluppo internazionale in sostituzione di Usaid?! Sarebbe una gran bella provocazione: il miglior modo per rendersi autonomi rispetto all’isolazionismo imperante avviato dall’amministrazione Trump.

Dal momento che gli schemi politici si stanno rivelando inadeguati a delineare un futuro di pace, tanto vale ripiegare su schemi etici. La risposta europea a suon di spese militari e di contro-dazi non porta da nessuna parte. Mettiamoci in una logica diversa, cerchiamo di rifondare l’Unione europea sull’aiuto a chi soffre. Proviamo! E se qualcuno intenderà invaderci, si accomodi pure, anziché terre rare ricche di minerali, troverà agenzie governative rare piene di debiti umanitari.

 

L’ubriacatura riarmista

«Viviamo in un’era di riarmo». Ursula von der Leyen punta dritta al nodo della questione: il mondo gioca alla guerra e l’Ue si prepara. La presidente della Commissione europea propone perciò un piano per rendere l’Unione a prova di questi «tempi pericolosi», come li definisce lei stessa. Un piano che sarà discusso già tra due giorni, in occasione del vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dell’Ue del 6 marzo, e che snatura l’idea di pace alla base del progetto di integrazione, e che si palesa nel punto tre del piano inviato alle capitali e alle cancellerie di tutta Europa: gli Stati potranno usare i fondi di coesione per spese nel settore di difesa. Non più strade, ponti, ospedali, piste ciclabili, dunque. I fondi strutturali concepiti per rilanciare i territori e appianare i divari come quello nord-sud d’Italia verranno usati per altro. «Rearm Europe può mobilitare quasi 800 miliardi di euro in spese per la difesa per un’Europa sicura e resiliente», spiega Von der Leyen. (La Stampa – Emanuele Bonini)

Non so sinceramente se essere più preoccupato, meglio dire sconvolto, della orrenda piega impressa da Trump ai rapporti internazionali o della reazione avviata in sede europea. Speravo che l’attacco trumpiano potesse servire ad uno scatto di dignità, temo invece che serva a reagire in malo modo, mostrando i muscoli in una sorta di gara bellicista e riarmista. Ci stiamo accorgendo che è proprio quel che desidera Trump? Trascinarci in un vortice senza via d’uscita, diventando politicamente irrilevanti, commercialmente titubanti e strategicamente devitalizzati.

Possibile che l’unica risposta europea debba consistere nell’aumento delle spese militari, in una sorta di conversione da un’economia di pace ad un’economia di guerra? L’industria bellica si sta leccando i baffi e i mercati finanziari ne stanno prendendo atto: le armi le compreremo dagli Usa. La nostra economia soffrirà i dazi commerciali, ma respirerà con i polmoni d’acciaio.

Forse stiamo prendendo troppo sul serio le fandonie americane e ce ne facciamo condizionare. Anziché cercare nel nostro retroterra di civiltà, finiamo col rovistare nel laboratorio americano dell’inciviltà. È il momento di Irrobustire le mani fiacche, di rinsaldare le ginocchia vacillanti, di abbandonare la paura. Non c’è tempo da perdere? D’accordo, ma attenzione all’ansia cattiva consigliera.

I democratici non hanno mai applaudito, i repubblicani hanno consumato mani per applaudire il presidente Trump nel discorso davanti alle Camera riunite in stile Discorso sullo Stato dell’Unione. Una trasposizione dell’America divisa quella andata in scena a Capitol Hill ieri sera. Da una parte i conservatori a sostenere ogni virgola dell’agenda trumpiana, dall’altra gli orfani della presidenza Biden che hanno inscenato proteste mostrando palette nere con le scritte «Musk ruba» o «Falso» alzato ogni volta il presidente diceva qualcosa di poco aderente, secondo i criteri dem, al vero. Dopo pochi minuti è stato cacciato dall’aula il deputato del Texas Al Green che imperterrito ha interrotto più volte il discorso di Trump accusandolo di voler distruggere la sanità pubblica. Tre deputate poi a un certo punto si sono alzate, hanno dato le spalle a Trump si sono tolte la giacca e mostrato una maglietta nera con la scritta «Resist». Poi hanno lasciato l’aula. (La Stampa – Alberto Simoni)

