Scendere in piazza

L’importante manifestazione antifascista del 04 marzo a Firenze, organizzata dai sindacati e dal mondo della scuola, ha finalmente attaccato l’attuale governo nelle sue continue e reiterate imboscate anticostituzionali e dimostrato che una vera opposizione non si fa con l’ansia del politicamente corretto, ma con il coraggio di ripartire dal 25 aprile 1945. Da questo evento di piazza emergono due indicazioni.

La prima riguarda il fatto che sono soprattutto e innanzitutto gli studenti ad avere la libertà e il coraggio di opporsi a chi vuole mettere in discussione le conquiste democratiche, alla faccia di chi snobisticamente ritiene che il pericolo fascista sia stato sepolto dalla storia. Sembra vietato chiamare le cose col loro nome, non bisogna disturbare il felpato dibattito, guai a suonare il campanello d’allarme mentre c’è qualcuno che vuole derubarci dei valori resistenziali e costituzionali.

So benissimo, per esperienza diretta nelle manifestazioni antifasciste, che c’è sempre qualcuno che va oltre il segno, che rompe la compattezza del fronte. Il gioco vale comunque la candela. Meglio qualche manifesto sbracato, qualche grido esagerato piuttosto che il silenzio imbarazzato seppure ammantato di perbenismo.

L’antifascismo non è mai un esercizio retorico o un anacronistico rifugio, ma un elemento unificante e costruttivo. Con l’antifascismo non si esagera mai, non è mai troppo. Forse anche i più scettici se ne accorgeranno e ne prenderanno atto.

La seconda indicazione consiste nello spostamento della politica di sinistra dai salotti alle piazze. Non è demagogia, ma recupero di rapporti con la gente e con i suoi problemi. Tutti volevano un PD che riprendesse a dialogare con il popolo, salvo poi ritenere scomode e pericolose le piazze. Forse che esistono le piazze salottiere o i salotti piazzaioli?

Se facciamo una doverosa attualizzazione dello spirito antifascista arriviamo a contestare una politica migratoria fatta di vergognosi distinguo sulla pelle dei disperati, a mettere in discussione una interpretazione riveduta e scorretta del categorico rifiuto della guerra, a superare un europeismo in salsa sovranista e populista.

Proviamo a ripartire da dove eravamo rimasti: l’attuale governo può contare sul consenso di una ristretta minoranza di popolo. Smettiamola quindi di aspettare la conversione degli italiani, ma tentiamo di riaprire i giochi a trecentosessanta gradi. Anche il goffo tentativo di mettere in conflitto la piazza antifascista e pacifica di Firenze con quella anarchica e violenta di Torino è da respingere sdegnosamente, senza peraltro dimenticare che anche il caso Cospito non può essere liquidato col giustizialismo di maniera o con l’antimafia a tutti i costi. È più pericoloso che un anarchico parli in carcere con qualcuno o che un capo-mafia resti libero per trent’anni in mezzo a connivenza, complicità ed omertà? La criminalizzazione ante litteram degli anarchici ha molti precedenti nella storia. Attenzione a non mettere insieme strumentalmente antifascisti, pacifisti, scafisti, anarchici insurrezionalisti in una combinazione diretta a sputtanare e criminalizzare chi osa opporsi. Questo, signori miei, è fascismo!

Sintetizzo così le mie scritture, letture e riflessioni sull’attuale momento politico: il governo Meloni è sempre più fascista; il partito democratico ha paura di essere troppo di sinistra e sbilanciato sui diritti sociali; i cattolici sotto sotto hanno paura di Elly Schlein in quanto espressione del movimento LGBT, favorevole alla regolamentazione del fine vita, alla legalizzazione della cannabis e al riconoscimento dei diritti civili in genere; gli italiani piangono sulle bare di Crotone assieme a Mattarella (l’ultimo dei giusti) e dovrebbero anche singhiozzare sul latte versato votando a destra; la politica non trova il filo della matassa dell’immigrazione, della guerra, della povertà, della sanità etc. etc.; i media chiacchierano a vanvera salvo qualche rara eccezione.

Scendere in piazza sta diventando una necessità impellente per accogliere il suggerimento della coraggiosa preside fiorentina, che ha scritto: “Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza. Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così”.