Il regime iraniano e la resistenza delle donne

Non vorrei che l’aria occidentale inquinasse più che favorire la resistenza iraniana e che gli islamici al potere lasciassero intendere che le donne iraniane rischiano di passare dalla schiavitù del velo a quella del femminicidio facile-facile.

Purtroppo l’Islam rimane saldamente ancorato ad una impostazione coranica scriteriatamente maschilista e antifemminista da cui non riesce a schiodarsi. Mentre il cristianesimo è riuscito gradualmente ad affrancarsi da una tradizione pesante e alienante, l’islamismo ne rimane vittima, anche perché non ha il riferimento evangelico (e non è poca cosa) a fargli da sponda. Mi pare che l’obbligo del velo da parte delle donne musulmane, al di là dell’inevitabile enfatizzazione dialettica che se ne sta facendo, rientri proprio in un retaggio oppressivo, che sta implodendo.

Quindi mi sembra molto pertinente quanto scriveva il teologo Vito Mancuso sulla libertà di “costume” in occasione della polemica sull’uso del burkini in spiaggio: «È semplicistico dire che alla libertà di andare in spiaggia con il bikini deve corrispondere quella di andarvi con il burkini: nel primo caso infatti si assiste a un movimento di liberazione del corpo, mentre nel secondo di asservimento. E la libertà, se la si intende seriamente, non è mai solo astratta, cioè fare quello che si vuole, ma sempre concreta, cioè fare quello che è giusto e fa bene, e non ci sono dubbi che la liberazione del corpo sia un bene, anche per la liberazione della mente che ne consegue».

Sosteneva ancora Vito Mancuso: «L’imam di Firenze ha accostato le suore cristiane alle donne musulmane, ma ha dimenticato che le suore rappresentano un gruppo particolare di donne che ha liberamente scelto di vivere in povertà, castità e obbedienza, e il cui abbigliamento richiama il loro stile di vita alternativo. Sono ben lontane però dal rappresentare tutte le donne occidentali, le quali hanno altrettanto liberamente orientato se stesse secondo ben altri stili di vita e di abbigliamento. L’islam, che non ha suore, in un certo senso tende a rendere un po’ suore tutte le donne che vi aderiscono».

Credo sia difficile per l’Occidente sostenere la resistenza iraniana, che si sta allargando ai giovani (donne e giovani sono la combinazione giusta per scardinare questo regime teocratico), senza cadere nelle forzature laiciste, nelle strumentalizzazioni politiche e geo-politiche, nelle disquisizioni etiche. Trovare la misura tra la solidarietà verso chi combatte per la liberalizzazione del sistema e la prospettiva dell’omologazione sic et simpliciter dell’Iran e del suo sistema agli schemi nostrani non è facile e impone convinzione assieme a serietà e rispetto. Siamo belli come il sole: da una parte protestiamo contro il regime iraniano, dall’altra non rinunciamo ad una geopolitica che lo mantiene al potere; da una parte ci scandalizziamo del trattamento oppressivo riservato alle donne, dall’altra continuiamo imperterriti con il nostro maschilismo che ci porta in tutti i sensi al femminicidio; da una parte cantiamo a squarciagola l’inno della democrazia, dall’altra della democrazia facciamo scempio nelle nostre scelte politiche di popolo e di governo.

Al di là di tutto mi sembra resti aperta nell’Islam (non solo quello radicale o radicaleggiante), grande come una casa, la questione femminile, che considero (e si sta rivelando sempre più) centrale ed emblematica. Non è certo con la più spietata delle repressioni che si può affrontarla. Ma facciamo attenzione a non soffiare sul fuoco. Che credibilità abbiamo infatti per pontificare sulla democrazia e sulle libertà? Men che meno sul rispetto per i diritti delle donne, da noi violentate tra le mura domestiche, nei parchi, negli androni dei palazzi, sfruttate sessualmente, considerate bambole gonfiabili da eliminare dopo l’uso, torturate ed uccise nella normalità quotidiana.

Potremmo anche finire con l’imbarazzare o addirittura squalificare un sacrosanto movimento di liberazione, che osservo con grande speranza, che condivido nelle sue ansie di rinnovamento, che mi auguro possa essere un passo avanti per la democratizzazione dell’Iran e del mondo intero. Solidarietà dunque alle iraniane e agli iraniani che si battono coraggiosamente per i loro diritti, ma niente precipitazione annessionistica né in senso culturale né in senso politico, semmai un aiuto fatto di scelte politiche chiare e coerenti.