Ebbene, dovremmo avere il coraggio di andare per la nostra strada. Come ho più volte ricordato e scritto, il presidente Sandro Pertini sosteneva, in un ammirevole mix di realismo, patriottismo e riformismo, che il popolo italiano non è né primo né secondo agli altri popoli. Il discorso vale a maggior ragione per il popolo europeo. Non facciamoci quindi prendere dal senso di inferiorità rispetto agli Usa. A tal proposito ricordo una simpatica barzelletta di uno storico personaggio di Parma, Stopàj. Questi, piuttosto alticcio, sale in autobus e, tonificato dall’alcool, trova il coraggio di dire impietosamente la verità in faccia ad un’altezzosa signora: «Mo salä che lè l’è brutta bombén!». La donna, colta in flagrante, sposta acidamente il discorso e risponde di getto: «E lu l’è imbariägh!». Uno a uno, si direbbe. Ma Stopaj va oltre e non si impressiona ribattendo: «Sì, mo a mi dmán la me pasäda!». Gli europei guardano la situazione e la trovano molto, troppo brutta, allora le si rivolgono contro assumendo toni disinibiti da ubriaco per farsi coraggio, con una differenza sostanziale: l’ubriacatura generale non dura solo un giorno, si protrae nel tempo e tutti sappiamo i danni irreversibili che può provocare.

 

   

Lo zoccolo duro dei valori condivisi

Il volto paonazzo, la postura aggressiva, le parole come pietre. Nulla di nuovo, purtroppo. Togliete Donald Trump dallo studio ovale mentre si scaglia contro Volodymyr Zelensky. Mettetelo in un’arena per comizi tra la folla osannante, in chiesa mentre ascolta le suppliche umanitarie di una donna vescovo o in un video creato dall’intelligenza artificiale nel quale prende il sole lungo la Striscia di Gaza insieme all’amico Benjamin Netanyahu. Sarà sempre lo stesso Trump, quello che da 40 giorni vuole sconvolgere il mondo. «C’è un nuovo sceriffo in città» direbbe J.D. Vance, il suo vice pronto ad aizzarlo e a blandirlo come ha fatto venerdì a Washington scatenando lo sdegno del leader ucraino. «Non fa nulla per correggersi, nulla per aderire alla missione pubblica che gli è stata affidata per la seconda volta dai cittadini americani» spiega Mario Morcellini, professore emerito di comunicazione all’Università La Sapienza di Roma. L’uomo più potente al mondo «fa di tutto per scuotere dalle sue spalle i pesi gravosi dell’incarico, moltiplicando all’infinito il suo istinto bestiale».
È la prova che la comunicazione politica è finita, perché è diventata tutto e il contrario di tutto. Un’arma potente da usare, ma anche un boomerang. «Siamo davvero alla regressione morale, alla secessione delle nostre certezze» ribadisce lo studioso quando gli si chiede se e come sopravvivremo a questo magma verbale, in cui escono ammiccamenti, paranoie, battute. «Donald Trump sta infliggendo alla coscienza pubblica occidentale una serie di colpi senza precedenti. Lavora sulle nostre percezioni e sulla nostra anima, provocando in noi un male oscuro, quasi psicologico».

(…)
Di questo passo, chissà quando misureremo i danni di questa sovreccitazione. «Alla fine resterà in piedi solo chi deciderà di non entrare in questo gioco perverso: chi non si servirà solo di una comunicazione fatta di punti esclamativi, ma anche di frasi più complesse, che prevedono soggetti, verbi e persino il congiuntivo» argomenta Morcellini. È l’unica buona notizia per l’Europa e per quella parte di Occidente che oggi è sgomenta: restare capaci di un pensiero e di una visione forse ci salverà. (Dal quotidiano “Avvenire” – Diego Motta)

In un simile disarmante contesto fanno sorridere le domande su cosa ne pensi Giorgia Meloni: è il personaggio totalmente incapace di un pensiero e di una visione; non aspettiamoci niente se non l’invito a rassegnarsi opportunisticamente. Gli altri leader europei, bene o male, stanno impostando una reazione, anche se ne vediamo i limiti. La risposta non può essere calata dall’alto della politica, ma salire dal basso della coscienza popolare. Anche i migliori commentatori stanno balbettando, le loro categorie di analisi non reggono.

