Litigare per la pace

Forse sarà per l’affacciarsi di serie probabilità atomiche, fatto sta che finalmente, seppure in modo caotico e fin troppo articolato, si è cominciato almeno a parlare di manifestazioni contro la guerra, o per meglio dire, in favore della pace.

Un tempo la gente scendeva in piazza con una certa spontaneità ed immediatezza anche se la longa manus dei partiti era sempre presente a queste manifestazioni: il prezzo della demagogia, della strumentalizzazione e della faziosità politiche si metteva in conto, ma ciò non frenava la partecipazione anzi le dava vivacità e vitalità.

Nei salotti televisivi ci si interroga se sia utile promuovere iniziative di piazza contro la guerra. In molti c’è il preoccupato retropensiero di disturbare gli Usa e la stessa Ue, alcuni temono di fare confusione tra aggressori e aggrediti, altri di tradire il sacrosanto patriottismo ucraino, altri ancora di aggiungere confusione a quella già esistente a tutti i livelli. Tutte, a loro modo, preoccupazioni comprensibili, che però non dovrebbero paralizzare la società, facendole accettare quelli che papa Francesco definisce “schemi di guerra”.

Mio padre, alla luce della sua esperienza storica, non temeva affatto chi gridava per la pace, ma chi gridava per la guerra: purtroppo di piazze guerrafondaie ne aveva viste parecchie fomentate dal regime fascista. Aveva perfettamente ragione, perché innanzitutto esprimersi collettivamente serve ad alimentare l’autocoscienza pacifica che non è affatto scontata. Senza accorgercene stiamo facendo il callo alla guerra, ne parliamo come se fosse una questione puramente teorica o relegabile in un altro mondo, addirittura, come afferma l’autorevole storico Lucio Caracciolo, ne stiamo facendo una discussione “da bar”. Abbiamo quindi bisogno di scuoterci da questo torpore bellicista a costo di rincorrere la chimera pacifista.

In secondo luogo la gente, scendendo in piazza, ha la possibilità di inviare un messaggio ai propri governanti facendo loro sentire il fiato sul collo: la guerra non è una inevitabile combinazione politica, ma è una catastrofe umana da evitare sempre e comunque. Se lo mettano bene in testa i responsabili delle nazioni a cominciare dalla nostra. Bisogna costringere chi detiene nelle proprie mani i destini dell’umanità a ragionare di pace, con pazienza, perseveranza, mettendo da parte l’insano realismo per sostituirlo con il sano anche se fragile utopismo.

Protestare e manifestare per la pace significa anche esprimere solidarietà al martoriato popolo ucraino e a quella parte crescente del popolo russo, che si oppone alla dittatura putiniana e alla guerra, rischiando la galera e la morte, ai renitenti alla chiamata alle armi, a chi fugge dalla Russia, rifiutando la logica delle armi.

In terzo luogo la spinta di base proveniente dalla società dovrebbe costringere gli Stati a scendere sul piano della diplomazia intesa non come macabra raccolta delle macerie belliche, ma come ricerca spasmodica di un dialogo costruttivo e possibilmente preventivo. È troppo tardi? Non è mai troppo tardi!

Da ultimo dovrebbe servire a ricordare che la politica sganciata dagli ideali non regge all’urto dei problemi enormi con cui abbiamo a che fare. Si è portati a pensare che sia meglio accantonare gli ideali per dedicarsi ai bisogni concreti. Niente di più perfidamente sbagliato. Quando si dipinge una parete si inizia dall’alto. Alcune sere fa ho ascoltato un dibattito proprio sulla opportunità di promuovere iniziative di pace a livello di piazza (otto e mezzo su La7). Con mio relativo stupore ho colto sorprendenti ma incoraggianti assonanze tra Tomaso Montanari, autorevole pensatore di sinistra e Alessandro Giuli, giornalista certamente non schierato a sinistra anche se intellettualmente fuori dagli schemi: sul discorso della pace battevano pari! Un caso? Penso proprio di no! Quando si scherza con la politica si può anche litigare, ma quando si va al sodo dell’umana pacifica convivenza si trovano convergenze, magari parallele.

Alla domanda capziosa se sia questo il momento di scendere in piazza contro la guerra, il suddetto Tomaso Montanari ha risposto provocatoriamente chiedendo se si debba aspettare lo scoppio di una bomba atomica per farlo. E se le piazze si riempiranno di persone che la pensano diversamente, sempre meglio litigare per la pace che essere tutti d’accordo per la guerra.