Il pentolone vaticano

È durato oltre sette ore l’annunciato colloquio di martedì 11 aprile in Vaticano tra il Promotore di giustizia Alessandro Diddi e il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro. Quest’ultimo è arrivato a bordo di un’auto bianca poco dopo le 14,30, entrando dal varco con cancellata, di fianco al Palazzo del Sant’Uffizio, per uscirne parecchio dopo le ore 21,00.

Circa un’ora prima, parlando con i cronisti in attesa, l’avvocato della famiglia Orlandi, Laura Sgrò, aveva chiarito che Pietro Orlandi ha incontrato Diddi in qualità di testimone. «Per questo – aveva aggiunto la mia presenza non è prevista. Abbiamo depositato una memoria, il Pm sta facendo il suo lavoro, credo che siano in una fase di approfondimento di questa memoria e della documentazione rilasciata in precedenza».

Ora «saltino fuori i dossier», aveva aggiunto la legale. «L’auspicio è che si faccia luce su questa vicenda e si possa scrivere una nuova pagina di storia» e che ora «Vaticano e Italia possano collaborare». Infatti, a parere di Sgrò, «ci sono persone ancora in vita che possono dare il loro contributo».

Nella memoria, ha quindi spiegato l’avvocatessa, «abbiamo raccolto elementi che sono il frutto di un lavoro di indagini difensive, l’abbiamo messa a disposizione del promotore e ora tocca a lui fare le indagini adeguate, valutare la fondatezza e la completezza e soprattutto rimettere insieme tutti i pezzi del puzzle». Il quale promotore in una intervista pubblicata martedì dal Corriere della Sera, ha annunciato: «Sul caso Orlandi papa Francesco e il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, vogliono che emerga la verità senza riserve». Perciò, promette, su alcuni documenti probatori non dovranno più insinuarsi equivoci e ombre (dal quotidiano “Avvenire”).

Sono passati quarant’anni e sulla sorte di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori se ne sono ipotizzate, dette e sentite di tutti i colori, tra varie omertà, strani silenzi, probabili depistaggi e carsiche verità. Il Vaticano è stato ripetutamente tirato in ballo dal momento che la Orlandi era cittadina di quello Stato, ma l’impressione è sempre stata quella di un imbarazzato silenzio o ancor peggio di una mancanza di volontà a collaborare con le autorità giudiziarie investite delle indagini.

Molti i paradossali intrighi entro cui è stata collocata questa vicenda e non si è mai capito se fossero frutto di fantasie o di probabili mezze verità. Sembra che papa Francesco abbia deciso di togliere ogni e qualsiasi coperchio dalla pentola di questa vicenda. Se è così, era ora. Non è mai troppo tardi, pur considerando che molti documenti saranno finiti al macero, molti testimoni saranno finiti al cimitero e riaprire le indagini a distanza di quarant’anni dai fatti è un’impresa assai ardua.

Gli elementi prodotti da Pietro Orlandi, basati su indiscrezioni raccolte in ambienti assai poco raccomandabili e vertiginosamente resi in parte pubblici, relativi ai più alti ambienti vaticani dell’epoca fanno rabbrividire, sono semplicemente sconvolgenti: la pista della pedofilia o comunque dell’intrigo a sfondo sessuale o comunque del ricatto contro i poteri vaticani è sempre stata molto chiacchierata e mai seriamente indagata e tanto meno provata. Il rischio di infangare è quindi piuttosto preoccupante, anche se papa Francesco, nel dare disposizione di riaprire il caso facendo chiarezza a trecentosessanta gradi, ha deciso di correre parecchi rischi: la ricerca della verità comporta prezzi dovuti. Al momento non voglio nemmeno pensare all’ipotesi che in questi giorni sta trapelando. Si potrebbe dire al fratello di Emanuela, che peraltro non sembra intenzionato ad infierire alla ricerca di colpevoli a tutti i costi: “Scherza coi fanti e lascia stare i santi”. Purtroppo però fanti e santi sembrano mischiarsi, probabilmente qualche santo ha giocato a fare il fante e qualche fante si è nascosto dietro i santi. Si è capito da tempo che di fanti affaristi e sporcaccioni il Vaticano è stato pieno, di qui a pensare che il male abbia raggiunto le più alte (addirittura altissime) sfere, il passo non è assolutamente breve. Prima di lordare gli altari pensiamoci bene…

