A colpi di andreottismo

A prima vista si direbbe che Carlo Calenda e Matteo Renzi, dal punto di vista caratteriale, psicologico e politico, siano diversi come il giorno e la notte. Si sono alleati elettoralmente dopo essersi giurati eterna antipatia, ma, strada facendo, aumentano i loro punti di contatto in una sorta di pseudo-strategia a più voci, difficile da capire, facile da intuire.

Sono sostanzialmente due i loro obiettivi, uno sulla sinistra e uno sulla destra, peraltro abbastanza collegabili fra di loro: una sistematica e rancorosa intenzione di creare disturbo al Partito Democratico da una parte, dall’altra parte una furbesca voglia di inserirsi nello spazio moderato della maggioranza per mettere in difficoltà Forza Italia e, adagio-adagio, accreditarsi come terza, quarta o quinta colonna del governo Meloni.

Qualcosa si era intravisto durante l’elezione del presidente del Senato: non ci sono e ci saranno mai le prove, ma il soccorso rosso (?) durante la votazione di Ignazio La Russa non poteva che venire di lì con una sorta di messaggio lanciato immediatamente cogliendo la palla al balzo. Hanno dato un bacetto al rospo, cominciando da subito a tenersi le mani libere, pagando persino qualche piccolo prezzo a livello istituzionale (leggi “carichette” parlamentari).

Poi c’è stato il discorso di Renzi nel dibattito sulla fiducia al governo: un “andreottismo” bello e buono, un abilissimo colpo di teatro, che ha lasciato intendere parecchie cose nei rapporti fra Giorgia Meloni e il terzo polo. Le prime mosse governative sono state nel segno della continuità con l’impostazione draghiana: il rigore di bilancio, la netta scelta di campo occidentale, il ritocco alle misure che lo stesso Draghi giudicava avventate o quanto meno esagerate (mi riferisco al reddito di cittadinanza e al superbonus del 110% in edilizia). E non era stato proprio il terzo polo ad attestarsi elettoralmente sull’agenda Draghi?

In men che non si dica siamo arrivati al gatto-Calenda che fa le fusa al capo del governo, mentre la volpe-Renzi sta a guardare con un certo interesse misto a gelosia. Potrebbe bastare poco per farli litigare; due simili pavoni prima o poi sono destinati ad andare in rotta di collisione. I patti spartitori su ruoli e competenze sembrano infatti molto precari.

D’altra parte l’ingaggio a poco prezzo delle fuoruscite forziste (Gelmini e Carfagna) la dice lunga, così come è chiarissima la sponsorizzazione della candidatura di Letizia Moratti a governatore della Lombardia: mosse che danno fastidio a Forza Italia e che imbarazzano e mettono alla punta il PD. L’obiettivo è quello di raspare potere contrattuale e consenso a destra e manca.

Forse però stanno esagerando, l’incontro fra Meloni e Calenda è un tantino prematuro e piuttosto clamoroso. D’altra parte il ferro va battuto quando è caldo. Per Giorgia Meloni fa comunque brodo, per Forza Italia è una spina nel fianco piuttosto scoperto, per la maggioranza di governo significa un certo qual alleggerimento della connotazione destra-destra, che tutto sommato fa bene sia a livello italiano che internazionale.

Nel campo del centro-sinistra è molto difficile valutare i contraccolpi di questa tattica del terzo polo: potrebbe costringere il PD ad uscire dal cerchiobottismo tattico, ma nello stesso tempo strappargli a livello programmatico la bandiera del riformismo-radicale ipotizzato da Luca Ricolfi. Forse varrebbe la pena accelerare indirettamente il processo, lanciando qualche messaggio cifrato a Berlusconi, il quale non aspetta altro che sfilarsi da un accordo di governo che lo imbarazza, stretto com’è fra Meloni e Salvini, che gli toglie ruolo a livello europeo, che non lo rassicura affatto nei suoi interessi affaristici. Si tratterebbe di un lavorare di sponda tra forzisti e democratici: un altro “andreottismo” di stampo difensivo, di mera sussistenza in attesa che si sgonfino i palloni del terzo polo.

La politica italiana è ridotta così: si è costretti a prestare molta attenzione a personaggi che non la meritano. Basti dire che a sinistra il PD si trova al bivio fra Giuseppe Conte e Calenda-Renzi e magari, fra poco tempo, Giorgia Meloni dovrà scegliere fra Silvio Berlusconi e Calenda-Renzi. E cosa direste se il PD cominciasse a ventilare un compromesso storico con Fratelli d’Italia, tagliando fuori tutte le mezze ali e costringendo il M5S a fare la parte della sinistra extra-parlamentare. Sono tutte elucubrazioni tattiche con cui sfogare una sorta di montante avversione verso la bassa politica: divertimento innocuo per politologi (sic!) scemi o totalmente disillusi.