Abbasso la democrazia…

È presto per dire chi, a livello delle forze politiche, abbia vinto o perso nella mista consultazione elettorale, referendaria e municipale. Una cosa è certa: ha perso il cittadino italiano, che ha votato pochissimo nei referendum sulla giustizia e poco per l’elezione di sindaci e consiglieri comunali.

La gente non crede nella partecipazione al voto, chiede certezze e non sfide, è contraria alla democrazia diretta: il referendum abrogativo in teoria dovrebbe stimolare e invece allontana i cittadini dalle urne; l’elezione diretta dei sindaci – il tanto osannato sistema elettorale, che dovrebbe consentire una scelta immediata – scopre gli altarini di candidature poco politiche, molto civiche e troppo mediatiche.

Indubbiamente sui referendum pesa l’istinto di conservazione del potere, che li devitalizza a priori (forse, se la Corte Costituzionale avesse ammesso il quesito sulla responsabilità civile dei magistrati, la consultazione avrebbe preso una piega diversa), che li esorcizza passandoli nella padella del dimenticatoio, che reagisce come una lumaca all’intromissione dei cittadini: un po’, se mi è consentita una similitudine azzardata, come la gerarchia clericale con i presunti miracoli di apparizioni e lacrimazioni. Questa reazione subdola e burocratica, anziché indurre il potenziale elettore a riappropriarsi di un diritto, lo allontana irrimediabilmente dalle urne, esaltando il peggior qualunquismo possibile e immaginabile. Il referendum si sta rivelando uno strumento di mantenimento dello status quo a dispetto di chi lo brandisce spesso con intenti velleitari e polemici (il discorso non vale sempre e tanto meno per tutti).

Il referendum abrogativo è una cura a cui fare ricorso in casi particolari, è l’estremo rimedio per estremi mali, è un meccanismo democratico da utilizzare con grande senso della misura e della responsabilità. Non sono un patito della democrazia diretta, credo sia solo un’autodifesa del sistema democratico allorquando la rappresentanza perde autorevolezza e capacità di incidenza. Diversamente finisce con l’essere un vero e proprio boomerang (anti)democratico.

La disaffezione cronica per le urne sta diventando un fatto patologico grave ed irreversibile: è pur vero che la democrazia inizia il giorno dopo delle votazioni, ma, se le votazioni vanno sostanzialmente a vuoto, la democrazia rischia di non partire mai. Anche la continua sbornia elettorale non aiuta, ma ritualizza l’evento, riducendolo ad una stucchevole e scontata manfrina. In poche parole, si vota troppo e, come spesso accade, il troppo storpia ed è nemico del giusto. Adesso si comincerà a parlare di riforma elettorale, un modo come un altro per non affrontare il problema.

I referendum andati a vuoto ci riconsegnano, se possibile, una giustizia ancor più chiusa, inefficiente e ingiusta. Mi è capitato di ascoltare qualche superficiale riflessione di persone che non sono andate a votare: ma capirai se io mi devo interessare di robe astruse…se mi devo preoccupare di modificare certe leggi peraltro incomprensibili…se, con tutti i problemi che esistono, devo perdere tempo dietro giudici e politici che non sanno fare il loro mestiere…Perplessità comprensibili.

Attenzione però a non lamentarsi poi se la giustizia non funziona, se i giudici giocano a fare i politici e i politici giocano a fare i giudici, se sulle questioni controverse non si riesce a trovare un giudice che le affronti in modo ragionevole e tempestivo. Forse anche il cittadino dovrebbe imparare a fare faticosamente il proprio mestiere.