Non è un caso se sto rinunciando all’ascolto dei dibattiti televisivi, anche i più seri e impegnati, per ripiegare sul dialogo interpersonale, che faccia rifermento alle esperienze concrete di vita democratica. C’è il rischio della nostalgia: a volte serve più la nostalgia che costringe a ripartire dallo zoccolo duro dei valori condivisi, piuttosto che andare in cerca di traballanti risposte nuove.

A livello europeo stiamo cadendo nella trappola: cerchiamo risposte comuni nel riarmo, nei riti pseudo-diplomatici, nei vuoti tatticismi. È cambiato il mondo, dobbiamo scendere per ripartire da un bastimento carico di…

 

Dagli immortali vertici

C’è una responsabilità del cristianesimo e della Chiesa in Europa. Oggi siamo passati alla prevalenza dell’“io” nella vita sociale e si fa fatica a far affermare un “noi europeo”.
Se non la Chiesa non vedo altre agenzie in grado di lanciare un discorso di comune sensibilità sull’Europa.
Oggi è la Chiesa a dover rilanciare un progetto europeo di pace, fratellanza e sviluppo. Insomma una comune visione. (dall’intervista di Andrea Riccardi al quotidiano “Avvenire”)

Al termine dell’agghiacciante scontro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky mi è venuto spontaneo chiedermi: chi potrà fermare l’arroganza del neo-presidente americano? La Cina? L’Europa? Il popolo americano? La religione? Verso tutte queste realtà Trump ha messo le mani avanti, può ingannare il mondo intero, ma non il Padre Eterno.

In questi giorni alla forza apparentemente irresistibile dei padroni del vapore fa riscontro la debolezza di papa Francesco: solo lui è un serio antidoto. Non si tratta di fuggire dalle proprie responsabilità, ma di collocarle nella giusta dimensione esistenziale.

Come europei possiamo fare uno scatto. Mi sembra invece che continuiamo a pestare l’acqua nel mortaio, passando da un vertice all’altro, abbiamo paura degli Usa, non ce la sentiamo di provare a prescindere dai diktat. Recentemente Massimo D’Alema ha osservato come la sinistra abbia impiegato decenni per sgravarsi di dosso l’anti-americanismo. E adesso ci si accorge che un po’ di sano antiamericanismo non faceva e non fa male.

Si tratta di ragionare con la propria testa anche perché, come dice padre Cristoforo a don Rodrigo, verrà un giorno…e non ce ne sarà per nessuno. La diplomazia avrà finito quel poco che rimane in suo potere. I superbi saranno dispersi nei pensieri del loro cuore, i potenti saranno rovesciati dai troni e finalmente saranno innalzati gli umili, i pacifici saranno riconosciuti come figli di Dio e i miti riceveranno in dono la terra.

Non so quali preghiere recitino i governanti Usa prima delle loro riunioni: ringrazieranno Dio farisaicamente e si sentiranno a posto. Qualcuno dovrà fare un serio esame di coscienza anche a livello europeo.

 

La rialfabetizzazione senza alfabeto

Elena Granata è docente di Analisi della città e del territorio e di Geografia urbana al Politecnico di Milano. Le trasformazioni territoriali, sociali ed economiche sono da anni al centro della sua ricerca.

