Mi sento un “tabelano” del…calcio

Ho (da tempo) la netta impressione che il mondo del calcio viva sopra una montagna di debiti e di bilanci falsi. Tutti fanno finta di non saperlo a cominciare dai tifosi che preferiscono fare i guardoni dei divi del pallone. Personalmente ero entusiasta degli stadi vuoti imposti dalle restrizioni covid: si stava benissimo senza i cori che accompagnano le gesta delle squadre. Ora tutto è tornato alla normalità, il rito è stato ripristinato. Che peccato!

Stiamo vivendo l’avventura dei campionati mondiali con la Rai che ci inonda di stupidaggini, sciorinate da cronisti logorroici e da commentatori che ci insegnano che il pallone è quadrato e rispetta le loro assurde teorie calcistiche. Non se ne può più!

Molti anni fa in pieno “miracolo parmalattiero” smisi improvvisamente di seguire il Parma Calcio, peraltro ben messo in campo e in classifica. Durante una partita al Tardini con la Lazio mi trovai a soffrire di tifo e mi chiesi: che senso ha che io soffra per difendere gli interessi di Callisto Tanzi!? Smisi di frequentare lo stadio e fui facile profeta: il Parma viaggiava sopra una montagna di soldi praticamente falsi.

In questi giorni seguo le partite dei mondiali anche se mi chiedo continuamente: che senso ha questa sarabanda della tifoseria connotata di artificiosi patriottismi? che senso ha sorbirsi le cronache fatte solo di enfasi costruita dai mangiapane a tradimento sulle loro assurde professionalità? che senso ha entusiasmarsi per divi superpagati che, stando ai loro cachet, dovrebbero essere in grado di sfondare le reti ad ogni tiro in porta, che senso ha seguire un evento sportivo chiacchieratissimo da tutti i punti di vista, un vero e proprio circo calcistico? che senso ha fingere di divertirsi all’interno di un fenomeno di evasione di massa? che senso ha?

L’unica risposta plausibile la trovava mia madre, che a domanda rispondeva con un’altra domanda: “Co’ farissni tutt chi ciciaron lì se neg fis miga al balón?”. Drastico un mio zio, una sorta di anarchico del pallone, il quale prometteva di seguire il calcio, a condizione che “vintidù balón i corrison adrè a n’omm”.

Il concetto, che aveva mio padre del fenomeno calcio, tagliava alla radice il marcio; viveva con il setaccio in mano e buttava via le scorie, era un “talebano” (o “tabelano” detto con un simpatico strafalcione) del pallone. Per evitare accuratamente le code mediatiche pretendeva che il dopo partita durasse i pochi minuti utili per uscire dallo stadio, scambiare le ultime impressioni, sgranocchiare le noccioline, guadagnare la strada di casa e poi…. Poi basta. “Adésa n’in parlèmma pu fìnna a domenica ch’ vén”. Si illudeva, manteneva un certo distacco, erano altri tempi.

Il calcio è un male necessario. Gli affarismi che stanno a monte vengono visti con estrema tolleranza, tanto, così fan tutti…I compensi da nababbi non scandalizzano nessuno, almeno loro ci fanno divertire…Le chiacchiere mediatiche servono a passare innocuamente il tempo, a sostituire al catastrofismo dilagante il “calcismo” pedante…

Ricordo un episodio che mi raccontò un mio carissimo amico: si trovò a passare una lunga serata, impegnatissima in disquisizioni di alto livello culturale…alla fine i partecipanti al dibattito finirono per andare a puttane, non in senso figurato, ma in senso proprio.

Mi sta succedendo una cosa analoga: dopo avere disquisito sull’inoppugnabile e devastante fenomeno dell’alienazione calcistica, mi rifugio davanti al video per vedere le avventure pedatorie delle varie squadre nazionali, per verificare se sia meglio Messi o Mbappé.

Continuo a seguire il più bello spettacolo sportivo del mondo (sic!), anche se inquinato, rovinato, disastrato da chi ci vive davanti, dietro, sopra, sotto ed a latere. Bisogna pur vivere, ma niente Tv a pagamento, quelle proprio no e poi no. La (in)coerenza è l’anima del commercio calcistico.