Grazie prego scusi tornerò

Il presidente della Lombardia Attilio Fontana è stato prosciolto «perché il fatto non sussiste» con altre 4 persone dall’accusa di frode in pubbliche forniture per il caso dell’affidamento nell’aprile 2020 da parte della Regione di una fornitura, poi trasformata in donazione, da circa mezzo milione di euro di 75 mila camici e altri dpi a Dama, società del cognato Andrea Dini. Lo ha deciso il gup di Milano Chiara Valori. Il giudice, prosciogliendo tutti e 5 gli imputati con il «non luogo a procedere perché il fatto non sussiste», ha deciso che non è necessario un processo. 

 

La Corte di Appello di Torino ha assolto l’ex sindaca Chiara Appendino dalle accuse mosse nell’ambito del processo Ream. La pronuncia del giudice riguarda anche il suo capo di gabinetto e l’assessore al Bilancio. In primo grado la Appendino era stata condannata a 6 mesi di reclusione per una ipotesi di falso. Le accuse erano legate al mancato inserimento nel bilancio comunale di un debito di cinque milioni di euro maturato dalla città nei confronti della società Ream per la conversione dell’ex area Westinghouse. L’ex sindaca Appendino, in aula, ha accolto la sentenza in lacrime. “Sono state lacrime liberatorie. Ma anche lacrime di gioia. È stata confermata la mia buona fede”. Lo ha detto l’ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, dopo la sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte di Appello nel processo Ream “E’ stata una pagina dolorosa – ha aggiunto – ma ora sono contenta e non vedo l’ora di riabbracciare la mia famiglia”.

 

Era stata chiamata ‘Dirigentopoli’, l’inchiesta che nel 2010 travolse l’allora sindaco di Parma, Pietro Vignali. L’accusa era quella di 18 assunzioni clientelari in Comune per un presunto danno erariale di 3 milioni di euro. L’estate scorsa, dopo ben 10 anni, l’assoluzione: la Procura ha chiesto l’archiviazione per “errori investigativi”. É stato anche disposto un risarcimento proprio per la durata “irragionevole” del procedimento. “Mi hanno risarcito per 5mila e 300 euro”, dice Vignali all’Adnkronos. Cinquemila euro per 10 anni di processo? “Non ne faccio una questione di soldi. Al di là della cifra quello che conta è che è stato sancito un principio. Almeno è stato ammesso il danno nei miei confronti, sia personale che politico, tenuto conto della funzione che svolgevo, ero sindaco della città, e per l’ampio clamore mediatico della vicenda. Provo sollievo per questo, ma certo l’amarezza resta”. Come ha vissuto quegli anni sotto inchiesta? “Io ho continuato a svolgere la mia professione, sono laureato in economia, non sono un politico di professione ma certo ho vissuto per 10 anni in una condizione di sospensione. E anche in Comune all’inizio tutto venne paralizzato. Anche perché quei 18 dirigenti che avevamo assunto non sapevamo più se erano legittimati o meno a firmare gli atti. Anche atti di entità rilevante”. Perché decise di assumerli? “Perché volevamo immettere nell’amministrazione comunale competenze importanti che venivano anche dal privato, assunzioni a tempo determinato con criterio meritocratico. La finalità era positiva. E invece con ‘Dirigentopoli’ sembrò che io avessi assunto miei parenti…”.

 

Tre vicende molto spiacevoli – non sono le uniche e per esse non intendo assolutamente entrare nel merito – che dimostrano una certa qual giustizia sommaria aleggiante nel nostro sistema: una sorta di accanimento giudiziario, che nulla ha da spartire col cosiddetto rigorismo. Se è vero infatti che occorra essere rigorosamente e particolarmente attenti al comportamento dei pubblici amministratori e alle loro eventuali violazioni della legalità, occorre essere altrettanto attenti a non sbatterli sbrigativamente in prima pagina e alla gogna.

Gira e rigira si tratta di errori investigativi e/o giudiziari, più o meno clamorosi, che non fanno bene né alla giustizia né alla politica, anche perché le scuse (?), le riabilitazioni (?) e i risarcimenti (?) suonano come autentiche beffe: sembra il tentativo di rimettere il dentifricio dentro il tubetto.  Prima di sputtanare un sindaco bisognerebbe pensarci sopra un attimo, altrimenti c’è anche il rischio che, con questi chiari di luna, nessuno voglia più assumere questi “pericolosi” incarichi e quindi si contribuisca indirettamente non tanto alla salvaguardia valoriale di queste funzioni ma alla loro progressiva svalutazione.

Non so se le timide riforme in cantiere (al riguardo mi pare assai deludente la performance del tanto incensato ministro della giustizia Marta Cartabia) e le forzature referendarie (si può migliorare il sistema giudiziario a suon di cervellotici sì e no?) possano contribuire a evitare il deleterio clima di caccia alle streghe. Io comunque per non sapere né leggere né scrivere sono orientato a votare “sì” per dare una scossa al sistema giudiziario e una mossa a quello politico.

È anche vero che la classe politica soffre per i propri negativi comportamenti a monte e a valle, ma generalizzare e sparare nel mucchio non è mai cosa seria e utile, serve solo ad alimentare il qualunquismo della gente, lo scadimento della giustizia ridotta a inquisizione aprioristica e la deriva della politica ridotta a gioco per i furbetti e i furboni di turno.

Penso faccia bene tornare (me lo ero ripromesso e mantengo…) a quanto affermato dal presidente Mattarella nel suo discorso di reinsediamento al Quirinale: non occorre aggiungere o togliere niente. Forse basterebbe rimboccarsi le maniche…delle toghe (lasciando perdere gli scioperi) e di tutti quanti operano all’interno del sistema investigativo e giudiziario per puntare a quel garantismo, che peraltro dovrebbe essere un automatismo sistemico.

“Nella salvaguardia dei principi, irrinunziabili, di autonomia e di indipendenza della Magistratura – uno dei cardini della nostra Costituzione – l’ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della Magistratura devono corrispondere alle pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini. È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento affinché il Consiglio superiore della Magistratura possa svolgere appieno la funzione che gli è propria, valorizzando le indiscusse alte professionalità su cui la Magistratura può contare, superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all’Ordine giudiziario. Occorre per questo che venga recuperato un profondo rigore. In sede di Consiglio Superiore ho sottolineato, a suo tempo, che indipendenza e autonomia sono principi preziosi e basilari della Costituzione ma che il loro presidio risiede nella coscienza dei cittadini: questo sentimento è fortemente indebolito e va ritrovato con urgenza.

I cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario. Neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la doverosa certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone. Va sempre avvertita la grande delicatezza della necessaria responsabilità che la Repubblica affida ai magistrati. La Magistratura e l’Avvocatura sono chiamate ad assicurare che il processo riformatore si realizzi, facendo recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia, allineandola agli standard europei”.