“Siamo vivi. Qui a Trieste, nei rispettivi territori. Abbiamo avvertito la brezza dello Spirito, abbiamo compreso, insieme, che occorre partecipare”. Elena Granata, Vicepresidente del Comitato scientifico, interviene all’assemblea dei delegati della Settimana sociale, per individuare alcune “prospettive”. Indica la necessità di non dimenticare “ciò che abbiamo fatto qui”, perché c’è “il rischio” di ritenere che “sia stato tutto un sogno”. “Si tratta di continuare ad attenerci alla dinamica partecipativa che abbiamo sperimentato in questi giorni”. Occorre del resto “rialfabetizzarsi alla democrazia, e questo vale per ogni generazione”. Aggiunge: “L’elaborazione politica, l’agire pensante chiede un linguaggio nuovo, un pensiero che sta nella complessità, sviluppando competenze”. Partecipazione e democrazia chiamano in causa i “luoghi, perché non si può mai essere estranei rispetto ai luoghi in cui viviamo”. “Oggi a Trieste ci sentiamo spinti dalla ‘Fratelli tutti’. E non vorremmo che Papa Francesco debba scrivere una ‘Fratelli tutti 2’ perché non abbiamo messo in pratica la prima”. La professoressa Granata ricorda che i delegati hanno “sperimentato alcune formule”. Anzitutto “le piazze della democrazia, per mostrare come la democrazia deve tornare nelle piazze delle città”. Quindi segnala i “dialoghi tra le buone pratiche, spazi nuovi di messa in rete”, domandandosi “cosa possiamo fare per essere utili e sfidanti per la politica”. Cita infine la possibilità di “promuovere luoghi di confronto e discernimento” tra persone impegnate in politica. (AgenSir)

Ebbene, sono rimasto molto colpito dalle frettolose dichiarazioni rese dalla suddetta professoressa (a cui va tutta la mia stima ed ammirazione) nell’intervento fatto al recente convegno milanese di ‘Comunità democratica’ sul ruolo dei cattolici in politica: ” Creare legami, guarire la democrazia, un impegno dopo la settimana sociale dei cattolici”.

Cito (quasi) testualmente): «…Non possiamo usare le parole di Sturzo e di Moro e pensare di cavarcela e sentirci a casa, perché quel mondo è finito e i giovani hanno bisogno di sentire parole nuove…».

Cara professoressa, se non prendiamo la rincorsa sfruttando la virtuosa scia dei testimoni del passato non andiamo da nessuna parte ed è proprio quello che sta succedendo. O abbiamo il coraggio di riscoprire e rilanciare i messaggi di impegno democratico e civile provenienti da personaggi come Moro, Dossetti, La Pira, Bachelet, Mattarella e altri o ci avventuriamo e impantaniamo in una sorta di improvvisazione di un futuro pseudo-democratico e pseudo-partecipativo. La rialfabetizzazione alla politica non si fa senza alfabeto…

Le consiglio di leggere alcune recenti dichiarazioni di Rosy Bindi nell’ambito di un’intervista rilasciata al quotidiano “Avvenire”.

Domanda: «Lei era al fianco di Vittorio Bachelet al momento dell’agguato. Nel film lei lo definisce, al pari di Aldo Moro e Piersanti Mattarella, un martire della Repubblica».

Risposta: «Fu il cardinale Martini a definire l’assassinio di Vittorio Bachelet “martirio laico”, sottolineando che era stato «ucciso non in ragione della propria fede ma del proprio impegno civile». Sono convinta che lo stesso si debba dire per Aldo Moro e Piersanti Mattarella, uccisi brutalmente perché incarnavano la politica come speranza, come forma esigente di carità, secondo la bella definizione di San Paolo VI. Erano tutti e tre impegnati a ricucire le lacerazioni della società italiana di quegli anni. Moro sul fronte della politica nazionale, con il progetto di democrazia dell’alternanza. Mattarella a Palermo con quella Sicilia dalle carte in regola, in aperta discontinuità nel rapporto con i poteri occulti e criminali. Bachelet per l’equilibrio con cui esercitava il suo ruolo nel Csm, favorendo il dialogo tra magistratura e politica. Tutti uccisi per il loro servizio alla comunità».

Nell’attuale pur interessantissima e ammirevole elaborazione socio-culturale dei cattolici ritrovo gli storici limiti e difetti riconducibili ad una certa presunzione, che nell’analisi della professoressa Granata rischia di assumere i contorni di un sia pur comprensibile ansioso nuovismo. È necessaria tanta umiltà che discende dalla considerazione di un passato ricco di attualissima, prospettica e coraggiosa testimonianza.

