Il PD è morto, ma è anche vivo

Tra i tanti (troppi) medici accorsi al capezzale del Partito democratico, c’è il suo fondatore Walter Veltroni, che rimane sempre vittima del suo “maanchismo” di crozzana memoria. Passo in rapida rassegna gli esempi di questo brutto difetto veltroniano, quello di voler tenere insieme tutto e il contrario di tutto.

Da ex comunista non resiste alla tentazione di elogiarne la discutibilissima eredità. “La terra di un partito non è la dichiarazione del giorno o l’ambizione dei singoli. É una comunanza di sentimenti: il Pci ha fatto tanti errori, ma c’era la sensazione che quella fosse una comunità”. Ma quale comunità?! Era un partito caserma, senza democrazia all’interno, dove prevaleva sempre la ragion di partito, dove si negava l’evidenza in funzione degli interessi di parte. Un partito comunitario, ma anche un partito caserma! Mia sorella, con la quale da democristiani si discuteva dei rapporti di collaborazione col Pci, diceva con la sua solita franchezza: “Noi nel Pci dureremmo sì e no dieci minuti”.

Ma non è finita qui. Veltroni fa persino l’elogio della follia comunista di fare opposizione in Parlamento al centro-sinistra e di fare al contempo giunte di sinistra col Psi in periferia. Quindi doppia identità: opposizione, ma anche governo! Quante volte vedevo i miei amici comunisti in difficoltà su questo piano scivoloso: morivano dalla voglia di affrancarsi dal giogo craxiano per lavorare seriamente ad accordi con la Democrazia cristiana, ma si voleva così colà dove si poteva ciò che si voleva.

Venendo all’attualità, Veltroni, come del resto aveva fatto da segretario del neonato Pd, riscopre la vocazione maggioritaria di un partito della sinistra riformista, che quindi punta alla propria egemonia e centralità, ma anche ad alleanze elettorali sul piano tattico e a convergenze programmatiche dal punto di vista strategico. Quindi un partito con una propria forte identità, ma anche disposto ad allearsi con altre forze politiche.

Il partito alle ultime elezioni non ha perso numericamente, ma ha anche perso politicamente. Il Pd è stato 10 anni al governo, con Berlusconi, con Salvini, col M5S, contribuendo a evitare il peggio per il Paese, spesso svenandosi. Ma dopo la crisi del governo Conte-Salvini sarebbe stato giusto andare a votare ed è stato un errore cambiare posizione rispetto alla riforma sul taglio del numero dei parlamentari, perché la Costituzione non si cambia a pezzetti con le urla, ma con una visione generale. Allora un partito governista ma anche orgogliosamente identitario.

Il problema del Pd non è allearsi con Conte o Calenda, le alleanze vengono semmai di conseguenza e in un secondo momento rispetto alle scelte di fondo, ma nel Lazio si può benissimo aprire un confronto in vista delle prossime elezioni. Pieni di se stessi, ma anche pronti a trattare.

La sinistra riformista deve puntare ad essere maggioranza in Parlamento, ma anche nel Paese, “riradicandosi” in esso, tornando nelle periferie del disagio sociale, scendendo in piazza per difendere le libertà e la pace, ritornando ad essere il partito che pone il lavoro quale tema prioritario e centrale. Ma la sinistra riformista deve anche togliersi dalla testa l’idea di essere superiore, di considerare chi la pensa diversamente, a destra o più a sinistra, come un incolto o un’anomalia.

Andiamo avanti vedendo come Veltroni la pensa sugli altri partiti. L’evoluzione del M5S da partito né di destra né di sinistra a partito progressista è positiva, ma anche i Cinque stelle devono continuare un processo per allontanare definitivamente elementi di antipolitica che appaiono posticci dopo quattro anni di governo.

Giorgia Meloni è una donna intelligente che ha combattuto per affermare il suo ruolo dentro il suo partito e fuori, con gli alleati. Ma il problema è anche di sistema: sarà una destra alla Bolsonaro, alla Trump, o ci sarà un’evoluzione? Si aprirà presto un dissenso sociale molto forte, ci si deve preparare a un’opposizione forte e vigorosa.

La parola fascismo ha una sua gravitas: il delitto Matteotti, le leggi razziali, la guerra… Questa destra è pericolosa per il suo populismo, la sua demagogia, gli attacchi possibili ai diritti civili, ma come si è contrastato Trump in America, si riuscirà a contrastare questa destra.

Le interessanti analisi di Walter Veltroni, riprese da una sua intervista rilasciata al quotidiano La Stampa e dalla sua partecipazione alla rubrica Otto e mezzo su La 7, risentono del compiaciuto distacco dal partito democratico, ma anche della passione politica per lui irrefrenabile. Può essere comodo pontificare dall’esterno, ma anche scomodo starsene in disparte a sgolosare nelle stanze e nelle piazze. Veltroni rischia il notabilato, ma anche di essere una buona e sincera coscienza critica, tutta da ascoltare. Forse della serie fate come dico e non come ho fatto. Il suo dirimpettaio Massimo D’Alema parla del Pd come frutto di una irrecuperabile fusione fredda, Veltroni ne parla come di una creatura da rieducare in tutto e per tutto. Forse ha ragione D’Alema, ma anche Veltroni.