Denti avvelenati e denti devitalizzati

In questi giorni la politica italiana più che nei soliti Palazzi sembra trovare la sede opportuna in un gabinetto odontoiatrico nella cui anticamere stazionano due strani pazienti: Giuseppe Conte col suo dente avvelenato nei confronti di Mario Draghi, colpevole di essere il suo successore a palazzo Chigi, e Luigi Di Maio col suo dente devitalizzato verso Maro Draghi, meritevole di averlo scelto e sopportato alla Farnesina.

Nel movimento cinque stelle in primo piano c’è questo scontro molto personale e poco politico, maldestramente presentato come un conflitto tra due strategie movimentiste e strumentalmente motivato dalla posizione governativa italiana sulla guerra russo-ucraina. Questioni di per sé piuttosto rilevanti se non fossero brandite come clave in un penoso duello all’ultimo sangue, che certifica la sostanziale fine di un’esperienza politica deludente per i tanti italiani caduti nella trappola grillina.

Entrambi i contendenti non sono in grado di recuperare ed aggiornare lo spirito del “vaffanculismo grillino”, che rimane una simpatica (?) e storica trovata a livello di distrazione di massa. Giuseppe Conte ha costituito in passato la versione in doppiopetto governativo del M5S e ora si erge a contestatore degli equilibri persino internazionali, indossando i panni di un improbabile post-rivoluzionario rispetto ad una rivoluzione miseramente fallita. Luigi Di Maio superato e bruciato leader pentastellato sta ripiegando su un taglio di mera sopravvivenza personale all’ombra di Mario Draghi in uno spudorato autoriciclaggio di stampo opportunistico.

In una grossolana bagarre pseudo-pacifista si scontrano due linee diverse nell’atteggiamento da tenere sulle armi all’Ucraina. Come se i cinque stelle non volessero inviare armi a Zelensky per utilizzarle nella guerra al loro interno. Devo ammettere come non abbia tutti i torti Conte nel ritenere insensata la politica italiana così appiattita sulla strategia (?) Nato e sulla assenza europea riempita con estemporanee scorribande e discutibili fughe in avanti, che lasciano il tempo che trovano. Ma l’arma delle non armi va brandita con pacifista senso dello Stato, altrimenti diventa un velleitario ed infantile diversivo; sta succedendo proprio così, laddove il no all’ulteriore invio di armi all’Ucraina nasconde una irrefrenabile voglia di ricuperare visibilità e consenso, assestando colpi al governo di sempre più scarsa unità nazionale.

Anche Di Maio non ha tutti i torti nel mettersi filo-governativamente di traverso nei confronti di questa deriva anti-governativa innescata da Giuseppe Conte: uno gioca a nascondino e l’altro a mosca cieca. In realtà dei morti e dei feriti conseguenti alla guerra non frega niente a nessuno. Resta la realtà di un movimento politico in camera di rianimazione, mentre sullo sfondo prosegue la rovinosa valanga che si sta abbattendo sul mondo. Non la fermerà sicuramente Giuseppe Conte coi suoi finti scrupoli etici, non la fermerà a maggior ragione Luigi Di Maio coi suoi atteggiamenti da statista in erba.

Draghi se ne frega altamente delle beghe grilline (non so dargli torto), ma non riesce a incidere minimamente sulla via della pace (non riesco a dargli ragione). Enrico Letta sta tentando di imbastire un flirt con uno sfuggente e gracile interlocutore, lasciando ad esso il compito di giocherellare su questioni che sarebbero di sua auspicabile competenza. Siamo in un teatrino di periferia dove va in scena la politica ridotta a recita, mentre nel vero teatro infuria la guerra, piovono bombe, distruzione, miseria e carestia.