Se ci illudiamo di affrontare il futuro girando pagina e inventando parole nuove, tradiamo le pagine e le parole della Costituzione. L’alfabeto è quello e gli insegnanti sono coloro che hanno dato la vita per rimanervi fedeli.

Penso che la professoressa Granata sarà d’accordo. In conclusione la mia non vuole essere una critica. Come direbbe mio padre: “A t’ capirè se mi a m’ permetriss äd criticär ‘na profesôrèssa”. Il mio è semplicemente un timido, anche se convinto, invito: mi permetto solo di consigliarle uno sforzo di completezza nella visuale storica. So benissimo che non è facile coniugare la radicata tradizione del cattolicesimo democratico col volatile nuovismo della cultura modernista, ma sarebbe un errore trascurare, sottovalutare o anche solo relegare nel pantheon le fulgide testimonianze del passato, autentico oro colato per affrontare le sfide del presente e del futuro.

Una vergona che passerà alla storia

La copertina dell’Economist è più che esplicita. Donald Trump si muove come un boss della mafia, a mezza via fra Tony Soprano e Le iene di Quentin Tarantino. E così è stato, nell’avvilente faccia a faccia fra il presidente americano e Volodymyr Zelensky, umiliato e rimproverato oltre misura con toni che appartengono più al gergo di Vito Corleone e alla sua «offerta che non si può rifiutare» che a quelli di un leader occidentale. «Senza le nostre armi avresti perso la guerra in due settimane – ha detto Trump. Il problema è che ti ho dato il potere di essere un duro, non credo che lo saresti senza gli Stati Uniti. Firma l’accordo o noi siamo fuori. E se noi siamo fuori, ve la dovrete vedere da soli con la Russia. Sarà sanguinoso, ma combatterete. Se invece firmi quell’accordo, sarai in una posizione molto migliore. Non hai carte in mano».

La posta in gioco, come si vede, non è altro che il bottino in terre rare, ciò che maggiormente preme a The Donald. Il resto, la pace, il compromesso con Putin, la cessazione delle ostilità e dell’inutile strage sui fronti ucraini sembra un fatto di contorno.
«Putin è un killer, non voglio compromessi. Non sono venuto per giocare a carte», ha provato a dire Zelensky. Ma ci si è messo anche il vicepresidente Vance, l’ex ragazzo hillbilly, ora alfiere di un’America dura, pura e intransigente, la stessa che con irridente crudeltà sventola ad ogni piè sospinto l’onnipresente Elon Musk: «È irrispettoso venire nello Studio Ovale e litigare di fronte ai media americani». Risultato: Zelensky si alza e lascia la stanza del potere americano, ma di fatto è stato invitato ad andarsene con il famigerato «You’re Fired!» per cui The Donald è rimasto famoso. La conferenza stampa è annullata. Su Truth – la sua piattaforma social – Trump scrive: «Hai mancato di rispetto agli Stati Uniti». E il rispetto fra gli uomini d’onore, è tutto. Come hanno sempre saputo i vari Gambino, John Gotti, Genovese. Guai a non rispettare un boss.

Ma un po’ di dietrologia in questi casi non guasta: Zelensky è diventato una pedina ingombrante. I potenziali successori, quelli che faranno i patti leonini con la Casa Bianca e il Cremlino, già si avvistano all’orizzonte. Uno di essi è il generale Valery Zalushnyj, già comandante in capo delle forze armate ucraine, rimosso da Zelensky un anno fa. A Trump piace molto. E questo forse spiega l’imboscata mafiosa di ieri. E l’orribile pagina politica che grazie a The Donald l’America che dovrebbe ridiventare grande si è rimpicciolita come un nanerottolo da giardino. (dal quotidiano “Avvenire” – Giorgio Ferrari)

Voglio tentare un esame critico a prescindere dai toni di autentica cattiveria usati da Trump (una vergogna che passerà alla storia!). Se Zelensky ha commesso degli errori nel reagire all’aggressione russa, è stato molto ben assecondato dall’intero Occidente, che ha preferito attestarsi sull’intransigente massimalismo internazionale anziché impegnarsi nell’ardua via diplomatica.

