Lingua e orecchie (solo) per parole di pace

Il segretario generale della Nato è più duro del presidente dell’Ucraina riguardo alle prospettive di pace. “I membri della Nato non accetteranno mai l’annessione illegale della Crimea. Ci siamo anche sempre opposti al controllo russo su parti del Donbass nell’Ucraina orientale”, ha detto Jens Stoltenberg in un’intervista al quotidiano tedesco Welt, riportata da Ukrinform. Stoltenberg ha sottolineato che “l’Ucraina deve vincere questa guerra perché difende il suo Paese”. Eppure, è stato lo stesso Volodymyr Zelensky, solo il giorno prima, ad aprire ad un accordo di pace che non preveda la restituzione della Crimea.

Il presidente ucraino, infatti, ha detto che “riportare la situazione come era il 23 febbraio”, giorno prima dell’invasione, è un prerequisito per i colloqui. “In quella situazione potremmo iniziare a discutere normalmente” e l’Ucraina potrebbe usare “canali diplomatici” per riprendere il suo territorio. E la presa russa della Crimea risale al 2014.

 Il governo britannico, alleato chiave dell’Ucraina, ha affermato invece che l’esercito russo deve essere cacciato da tutta l’Ucraina, inclusa la Crimea. Nonostante l’intensificarsi dell’attacco della Russia alla regione orientale del Donbass in Ucraina, Zelensky ha affermato che c’è ancora spazio per la diplomazia. “Non tutti i ponti sono ancora distrutti”. (Dal quotidiano “Il tempo”).

Se qualcuno nutriva ancora qualche dubbio sulla metamorfosi della guerra in atto è servito: dalla resistenza ucraina all’invasione russa siamo passati al contrattacco Nato verso la Russia. Non è una piccola differenza! Chi in Italia vuole ridiscutere in Parlamento il quadro delle misure fin qui adottate ha perfettamente ragione a prescindere dalle motivazioni strumentali che può nascondere.

Zelensky è stato “brutalmente” tacitato perché ha osato avanzare una seppur piccola ipotesi di compromesso. E gli ucraini cosa diranno? Sarebbe interessante saperlo al di là della retorica sul loro coraggio. Preferisco l’eventuale arrendevolezza delle potenziali vittime alla fermezza “dell’armiamoci e morite”.

C’è qualcuno che ha preso la guerra al balzo e ci sta costruendo sopra il nuovo assetto mondiale: Usa e Cina, pur partendo da mire contrapposte, hanno tutto l’interesse a spazzare via la Russia dallo scacchiere internazionale. I primi affondano i colpi seppure per interposta nazione, i secondi aspettano il cadavere russo per spartirne le spoglie e in subordine, qualora la Russia si salvasse per il rotto della cuffia, per avere un “buon” motivo di aggredire Taiwan e risolvere una volta per tutte l’anomalia asiatica. L’Europa è il convitato di pietra, prigioniera delle sue divisioni, delle sue penose leadership, del suo storico filoamericanismo riveduto e scorretto.

E io dovrei tapparmi il naso, chiudermi gli occhi ed aprire la bocca per dichiarare da che parte sto o meglio per accodarmi al coro della guerra inevitabile (sinonimo di giusta). Non ci sto! Di fronte alla guerra non ci sono parole politiche che tengano. Le donne afgane devono indossare il burqa: copertura totale (solitamente di colore nero), guanti compresi, con feritoia per gli occhi. Io invece dovrei coprirmi il cervello per venderlo all’ammasso dei guerrafondai orientali e occidentali? D’ora in poi darò ascolto solo ed esclusivamente a parole di pace a costo di isolarmi, autoemarginarmi, astenermi dal voto: tutto sceglierò in funzione della pace. Mo s’ pól där ch’a gh’sia ancòrra quälchidón ch’a pärla äd fär dil guèri?