Don Andrea Gallo raccontava, con la sua ineguagliabile verve, una barzelletta sferzante: «Voi sapete che nella nostra Santa Madre Chiesa, uno dei dogmi più importanti è la Santissima Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. L’amore e la comunione vanno in tutto il mondo, e si espandono. Lo Spirito Santo dice: “Andiamo a farci un giro. Io sono affascinato dall’Africa”.  Il Padre risponde: “Be’, io andrò a vedere il paradiso delle Seychelles. Perché non capisco come mai i miei figli e figlie hanno il paradiso in terra”. Gesù ascolta e non risponde. Allora gli altri due: “Tu non vai?” Gesù: “Io ci son già stato duemila anni fa”. “Non ci farai mica far la figura che noi andiamo e tu rimani”, gli dicono in coro il Padre e lo Spirito Santo. “Va be’, allora vado anch’io”. “Dove vai?” “A Roma”. “Sì, ma a Roma dove vai?” “Vado in Vaticano”. “In Vaticano?”, dicono increduli il Padre e lo Spirito Santo. Gesù risponde: “Eh sì, non ci sono mai stato”».

Allorquando cominciarono ad emergere maliziose critiche verso papa Francesco, alcuni anni or sono, su questioni inerenti atteggiamenti omertosi verso i preti pedofili (il discorso potrebbe essere valido pure in relazione al ritardo con cui il papa ha deciso di fare un po’ di luce sulla vicenda di Emanuela Orlandi), scrissi ad un mio carissimo amico sacerdote: “Forse anche Bergoglio, nei pochi anni vissuti da pontefice e nei precedenti vissuti da vescovo e cardinale, avrà accumulato responsabilità non indifferenti. Questo non significa che debba togliere il disturbo. Con questo criterio la Chiesa non sarebbe mai partita: gli undici non erano forse dei vigliacchetti qualsiasi e Pietro non era un voltagabbana? Seppero redimersi, convertirsi e purificarsi a caro prezzo. Credo che papa Francesco stia cercando di farlo. Rispettiamo il suo travaglio interiore e il suo coraggioso tentativo di voltare pagina (è la base sostanziale della sua nomina a pontefice). Teniamocelo stretto!

Dei suoi predecessori ho una mia originale idea riguardo al loro atteggiamento verso la Curia e gli intrighi vaticani: Paolo VI soffriva, si macerava e poi si arrendeva all’impossibilità del cambiamento; Giovanni Paolo I somatizzò il dramma al punto da morirne in pochi giorni; Giovanni Paolo II se ne fregò altamente, andò per la sua strada, si illuse di cavare anche un po’ di sangue dalle rape; Benedetto XVI ci rimase dentro alla grande e gettò opportunamente la spugna. Quando constato come tanti papi siano diventati o stiano diventando Santi, mi viene qualche dubbio. Pur con tutto il rispetto, temo che nell’aldilà troveremo parecchie novità, riguardo alla nostra vita e a quella della Chiesa”.

L’amico sacerdote mi rispose: “Caro Ennio, condivido in toto: purtroppo è così. Tertulliano già nel IV secolo aveva definito la Chiesa “casta meretrix”: mica male! Comunque noi osiamo amarla lo stesso! Grazie. Buondì. Mi piace molto il finale: “Dei suoi predecessori ho una mia originale idea riguardo al loro atteggiamento verso la Curia e gli intrighi vaticani: Paolo VI soffriva, si macerava e poi si arrendeva all’impossibilità del cambiamento; Giovanni Paolo I somatizzò il dramma al punto da morirne in pochi giorni; Giovanni Paolo II se ne fregò altamente, andò per la sua strada, si illuse di cavare anche un po’ di sangue dalle rape; Benedetto XVI ci rimase dentro alla grande e gettò opportunamente la spugna. Quando constato come tanti papi siano diventati o stiano diventando Santi, mi viene qualche dubbio. Pur con tutto il rispetto, temo che nell’aldilà troveremo parecchie novità, riguardo alla nostra vita e a quella della Chiesa”.

Chiedo scusa se ho riportato due volte il delicato passaggio, non per vanagloria, ma per rendere ancor più evidente il mio pensiero critico al limite della provocazione.