Pietro Vignali, il tenero agnello sacrificale

Quando è spuntata la candidatura a sindaco di Parma di Pietro Vignali, ho pensato a una fake news, non credevo infatti che la politica fosse ridotta così male. Non lo dico per disistima nei confronti dell’ex sindaco, che ha avuto una sua storia per la quale non è giusto né infierire né dimenticare, ma adottare il giusto rispetto verso la persona e verso la vicenda politico-amministrativa. Mentre capivo la sua ansia di riabilitazione personale non riuscivo a comprendere il disegno politico sottostante.

Poi ho cominciato a cogliere una certa audience verso questa paradossale ricandidatura, mi sembrava di intravedere una sorta di rivincita della solita Parma alla ricerca di una Maria Luigia qualsiasi, che facesse un po’ di fumo senza preoccuparsi dell’arrosto.

Ad un cero punto è spuntato l’appoggio sbracato di Silvio Berlusconi e allora ho visto concretizzarsi il solito disegno di asservimento della politica ai poteri forti: il canto di due cigni, musica per le orecchie di lor signori e dei parmigiani che non vogliono sentire altro.

La campagna elettorale sembrava confermare queste impressioni: la candidatura andava forte anche per le patetiche pompate gazzettiere. I sondaggi davano conto di una corsa contro il tempo, che tuttavia dava qualche illusione di relativo successo.

Poi si è rotto qualcosa di importante: la Lega ha fatto finta di appoggiare Vignali a livello di vertice, ma i leghisti duri e puri non sono andati a votare; Forza Italia ha battuto un colpo che non tutti hanno sentito; Fratelli d’Italia ha preso seriamente le distanze presentando una propria candidatura. Pietro Vignali è rimasto col cerino acceso in mano.

A babbo morto mi è giunta all’orecchio, da fonte attendibilissima, la voce secondo la quale il vero ispiratore della candidatura vignaliana sarebbe stato nientepopodimeno che Gianni Letta, l’eminenza grigia berlusconiana, e allora la sorpresa è aumentata. Evidentemente doveva esserci sotto un disegno politico: probabilmente la voglia di assestare un colpo al velleitarismo salviniano al fine di recuperare la centralità forzista all’interno dello schieramento di centro-destra. Parma poteva essere il caso emblematico per un simile tentativo di riequilibrio. In effetti Salvini sta rischiando grosso, stretto da una parte dall’offensiva meloniana e dall’altra parte dalla frenata berlusconiana.

Senonché Pietro Vignali ci ha lasciato le penne, è stato sacrificato sull’altare berlusconiano, lo hanno, in un certo senso, mandato allo sbaraglio e quindi posso capire il suo palpabile sconcerto umano e politico. I poteri forti parmensi non avranno alcuna difficoltà a riciclarsi nello sbiadito campo di Michele Guerra, mentre i berlusconiani di ferro continueranno a coltivare i loro sogni di ritorno alla gloria.

Se devo essere sincero, dal punto di vista squisitamente umano mi dispiace, ma la politica, come si sa, è spietata e non guarda in faccia a nessuno. Vignali aveva in cuor suo tanta voglia di riscossa giudiziaria (era uscito dai guai peraltro senza infamia e senza lode), tanto desiderio di riprendere umanamente quota dopo vicissitudini personali piuttosto sofferte, tanta spinta a rientrare nei giochi politici abbandonati in fretta e furia dieci anni fa, pagando per tutti e per tutti gli errori di una stagione politica dissennata. Non gli resta che puntare sulle sue ritrovate risorse umane, lasciando andare la politica che evidentemente non fa per lui.

Ricordo di averlo incontrato dieci anni or sono quando la sua posizione di amministratore pubblico stava traballando di brutto: eravamo in un vialetto dell’ex ospedale Rasori dove suo padre stava agonizzando. Gli strinsi la mano, chiedendogli se si ricordava di me e degli attacchi politici che direttamente o indirettamente non gli avevo mai risparmiato a livello giornalistico. Lui mi rispose affermativamente senza alcun risentimento. Mi permisi di consigliargli di lasciare perdere lo scontro politico per dedicarsi agli affetti famigliari così duramente messi alla prova (il legame con il padre che stava morendo ed al quale lui era molto affezionato). Convenne con me. Il resto è storia che è tornata inopinatamente di moda. Se avessi modo di incontrarlo gli riformulerei analogo consiglio.

Mi fermo perché la mia solita vocazione a stare dalla parte dei perdenti, la mia simpatia per chi soffre a qualsiasi titolo, la mia umana comprensione verso chi sbaglia, mi rendono simpatico Pietro Vignali. Non vado oltre perché rischierei di votare per lui al ballottaggio: tra la mnéstra scaldäda äd Vignäli e il niént da sén’na äd Guéra ghé pòch da stär a tävla.