A parte l’inevitabile senno di poi, non è possibile un improvviso voltafaccia, che cambia le carte in tavola e impone una sorta di “mortus” come si fa per i giochi dei bambini nel cortile di casa. Il triviale ragionamento trumpiano è questo: ti abbiamo aiutato e (forse) ci siamo sbagliati per colpa del mio predecessore e dell’Europa. Adesso basta, te la vedi tu, io posso solo aiutarti alle mie condizioni, prendere o lasciare.

Chi mai accetterebbe un simile incondizionato diktat? Un cambio repentino e radicale di strategia mette tutti in gravissima difficoltà. I Paesi europei abbozzano, non osano dichiarare apertamente la loro opinione seppure tardiva e costruttiva. Dallo scenario del “tutti contro Putin” passiamo a quello della “pace purchessia con Putin” o meglio della pace dei sepolcri che interessa Trump e Putin.

Massimo D’Alema a Piazzapulita ha dichiarato: “Un grande errore della sinistra lasciare alla destra la parola d’ordine della pace. L’ho pensato dall’inizio: la guerra in Ucraina era una guerra che nessuno poteva vincere. E quando nessuno può vincerla, occorre mettere in campo la politica. Noi oggi rischiamo una pace cattiva: l’Europa non ha avuto nessuna iniziativa politica, e ha lasciato a Trump la bandiera della pace”.

Ha aggiunto una acuta nota autobiografica (cito a senso): in gioventù nutrivo seri dubbi sul sistema democratico americano, poi mi sono gradualmente convertito. Oggi posso dire che i dubbi di un tempo non erano infondati…

L’Europa si è accomodata da tempo nel proprio cimitero, accontentandosi di puntare in ordine sparso alla migliore tomba possibile. Ci sarà un rigurgito di dignità, un sussulto di orgoglio culturale e storico? Spero, nonostante tutto, nella Francia e nella Germania. L’Inghilterra è sempre stata succube degli Usa. L’Italia, in passato, qualche spiraglio di autonomia (pagato a carissimo prezzo) lo ha mostrato.

Alla follia della globalizzazione mafiosa, che si profila come il leitmotiv dell’assetto mondiale, bisogna rispondere con la forza dei principi della democrazia e del rispetto del diritto internazionale. Occorrerebbero leader della statura di un De Gasperi.

«Il futuro non verrà costruito con la forza, nemmeno con il desiderio di conquista, ma attraverso la paziente applicazione del metodo democratico, lo spirito di consenso costruttivo e il rispetto della libertà». Questa citazione di Alcide De Gasperi, figura di spicco del cattolicesimo democratico, racchiude la sua visione di politica e governance che oggi avrebbe ancora tanto da insegnare.

 

 

 

Il segreto di Stato posto da Pulcinella

Silvio Berlusconi in occasione del varo del governo Meloni dipinse un ritratto molto nitido della premier: “Giorgia Meloni. Un comportamento: 1. Supponente 2. Prepotente 3. Arrogante 4. Offensivo. Nessuna disponibilità al cambiamento. È una con cui non si può andare d’accordo”. Lei agli epiteti formulati da Berlusconi aggiunse un secco “non sono ricattabile”.

Facciamo un salto di oltre due anni. Appena ricevuto l’avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato nel caso del generale libico Osama Almasri, Giorgia Meloni registra un video e dà per prima la notizia affermando: «Non sono ricattabile. Non mi faccio intimidire. È possibile che per questo sia invisa a chi non vuole che l’Italia cambi ma intendo andare avanti per la mia strada».

