Non resta che l’orgoglio democratico

“Quel mitomane bollito di Berlusconi ha la spudoratezza di puntare al Quirinale. Signore, liberaci da questo personaggio!”. Questo il messaggino inviatomi da un carissimo amico col quale dialogo molto spesso sulla politica, rivisitata alla luce dei valori cristiani, delle idealità dossettiane e lapiriane e delle strategie morotee. La reazione alle strabilianti (ma non troppo) performance berlusconiane non poteva che essere questa.

Farei però un passo di lato. In un recente intervento televisivo il professor Sabino Cassese ha spacchettato la storia italiana in tre fasi, identificate in tre date: il 1922, il 1946, il 1994.  L’avvento del fascismo, la rinascita democratica, l’inizio della sciagura berlusconiana. A distanza di quasi trent’anni siamo purtroppo ancora immersi a pieno titolo nel tristissimo periodo direttamente o indirettamente improntato all’improntitudine di Silvio Berlusconi (non è un bisticcio di parole, ma di scelte politiche).

Mentre il cavaliere punta a chiudere la sua era col botto, la destra post-berlusconiana mira ad inaugurare una nuova fase storica, revisionando la Repubblica italiana nelle sue fondamenta costituzionali, nelle sue collocazioni internazionali, nella sua storia passata, presente e futura. Mancano i cervelli per impostare un simile ribaltone anti-democratico, ma alla carenza di materia grigia può ovviare l’abbondanza di malpancismo socio-economico, di confusione mentale, di crisi valoriale, di egoismi personali e nazionali, di stanchezza morale, di frustrazione storica.

Qualcuno al tramonto della classe politica post-bellica (proveniente dalla Resistenza, dalle ideologie contrapposte, dai principi costituzionali, dalle scelte valoriali condivise), segnato dallo scoppio di tangentopoli, disse che per formare una nuova classe dirigente sarebbero stati necessari trent’anni. Sono passati invano, perché nel frattempo il berlusconismo, il leghismo, il post-fascismo e da ultimo il grillismo hanno bloccato ogni e qualsiasi evoluzione, tenendo a bagnomaria la politica in attesa del Godot riformista e progressista, che stiamo tutt’ora aspettando.

Si impone una domanda. La destra italiana nella sua attuale configurazione rappresenta solo lo spappolamento finale del berlusconismo o si propone come un vero e proprio post-berlusconismo, come un nuovo assetto repubblicano definibile con i peggiori “ismi” che la storia ci sta riservando: nazionalismo, populismo, sovranismo, etc. etc.?

Stando alle gag mediatiche di Berlusconi sembrerebbe la triste fine di un regime a cui Giorgia Meloni potrebbe dare involontariamente il colpo di grazia. Temo non sia proprio così e che in pentola stia cominciando a bollire qualcosa di nuovo forse ancor più pericoloso. E allora si presenta un’altra questione. Se ci puzza veramente di nuovo regime non sarebbe il caso di affrontare le elezioni con piglio unitario resistenziale, superando le divisioni per salvare la democrazia? Forse non è il momento di sottilizzare per chiamare a raccolta tutti coloro che credono ancora nella democrazia: non si tratterebbe di contrapporre alle nostalgie fasciste quelle resistenziali, sarebbe una pessima lettura prospettica della storia, ma di salvare il salvabile prima che sia troppo tardi (e forse lo è già…).

Un recente sondaggio dimostrerebbe che il cosiddetto “campo largo” di centro-sinistra sarebbe elettoralmente competitivo col “campo stretto” del centro-destra. Vale quindi la pena perdersi in stucchevoli discussioni sul sesso della sinistra mentre la democrazia è presa d’assalto dalla destra? Può essere Draghi l’uomo che riesce a fare sintesi e battere i disegni della destra? Se è così, attenti a non farselo scippare, perché qualche tentativo al riguardo è in atto!

Si potrebbero configurare due scenari. Da una parte la prospettiva della liquidazione di Mattarella (attenti perché Berlusconi non è poi bollito del tutto…), considerato l’ultimo baluardo istituzionale e costituzionale della democrazia italiana, magari con l’insediamento al Quirinale di Mario Draghi o di qualche altro (im)possibile traghettatore verso l’incognito provvisoriamente targato Meloni o roba del genere; dall’altra parte l’ulteriore insediamento quirinalizio di Mattarella capace di trarre dal cilindro il Draghi-bis riveduto e corretto, scommettendo su di lui quale premier capace di fare sintesi a livello del frastagliato campo largo.

Si tratterebbe di scommettere sul buon senso dei filo-mattarelliani e dei filo-draghiani, sperando che gli italiani continuino a fidarsi di due personaggi affidabili, comportandosi come Cornelia, la matrona romana esemplare madre dei Gracchi, la quale, ad una donna vanagloriosa che ostentava la sua ricchezza, mostrando i figli, disse: “Questi sono i miei gioielli!”. È il simbolo dell’orgoglio materno.  Gli italiani alla destra che espone le sue fasulle proposte potrebbero rispondere indicando Mattarella e Draghi: “Questi sono i nostri politici!” Sarebbe il simbolo dell’orgoglio democratico.