Le armi tattiche

Niente proroga per ora sull’invio di armi a Kiev, comunque non senza un passaggio “vero” in Parlamento. Palazzo Chigi fallisce la spallata tentata con il blitz di lunedì in Senato, quando la maggioranza ha inserito a sorpresa un emendamento a un decreto inerente missioni Nato e sanità in Calabria per continuare a mandare aiuti militari all’Ucraina fino alla fine del 2023. La reazione delle opposizioni (Terzo polo escluso) sortisce l’effetto sperato e l’esecutivo, alla fine, ci ripensa. Non è però una resa senza condizioni perché il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha già chiarito che un eventuale, alternativo, decreto armi ad hoc (la richiesta avanzata dal Pd), andrà comunque approvato entro fine anno e potrebbe essere varato già nel Cdm convocato per domani. L’imperativo è fare presto, pena la fine della «copertura giuridica con cui l’Italia sta dando seguito agli impegni presi in sede Ue e Nato», come ha ricordato lo stesso responsabile della Difesa. Una circostanza di cui sono consapevoli anche i dem, che potrebbero aver fatto leva affinché il governo accogliesse la proposta di un provvedimento dedicato, assicurando in cambio il sostegno alla politica estera del governo e guadagnando l’isolamento del M5S. (dal quotidiano Avvenire)

Alla mia viscerale contrarietà all’invio di armi all’Ucraina si aggiunge la pena per i tatticismi governativi e parlamentari sulla materia: si sta giocando vergognosamente. La maggioranza di governo ha l’assoluta necessità di legittimarsi in senso occidentalista, filoamericano, europeista e quale occasione migliore di schierarsi, senza se e senza ma, per l’acritica e pedissequa prosecuzione della linea bellicista, camuffata da imprescindibile difesa dell’indipendenza ucraina.

L’opposizione anziché porre seri dubbi sulla linea governativa preferisce fare la voce grossa, ma solo a livello metodologico (competenza del Parlamento a decidere), magari trattare con la maggioranza per ottenere qualche piatto di lenticchie (presidenza Copasir e Commissione di vigilanza Rai) e dividersi tra critici (M5S e Verdi-Si), collaborazionisti (PD) e stampella della meloniana gioventù (terzo Polo).

Questa è la politica italiana. La guerra sta scoprendo gli altarini e diventa occasione per i propri giochini. Nessuno ha il coraggio di prendere posizioni nette di fronte al popolo italiano sempre più scettico e dubbioso su una guerra che si sta cronicizzando e con cui ci stiamo rassegnando a convivere. Conviviamo con la guerra, con la pandemia, col disastro ambientale, con la povertà che aumenta. Siamo all’abc, vale a dire alla difesa della democrazia a livello puramente metodologico e meramente formale (meglio di niente si dirà).

Il governo puntava a chiudere la partita alla chetichella infilando un emendamento in un decreto a portata di mano. Il M5S e il PD hanno respinto sdegnosamente questo sotterfugio, chiedendo un provvedimento ad hoc da discutere come tale in aula. Il governo ha ritirato l’emendamento.

Una presa di posizione che ha consentito ai democratici di intestarsi il risultato ottenuto: «Ci sembra che il governo abbia compreso», ha rivendicato Malpezzi, ribadendo poi la «piena disponibilità a lavorare sul tema con serietà». Crosetto, del resto, è stato piuttosto chiaro, dicendo di aspettarsi che «i parlamentari di opposizione rispettino l’impegno che ci ha portati, per dimostrare la volontà di dialogo del governo verso il Parlamento, al ritiro dell’emendamento».

Sarà il prosieguo della discussione a Montecitorio sulle mozioni a dire se l’intesa funzionerà. Se così fosse Giuseppe Conte si troverebbe solo, condizione che lo ha favorito in campagna elettorale, ma che complica le manovre per la presidenza della commissione di Vigilanza Rai. Chiaro però che oggi, nel corso del suo intervento, ribadirà la linea “zero compromessi”, rafforzando magari l’asse pacifista assieme all’alleanza Verdi-Si (con cui le interlocuzioni non si sono mai fermate). Oggi tra l’altro si voterà la presidenza del Copasir e anche in questo caso i possibili compromessi coi dem (che vorrebbero l’ex ministro della Difesa, Lorenzo Guerini), potrebbero saltare in partenza. (sempre dal quotidiano Avvenire)

Se fossi un parlamentare non voterei l’invio di armi nemmeno sotto tortura o a rischio della vita. I parlamentari invece non trovano di meglio che confabulare, sollevando un po’ di fumo per accontentare la linea bellicista a livello internazionale e per salvare le rispettive facce a livello politico. Lo chiamerei gioco delle parti. E mi dovrei sentire in colpa per essermi astenuto alle recenti elezioni? Un caro amico mi ha inviato in questi giorni un messaggino riepilogativo: “Questi politici ci prendono per il culo: condoni mascherati, finti dialoghi, indecisionismo tattico, sindaci compromessi e sciagurati. Spero che ci farai un articolo!”. Per quanto è nelle mie possibilità…