Purtroppo la vicenda Almasri sembra smentire questa auto-incensazione: più passano i giorni e più emerge la triste realtà di un governo italiano alla mercè dei ricatti libici, complici i rapporti fra i nostri servizi segreti e i “padroni” della Libia: si sta probabilmente andando ben oltre i già inaccettabili accordi italo-libici del 2017 (governo Gentiloni- ministro dell’Interno Minniti) per giungere ad un vero e proprio immondezzaio di reciproci e inconfessabili piaceri a suon di valige piene di soldi recapitate alle squadracce libiche comandate dal torturatore espulso con tutti gli onori dal governo italiano. Non è ancora chiaro e forse non lo sarà mai quale sia la contropartita libica: il contenimento dei migranti? la fornitura di petrolio? qualche altro piacerino?

Giorgia Meloni a quanto pare è ricattabile e quindi anziché spiegare dove sta la scomodissima ragion (?) di Stato, preferisce sciorinare le sue bugie (!) di Stato. Troppo pericoloso porre il segreto di Stato su una vicenda che giorno dopo giorno assomiglia molto al segreto di Pulcinella.

Non è finita e si apre un caso di spionaggio, che potrebbe essere in qualche modo collegato all’affaire Libia.

A fine gennaio, Meta – l’azienda che controlla Facebook e Whatsapp – ha fatto sapere che circa 90 persone in tutta Europa erano state vittima di spionaggio illecito: tra di loro attivisti e giornalisti. In Italia, il direttore di Fanpage.it è stato il primo a dire di aver ricevuto la comunicazione in questione: “A dicembre WhatsApp ha interrotto le attività di una società di spyware che riteniamo abbia attaccato il tuo dispositivo. Le nostre indagini indicano che potresti aver ricevuto un file dannoso tramite WhatsApp e che lo spyware potrebbe aver comportato l’accesso ai tuoi dati, inclusi i messaggi salvati nel dispositivo”.

Pochi giorni dopo, anche l’attivista Luca Casarini, capomissione di Mediterranea Saving Humans, ha annunciato di essere tra le vittime dello spionaggio. Oggi è emerso che le persone di Mediterranea coinvolte sarebbero almeno tre, tra cui l’armatore Beppe Caccia. A rivelare l’identità è stato l’europarlamentare Pd, Sandro Ruotolo, che parlando in occasione della presenza a Napoli della nave Mare Jonio ha sottolineato che tra gli spiati ci sono giornalisti e chi “guarda caso è in mare a soccorrere i migranti, mentre noi, Paese Italia, concediamo la fuga a un generale libico accusato di crimini contro l’umanità”.

Lo scandalo Paragon “riguarda l’Europa, non riguarda solo l’Italia, sicuramente ce ne occuperemo perché c’è la violazione dei dati personali di cittadini europei e c’è l’attacco alla libertà di informazione. Noi vogliamo sapere chi ha spiato, per conto di chi e perché sono stati spiati”, ha proseguito Ruotolo. “Lunedì a Strasburgo verranno le vittime conosciute, ma noi vogliamo conoscere anche gli altri nomi degli italiani e degli europei e verranno anche loro in conferenza stampa”, ha aggiunto. Tra le vittime dello spionaggio dunque, un giornalista – direttore di una testata che ha svolto inchieste anche sulla destra di governo – e diversi attivisti legati a un’Ong duramente critica dell’esecutivo e della sua politica sui migranti. Anche per questo motivo le opposizioni hanno iniziato a chiedere spiegazioni al governo Meloni. (fanpage.it)

Aldo Moro, mi risulta da fonti attendibili anche se non ufficiali, che affrontasse l’argomento “spionaggio” con distacco e scetticismo e osservasse con estremo disincanto: «Da che mondo è mondo le spie sono sempre state le peggiori persone esistenti…». La filastrocca infantile la dice lunga al riguardo: “Chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù, quando muore va laggiù, va laggiù da quell’ometto che si chiama diavoletto”.

E noi vorremmo difendere la nostra democrazia utilizzando soggetti che storicamente non hanno fatto altro che tramarle contro: gli antenati, più o meno extra-parlamentari e più o meno smascherati, di Giorgia Meloni se ne intendono e non mi stupirei affatto se lo spionaggio italiano in questo periodo fosse impiegato a difendere le identitarie politiche governative anti-immigrati. Una ulteriore ciliegina sulla torta dei rapporti con i torturatori libici?

