Un ministro laico o togato o targato?

Il quadro riformatore della giustizia prospettato dal ministro Carlo Nordio, nel suo intervento alla commissione Giustizia del Senato, in cui ha presentato le linee guida del suo ministero, è stato impropriamente ed esageratamente considerato come un pesante attacco contro i magistrati e l’attuale assetto della magistratura.

Il dibattito conseguente si è immediatamente spostato sulla contrapposizione manichea tra garantismo e giustizialismo, nel senso che il ministro Nordio viene visto come un vindice filoberlusconiano rispetto alle ingerenze giudiziarie nella politica alla faccia di Giorgia Meloni storicamente auto-considerata una forte, inesorabile e pregiudiziale fustigatrice dei comportamenti scorretti e illegittimi. Si sta facendo a gara nel cercare passati pronunciamenti meloniani giustizialisti in chiara discontinuità con l’attuale linea del suo governo così come impostata dal garantista ministro Nordio.

Le incoerenze di Giorgia Meloni si sprecano un po’ in tutti i settori, dai rapporti con le istituzioni europee alle politiche di bilancio, dalla lotta all’evasione fiscale ai rapporti con l’Occidente. Aggiungiamoci pure tranquillamente la giustizia intesa in senso stretto e lato. È legittimo porsi il dubbio di come potrà fare a convivere con le idee riformatrici di Carlo Nordio, che peraltro era stato individuato da Fratelli d’Italia come candidato di bandiera durante la recente elezione parlamentare del presidente della Repubblica. Staremo a vedere: le contraddizioni nell’iniziale azione di governo non mancano, in parte dovuti ad improvvisazione ed inesperienza, in parte dovuti alla ricerca di un compromesso fra velleità identitarie di una destra non governativa e la necessità di affrontare le situazioni con un taglio pragmaticamente governista (lo chiedono l’Europa, i mercati, le varie emergenze, le scarse risorse disponibili, l’inevitabile scala di priorità nei problemi), in parte dovuti alle divergenze di vedute programmatiche fra i partner di governo (divisi sostanzialmente su quasi tutto ad esclusione del mantenimento del potere conquistato).

Ciò non toglie che sia necessaria una vera e radicale riforma della giustizia, anche perché bisogna ammettere il flop della precedente ed altolocata ministra Marta Cartabia, verso la quale si nutrivano attese purtroppo andate deluse.

La giustizia è materia delicatissima che tocca nel vivo delle persone e dei rapporti istituzionali e fra Stato e cittadino. Non può quindi essere affrontata in modo superficiale e tanto meno in base a presupposti di polemica squisitamente politica. Ecco perché sono andato a rileggermi un documento che l’ex senatore nonché insigne giurista Giorgio Pagliari mi fece avere in occasione della celebrazione dei referendum sulla giustizia dello scorso giugno, malamente sprecati quale occasione di sbloccare almeno la strada verso una vera e radicale riforma. Ne riporto di seguito alcuni brevi ma importantissimi passaggi.

“La situazione, non può essere più tollerata per le troppe disfunzioni oggettive, che rendono inefficienti tanto la giustizia civile, quanto la giustizia penale. E per un contesto che porta troppa parte della Magistratura – in specie, quella inquirente – a pensare che autonomia e indipendenza significhino impunità e comunque libertà di usare gli strumenti a sua disposizione fino al confine dell’”abuso del diritto”.

I magistrati, infatti, sono gli unici dipendenti pubblici, che, in buona sostanza, non devono rispondere della loro azione sul piano della responsabilità civile. E, tra l’altro, questo consente, contro logica e principi, che la pubblica accusa, possa avviare indagini, chiedere l’arresto di persone e/o il sequestro preventivo di beni, senza essere chiamata a rispondere delle proprie azioni, che incidono sulla vita delle persone financo più delle sentenze definitive, neanche quando le stesse iniziative siano giudicate errate, prive di fondamento giuridico, da sentenze dei giudici penali.

Quanto alla separazione delle carriere appare, nel quadro attuale, l’unico rimedio possibile per creare le condizioni di un’effettiva indipendenza tra la magistratura inquirente e la magistratura giudicante., così da assicurare un vaglio vero da parte di quest’ultima delle richieste dei PM, troppo spesso oggi senza un filtro vero”.

Mi sembrano i due punti nodali da affrontare e da cui partire. Il resto, mi riferisco al discorso dell’uso/abuso delle intercettazioni, dell’obbligatorietà dell’azione penale, delle modalità di accesso alla magistratura, della funzione disciplinare sull’operato dei giudici, dipende dalla soluzione che si vuol dare ai nodi di fondo.

Il ministro ha sollevato anche altri discorsi, vale a dire la lotta contro la corruzione, la depenalizzazione dei reati, il sistema carcerario: tutte questioni molto rilevanti. Temo che, essendo il ministro un ex-giudice (ricordiamo che Oscar Luigi Scafaro come magistrato si sentiva «la toga cucita sulla pelle») e dovendo trovare comunque un punto d’incontro con le opinioni corporative dei magistrati, non affronterà il discorso della responsabilità dei magistrati, che, a mio modesto giudizio dovrebbe essere la madre di tutte le riforme in materia. Lo affermo non per sfiducia nei giudici, ma per troppa fiducia in essi, tale da non capire perché non vogliano assumere fino in fondo tutte le loro responsabilità.

Staremo a vedere cosa ci salterà fuori. Ricordiamoci che si tratta di una delle riforme poste dall’Unione Europea fra le condizioni per usufruire dei fondi del PNRR e che, al di là delle esigenze di una società che voglia considerarsi civile e democratica, comunque rappresenta una necessità imprescindibile per rendere la società italiana accogliente verso gli investimenti provenienti dall’estero.

Rammentiamo che non c’è giustizia senza garanzia dei diritti per tutti e non c’è garanzia dei diritti senza una giustizia efficiente e ficcante. Ecco perché mi fa venire il latte alle ginocchia la stucchevole polemica fra garantisti e giustizialisti e, se vogliamo, anche quella volta a prevedere se la riforma, che verrà varata, sarà berlusconiana o meloniana. Non mi fido dell’uno e dell’altra. Mi chiedo: riuscirà Carlo Nordio a ragionare con la sua testa sulla base della propria preparazione ed esperienza? Glielo auguro di cuore nell’interesse di tutti i cittadini. Non sta dicendo cazzate e non è poca cosa. Indro Montanelli esigeva che i politici parlassero poco e non puntassero a scaravoltare il mondo, ma si limitassero a far bene quel che serve. Ecco perché mi limito al momento ad aspettare con ansia una vera e radicale riforma della giustizia.