La CGIL si è svegliata e ha trovato la Meloni

Non ho capito se l’invito rivolto dalla CGIL alla presidente Meloni per la sua presenza al congresso sia stato dettato da pura cortesia istituzionale (non si direbbe dal momento che la premier ha fatto un intervento tutt’altro che breve e formale), dal nobile ma velleitario intento di aprire un dialogo costruttivo col governo sulle riforme in cantiere (senza che ce ne siano i minimi presupposti rischierebbe di essere un imprigionante dialogo fra sordi), da questioni di equilibri interni al sindacato (la Cgil ha presumibilmente al suo interno lavoratori e pensionati  che votano a destra), dalla volontà di controbilanciare l’attenzione al centro-sinistra (il giorno prima c’era stato un vivace e coinvolgente pubblico dibattito con i leader dell’opposizione), dal desiderio di recuperare ruolo e rappresentanza per un sindacato più moscio che autonomo rispetto alla politica (una sorta di pugno battuto sul tavolo).

Fatto sta che Giorgia Meloni ha riscosso, come prevedibile, un’accoglienza molto fredda a cui si è aggiunta una parziale, ma importante, contestazione da parte delle componenti più dure ed intransigenti della confederazione. Senza esagerazioni protestatarie e senza creare imbarazzo a Maurizio Landini, hanno esibito due precisi e significativi simboli per poi abbandonare la sala congressuale.

Hanno mostrato dei “peluche”, che sono ormai diventati il simbolo della contestazione al governo per i tragici fatti di Cutro, e hanno intonato a squarciagola “Bella ciao” con chiare allusioni alle origini (anti)storiche di questa destra ed ai contenuti dell’azione di governo, venati da forti connotazioni di stampo neofascista (intemperanze al limite del razzismo, discriminazioni settarie, clericalismo e bigottismo pseudo-religioso, etc. etc.).

Confesso di aver goduto non poco, perché finalmente ho visto dei rappresentanti di lavoratori protestare democraticamente, ma fortemente, contro una situazione politica indecente anche se uscita legittimamente dalle urne. Alcune forze politiche sono state votate da una maggioranza di una larga minoranza di cittadini, non per questo si deve bere supinamente quanto viene da esse deciso e portato avanti: democrazia vuole che si possa e si debba reagire anche vivacemente contro una deriva governativa che sta imperversando. Potrebbe essere solo l’inizio, me lo auguro vivamente. Finora solo gli studenti hanno avuto il coraggio di scendere in pista. Tocca ai lavoratori fare sentire la propria voce.

Mi è venuta spontanea un’amara riflessione e mi sono chiesto, dopo essermi sinceramente commosso vedendo e sentendo alcuni veraci sindacalisti cantare “Bella ciao”: se siamo al punto di dover cantare “Bella Ciao” sul muso del presidente del Consiglio, vuol dire che abbiamo toccato il fondo e che bisogna ripartire da capo. E da dove ricominciamo se non dall’antifascismo, dalla Resistenza, dalla Costituzione?

Il fascismo non ha tempo e non ha età, è un modo di essere della politica e purtroppo, anche volendo sorvolare sulle clamorose, reiterate e pesantissime maccheronate fascistoidi di ministri, manager, parlamentari e alti esponenti di FdI, nell’attuale governo si vedono chiare scelte di un certo qual stampo fascista. Basta volerle vedere. L’atteggiamento verso i migranti, la chiusura nei confronti dei diversi, l’intolleranza benpensante verso ogni forma di trasgressione, il perbenistico e grilloparlantistico fastidio verso i poveri e gli indigenti, la poliziesca idea di ordine e difesa della tranquillità dei cittadini, sono solo alcuni sintomi di un male antico che sta tornando a galla. Che qualcuno se ne stia accorgendo e che reagisca mi fa piacere e mi dà speranza.