Ora si aggiunge anche il nome di don Mattia Ferrari, cappellano di bordo di Mediterranea Saving Humans, nella lista delle persone vittime del software di hacking progettato dall’agenzia israeliana Paragon Solution. Il sacerdote infatti è stato avvisato da Meta di essere l’obiettivo di «un sofisticato attacco sostenuto da entità governative non meglio identificate» nel febbraio 2024, tramite lo spyware Graphite.

«Hanno spiato anche don Mattia, persino don Mattia Ferrari. Vi sarà capitato di vederlo qualche volta in Tv: è un sacerdote cattolico molto vicino a Papa Francesco. Il governo italiano permette di spiare illegalmente un sacerdote tra i più conosciuti e nel frattempo scarcera con il volo di Stato un trafficante di esseri umani. È pazzesco» scrive su X il leader di Italia viva, Matteo Renzi, aggiungendo che «se fanno così con i personaggi famosi, immaginate cosa possano fare ai cittadini comuni? E la Meloni che scappa senza dirci di chi è la responsabilità». (dal quotidiano “Avvenire” – Alessia Guerrieri)

 

L’estetica che prescinde dall’etica

Il momento che delizia i cronisti parlamentari lassù in tribuna e fa esplodere sui social l’hashtag #santanchedimettiti, è quello in cui la «pitonessa» si compiace dell’immagine che ogni giorno lo specchio le rimanda: «Io sono l’emblema di tutto ciò che detestate, lo rappresento pla-sti-ca-men-te. Sono il vostro male assoluto. Sono una donna libera, porto i tacchi da 12 centimetri, ci tengo al mio fisico, amo vestirmi bene e sono anche quella del Twiga e del Billionaire, che voi tanto criticate». E qui si sente forte e chiara la voce di Angelo Bonelli, di Avs: «Pensi alle famiglie dei suoi cassintegrati!». (Corriere della Sera – Monica Guerzoni)

Se i dubbi sull’opportunità di presentare la mozione di sfiducia contro il ministro Daniela Santanchè erano parecchi sul piano politico e tattico, dal punto di vista etico tale mozione ha costretto l’interessata ad uscire allo scoperto, rivelando la sgradevole, oserei dire vomitevole, concezione esibizionistica della donna in carriera.

Due sono le possibili reazioni: il compatimento, la rimozione prima culturale che politica di un personaggio squallido; oppure la valutazione del nesso tra questo atteggiamento e il fare politica non solo della Santanché ma di un intero gruppo dirigente di cui è, lo si voglia o no, emblematico porta-bandiera.

La bellezza oggi è qualcosa di ben preciso a cui adeguarsi: un certo modo di vestire, di mangiare, di parlare, di camminare. Non si tratta di una questione puramente estetica, ma di una tecnica politica di esercizio del potere. In altre parole, di una gabbia dorata in cui non ci rendiamo conto di essere rinchiusi. (Maura Gancitano)

Serviranno le parole di Daniela Santanché a scuotere, seppure in negativo, i cittadini oppure li porteranno ancor più ad una sorta di rassegnazione verso una concezione commediante della politica? Con le arie che tirano sarei portato a propendere per la seconda ipotesi anche se forse si sta un po’ esagerando e chissà che…

Qualcuno dirà che con tutti gli sconvolgenti problemi sul tappeto interno e internazionale, interessarsi alle sciocchezze propalate dalla Santanchè sembra un divertimento innocuo per cittadini scemi.

A parte il fatto che la ministra si sta mettendo la Costituzione sotto i piedi, tutto si tiene: il bullismo di Trump, l’opportunismo di Meloni, lo strapotere di Musk, l’ideologia di Bannon e le arie di Santanchè. A ben pensarci sono tutti modi di interpretare la politica a livello di prepotenza. Se proprio volete, le donne al potere, anziché ammorbidire i toni machisti, li stanno scopiazzando in modo più o meno penoso. Non mi stupirei se dal clan dei Trump partisse un endorsement nei confronti di Santanchè: allora cosa farebbe Giorgia Meloni? Avrebbe un motivo in più per continuare a fare il pesce in barile…