La beffa mediatica della coccodrillesca solidarietà

Alcuni anni or sono, quando andavo a fare visita ad una mia carissima cugina, ricoverata all’ospedale maggiore di Parma in stato di coma vegetativo, mi capitava di imbattermi all’entrata in un gruppetto di donne che recitavano ostentatamente il rosario in riparazione dei peccati riconducibili all’aborto. Mi davano un senso di tristezza e di pochezza. Per non mancare loro di rispetto frenavo l’impulso di interrogarle provocatoriamente: «Ma voi cosa sareste disposte a fare per una donna sull’orlo dell’aborto? Avreste il coraggio di ospitarla in casa vostra? Avreste la generosità di sostenerla economicamente in modo continuativo? Avreste la forza di aiutarla umanamente ad una scelta così difficile rispettandone la sofferta decisione? Sareste disponibili a fare gratuitamente turni di assistenza a questa mia cugina, alleviando la pena di suo marito, costantemente presente al capezzale di una moglie inchiodata nel letto senza prospettive di ritorno ad un seppur minimo livello di funzioni vitali?».

Fin qui i rosari di comodo! Ma in questi giorni sono spuntate anche le solidarietà di comodo. L’abbandono del neonato Enea alla culla per la vita del policlinico di Milano da parte della madre ha suscitato una sorta di “grilloparlantismo” assai poco credibile in difesa della vita: una ostentata gara per offrire tardive e ipocrite offerte di aiuto, in soccorso di una madre, che sta purtroppo soffrendo per una frittata probabilmente irreparabile.

Di fronte al problema del rispetto della vita nascente si registrano tre atteggiamenti: da una parte la ripulsa ideologica con relativa demonizzazione delle donne che decidono di abortire; dall’altra l’enfatizzazione giuridica del diritto all’aborto, che diritto non è, ma semmai ripiego dopo una sconfitta del vivere civile; dall’altra ancora l’obiezione di coscienza verso l’applicazione di una legge che prevede il male minore (?). Sono posizioni che lasciano il tempo che trovano, che sostanzialmente portano a girarsi dall’altra parte rispetto al problema.

Adesso spunta un quarto atteggiamento coccodrillesco: offrire aiuto alla madre che non ha avuto (giustamente) il coraggio di abortire per spingerla ipocritamente a ravvedersi e a riprendersi cura del neonato abbandonato. Un subdolo mix delle tre posizioni suddette, una sorta di buonistica messa a posto della coscienza con tanto di mediatizzazione al seguito. È lo specchio fedele della nostra assurda società del malessere. Ci commuoviamo e piangiamo sul latte versato: “lägormi su ordinasión”.

Lasciamo in pace la madre del piccolo Enea, senza colpevolizzarla e senza farle cadere dall’alto un moralismo di pura facciata, cerchiamo piuttosto di applicare al meglio la legge in materia di aborto laddove dice che “il consultorio o la struttura socio- sanitaria” devono aiutare la donna e, se ci sono le condizioni, “il padre del concepito” a “rimuovere le cause che porterebbero alla interruzione della gravidanza”, promuovendo “ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”, trasformiamo le obiezioni di comodo in impegno all’aiuto della donna nei modi e tempi giusti, finiamola una buona volta con le ideologie a favore o contro l’aborto e in ossequio a principi astratti e cerchiamo di varare una legislazione in positivo a supporto della maternità.

Mi sembra che la migliore sintesi del discorso sulla difesa della vita nascente la facesse don Andrea Gallo: «Sta’ a sentire, non incastriamoci nei principi. Se mi si presenta una povera donna che si è scoperta incinta, è stata picchiata dal suo sfruttatore per farla abortire o se mi arriva una poveretta reduce da uno stupro, sai cosa faccio? Io, prete, le accompagno all’ospedale per un aborto terapeutico: doloroso e inevitabile. Le regole sono una cosa, la realtà spesso un’altra. Mi sono spiegato?».

Mi permetto di farne a titolo personale una spregiudicata parafrasi collegata al caso in questione: «Sta’ a sentire, non facciamo finta di essere buoni. Se mi si presenta una donna che non riesce a farsi carico per diversi motivi della creatura da lei messa al mondo, sai cosa faccio? Io, indegno cristiano, dopo un sereno, discreto e solidale confronto senza esito, la accompagno alla culla per la vita dell’ospedale più vicino: doloroso e inevitabile. Gli aiuti vanno dati nei modi e nei tempi giusti senza colpevolizzazioni di sorta. Mi sono spiegato?».