L’uomo-rifiuto residuo indifferenziato

Le forze russe avanzano verso il centro di Severodonetsk, nell’assalto al Donbass nell’est dell’Ucraina. Sergei Gaidai, capo della regione di Lugansk, dice che i “soldati russi uccisi non vengono portati via, l’odore di decomposizione ha riempito la zona”.

Stesso odore di morte in un supermercato di Mariupol, dove i russi hanno ammassato decine di cadaveri di civili. Secondo Petro Andryushenko, consigliere del sindaco, molto attivo sui social e molto presente sui media locali, durante i lavori per il ripristino della rete idrica gli occupanti hanno trovato dei resti umani sepolti sommariamente. Dopo averli riesumati, “hanno creato una discarica di corpi” trattandoli “come fossero rifiuti”, ha detto il consigliere, citato da Ukrinform che pubblica anche una foto: lungo la fila di casse del Schyryi Kum supermarket, sul viale Svobody, tra arredi distrutti e su un pavimento sporco, si vedono cadaveri in avanzato stato di decomposizione, più o meno avvolti in coperte, stracci e buste nere dell’immondizia, un paio in divisa militare, gli altri in abiti civili.

Una foto raccapricciante che scegliamo di non pubblicare su Avvenire.it e che, sottolinea il sito di informazione ucraino, denuncia la mancanza di sepolture dignitose, di personale per la traslazione dei cadaveri e “persino di obitori improvvisati” nella città che, rasa al suolo e strozzata da 3 mesi di guerra, da sola secondo le autorità ucraine conta almeno 20.000 morti.

Nel ritrovamento dei cadaveri nella discarica di un supermercato c’è la tragica sintesi della fine di una seppur discutibile civiltà. Il rispetto per i vivi è venuto meno da tempo, dal momento che la guerra con le sue atrocità altro non è che la indegna conclusione di un iter che inizia nell’ingiustizia seminata in tempi di pace (?), per proseguire nei rapporti di sfruttamento a danno dei poveri, intesi come singoli e come nazioni, per sboccare definitivamente nel massacro camuffato dal gioco macabro dell’offesa/difesa.

Persino il rispetto per i cadaveri non esiste più: le fosse comuni sono troppo impegnative, meglio buttare il tutto in discariche consumistiche dove l’uomo è assimilato a packaging da eliminare. A ben pensarci il percorso può essere questo: da anonimo utente/consumatore ad anonima vittima/consumata. Questa ignobile fine del viaggio umano non è casuale, è la inevitabile conseguenza del considerare l’uomo e, se vogliamo ancor più la donna (a cui viene riservato il passaggio intermedio dello stupro), semplice carne, prima da commercio iniquo ed egoistico e poi da cannoni veri e propri.

In questo macabro ritrovamento di cadaveri mischiati a indifferenziati residui della grande distribuzione vediamo la fotografia emblematica di un disastro totale, segnato a valle dalla guerra, ma preparato a monte dalla non-pace costruita sull’ingiustizia nella distribuzione dei beni e sull’equilibrio nella scorpacciata delle armi. C’era una volta un mio carissimo amico che auspicava la fine del mondo con tanto di intervento di uno spazientito Padre Eterno. Faceva d’ogni erba delle cose che non vanno un fascio davanti al quale, dopo essere inorridito, si chiedeva: “Cosa aspetta Dio a buttare all’aria tutto; dopo averci salvato, ammetta di essersi sbagliato e ci distrugga…forse infatti è l’unico modo che gli resta per salvarci veramente”. Una visione apocalittica che ritorna sempre più d’attualità.

Gli alberi che cadono facendo un rumore assordante sono veramente troppi e tali da coprire il brusio della foresta che cresce. Non resta che sforzarsi di intravedere questa foresta fatta di piccole grandi gesta, non tanto delle pantomime della diplomazia dei potenti e dei loro scontri al vertice della follia, ma  di chi sa ancora allungare una mano (nonostante i divieti pandemici), regalare un bel sorriso (nonostante la triste valanga della cattiveria), dire una buona parola di vita (davanti alla morte che ci sovrasta), pensare bene (quando il male sembra avere il sopravvento), seminare un po’ d’amore (dove l’egoismo più sfrenato la fa da padrone).

Una mia simpatica coinquilina mi definisce un “poeta”, un po’per prendermi in giro, un po’ per rispettare la mia testarda nonviolenza anche a livello condominiale. Forse ha ragione. D’altra parte non so fare altro che ricorrere a questa riserva poetica. Faccio, come fin troppo spesso mi accade, il verso a mio padre. Quando qualcuno definiva assurda ed illusoria la risposta della religione cattolica ai misteri della vita, della morte e dell’aldila’, era solito rispondere  “Catni vùnna ti !!!”.