La pattumiera della sessualità repressa

Il nuovo presidente della Cei viene messo immediatamente alla “prova finestra” della pedofilia. Da una parte mi sembra alquanto ingeneroso buttare addosso sbrigativamente al cardinal Matteo Zuppi la responsabilità di fare chiarezza e pulizia su un fenomeno annoso e gigantesco che non ha certo colpito solo la Chiesa cattolica ma tutta la società.

Dall’altra parte posso capire l’ansia di rinnovamento espressa dai media, che purtroppo ormai colgono sempre e solo l’aspetto più spettacolare dei problemi per suscitare interesse. In dialetto parmigiano la pattumiera viene definita con una espressione plastica e assai incisiva: “lata dal rud”. Al vescovo di Bologna, investito di un nuovo alto incarico, viene chiesto di vuotare la “lata” dopo averla riempita di tutto il “rud” pedofilo presente nella Chiesa cattolica italiana. Operazione tutt’altro che semplice e indolore. Il tanfo si sente, ma scoprire donde venga e dove porti non è un fatto di mera pulizia ambientale.

È vero infatti che alla sporcizia di base la Chiesa ha aggiunto la sconcertante, omertosa e bigotta copertura del fenomeno coinvolgente il clero, ma soprattutto ha tradito, nel peggiore e scandaloso dei modi, la propria natura e missione evangelica.

C’è sempre stata la tentazione di risolvere il problema sminuendolo a livello di “mele marce” per reagire alla peraltro ingiusta generalizzazione del fenomeno, auto-collocandosi sull’altare delle vittime del bieco anticlericalismo di sempre. Ricordo al riguardo di essere stato costretto a reagire in modo sgarbato ad un’omelia di molti anni fa nella quale il sacerdote era portato a retrocedere il problema a livello di ingiusta e immeritata squalifica della Chiesa, dimenticando che le prime e indiscutibili vittime non erano i chierici in odore di pedofilia ma i minori in reale “persecuzione” sessuale.

Non molto tempo fa ho assistito allo sfogo di un sacerdote che all’ambone lamentava una vera e propria tortura anti-clericale auspicandone la fine all’insegna del “finiamola per favore! Non tutti i preti sono pedofili! Ci sono religiosi che si fanno il mazzo e non meritano questa gogna indiscriminata…”. Aveva non una ma mille ragioni. Restano tuttavia il problema e il fenomeno.

Si auspica che Matteo Zuppi possa favorire la trasparenza e la chiarezza portando a galla tutto il marcio, adottando i provvedimenti del caso, prevenendo sul nascere i comportamenti scorretti e abbandonando ogni e qualsiasi intento di “copertura”. Giustissimo. Non ho la competenza, la preparazione e la capacità di giudicare se le procedure in via di adozione saranno scientificamente, giuridicamente, socialmente ed ecclesialmente sufficienti al riguardo: sento molte voci scettiche e ammetto di non capire se siano motivate da sacrosanto intento critico o se siano frutto di pregiudiziale anche se comprensibile sfiducia.

Ho la tendenza a far risalire le cause di questo fenomeno al retaggio di una cultura anti-sessista ed anti-femminista presente da sempre nella Chiesa. Il sesso, fatto uscire dalla porta dell’umanità per un irresistibile prurito moralistico, rientra inevitabilmente dalla finestra di una surrogante porcheria.

“Non lo fo per piacer mio, ma per dare figli a Dio” è il motto che veniva ricamato sulle camice da notte delle donne di un tempo. Oggi sappiamo che la sessuofobia clericale al cui altare le donne sono state sacrificate, ha prodotto nelle generazioni femminili precedenti alla nostra una grave mutilazione psicologica che si è tradotta nella diffusa frigidità per la quale sono state ulteriormente disprezzate e usate come corpi insensibili e inerti. Un rapporto sessuale doveva avere un unico scopo: generare un figlio, una sorta di dovere d’ufficio che non doveva procurare alcun piacere viceversa sarebbe stato peccaminoso ma, al contrario, doveva essere eseguito in supina e obbediente esecuzione dell’ordine biblico “crescete e moltiplicatevi”. Attenzione però! Tutto questo riguardava solo e unicamente le donne, non certamente gli uomini che, appartenendo allo stesso genere maschile del loro dio, loro sì avevano diritto al piacere, eccome! Se ne coglie un’eco imbarazzante e vergognosa nelle indiscrezioni sullo scandalo latente delle suore umanamente e sessualmente abusate dai preti (il maschilismo clericale si esprime anche così!): prima o poi anche questa bomba esploderà…

Il discorso del sesso-maledetto, trasferito mutatis mutandis (senza alcuna sottile allusione erotica alle mutande), nella sessualità dei sacerdoti e dei religiosi, esorcizza, sotto la copertura di un celibato più imposto che scelto (“rinuncio al piacer mio per piacere a Dio”), i rapporti sessuali secondo natura per rischiare di scadere nelle trasgressioni contro natura. C’è poco da fare, la sessualità si può reprimere fino ad un certo punto: riuscire a compensarla con forti e sostitutive scelte di vita non è facile. Il sesso è un dono, non è un peccato. A volerlo espellere a tutti i costi, può succedere che si ripresenti all’appuntamento nel peggiore dei modi.

Togliere l’obbligo del celibato non sarebbe certamente l’unica soluzione per combattere la sessualità deviata, ma rappresenterebbe un bel passo avanti. Aggiungiamoci una educazione sessuale corretta a livello di seminari e una integrazione definitiva dell’universo femminile nella vita ecclesiale a tutti i livelli. In buona sostanza il sesso non è in contrasto con la scelta vocazionale religiosa, metterlo in questa dimensione di alternativa è operazione sbagliata, fuorviante ed estremamente pericolosa. È tempo di toglierlo dall’angolo pernicioso della trasgressione per metterlo a pieno titolo al centro della vita di fede.

Scriveva don Andrea Gallo nel suo testamento di un profeta: «Il sesso è anche un piacere. Fisico, intendo. E non me ne vergogno. Come prete non posso praticare la scelta del sesso, ma immaginarlo almeno un po’ praticato da altri, mi rende l’animo più gaudente e allegro». Mi permetto di discutere sul fatto che un prete non possa praticare la scelta del sesso. Chi lo ha detto? Chi lo impone? Non diamolo per scontato, potrebbe essere l’anticamera di frustrazioni propedeutiche persino alla pedofilia o comunque ad un sesso nascosto al limite o addirittura oltre il limite della deviazione.

Il cardinale Carlo Maria Martini aveva il grande pregio di porsi, a cuore aperto, davanti alle problematiche sessuali, alla bioetica, all’eutanasia, all’aborto, all’accanimento terapeutico, all’uso del preservativo, al sacerdozio femminile, al celibato sacerdotale. Partiva infatti dalla consapevolezza che «la prassi cristiana fa fatica nel trovare il giusto atteggiamento nei confronti del corpo, del sesso, della famiglia» ed aveva il coraggio di affermare che «dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale: la Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura dei media?».

Torno in conclusione al Cardinal Zuppi, investito di un importante e gravoso compito per la Chiesa italiana: non mettiamolo sulla graticola della pedofilia, non releghiamolo, seppure a contrariis, nell’anticaglia clericale, ma lasciamolo lavorare contro la pedofilia, soprattutto a favore di una visione nuova e gioiosa della sessualità della persona nel rispetto delle tendenze personali e intime. Vale per tutti, per i preti e per i laici, per le donne e per gli uomini, per le persone etero ed omosessuali.