La fiera delle pompe funebri

L’economista Thomas Robert Malthus affermava che mentre la crescita della popolazione è geometrica, quella dei mezzi di sussistenza è solo aritmetica. Una tale diversa progressione condurrebbe a uno squilibrio tra risorse disponibili, in particolar modo quelle alimentari, e capacità di soddisfare una sempre maggiore crescita demografica. La produzione delle risorse non potrà sostenere la crescita della popolazione: una sempre maggiore presenza di esseri umani produrrà, proporzionalmente, una sempre minore disponibilità di risorse sufficienti a sfamarli. Tutto ciò può portare, secondo Malthus, a un progressivo immiserimento della popolazione. Per prevenire tale povertà possono essere efficaci freni “preventivi” (ovvero freni che agiscono ex ante prevenendo l’abnorme sviluppo demografico) che pongano impedimenti alla riproduzione (controllo delle nascite), oppure freni repressivi (come guerre, carestie e epidemie).

Siamo pienamente dentro i cinici scenari prefigurati da Malthus: la pandemia ha toccato tutto il mondo, la guerra è presente in tutto il mondo, quella in Ucraina riporta d’attualità prospettive di carestie e di fame. Il chiodo bellico ha scacciato quello pandemico nel nostro piccolo cervello. Ormai riteniamo che il covid sia diventato un ospite obbligato del nostro vivere e morire: le cifre dei contagiati e soprattutto dei morti continuano ad essere drammatiche, ma noi ci consoliamo con le elucubrazioni scientifiche (che ci vogliono tutti maggiorenni e vaccinati) e della politica (che prima ci dice che tutto va bene e poi aggiunge che però bisogna stare bene attenti).

Oltre due anni di autentica presa per i fondelli. Le preoccupazioni sono state due. La prima è stata ed è quella di non mettere in crisi l’economia, sacrificando sul suo altare le vite umane dei cittadini. Della serie l’importante non è tanto vivere quanto produrre e consumare. La seconda riguarda il mantenimento dello status quo del sistema sanitario andato letteralmente in crisi con l’esplosione del virus: sarebbe interessante sapere quanti morti sono da far risalire più alla impreparazione ed inefficienza delle strutture sanitarie che alla gravità della malattia. Il sistema sanitario deve la sua relativa resistenza allo spirito di sacrificio degli operatori e alle vittime silenziose e abbandonate a loro stesse. Il punto di tolleranza marginale pandemica quindi non è tanto misurato sul numero delle vittime (che rimane tuttora altissimo), ma sulla resistenza del sistema sanitario a cui in oltre due anni non si è riusciti ad apportare alcun miglioramento significativo. Le cose vanno meglio non tanto perché non si muore o si muore meno di covid, ma perché gli ospedali reggono all’urto (non perché siano stati potenziati, non perché la malattia sia diventata meno importante, ma perché le strutture si sono auto-assestate): d’altra parte anche il colorato balletto regionale era scandito su questo parametro. L’obiettivo era ed è fine a se stesso e punta ad occultare le manchevolezze di un sistema malato che non è in grado di affrontare le emergenze.

La riforma sistemica più veloce possibile era la lezione che non si è voluta umilmente imparare e concretamente applicare, preferendo blaterare per bocca del, peraltro insopportabile, contraddittorio e vanesio, protagonismo scientifico.

Tutti gli slogan coniati all’inizio si sono rivelati penosamente illusori e fuorvianti: andrà tutto bene, e dopo oltre due anni siamo sempre allo stesso punto e sta andando tutto male; niente sarà più come prima, e invece tutto è come prima e peggio di prima; il mondo dovrà rivedere schemi ed equilibri, al contrario gli stessi schemi ed equilibri stanno continuando a rovinare il mondo.

Di pandemia non si parla più, chi si becca il covid se lo tiene e per chi muore pace all’anima sua. È offerto più come postulato che come ipotesi verificata sul campo il fatto che i soggetti vaccinati piglino il virus in forma leggera: una delle tante forzature propinate per giustificare il comodo totem della vaccinazione. Non è vero che il covid si stia trasformando in una semplice influenza: altra bugia pietosa (?), perché le conseguenze ci sono eccome e col tempo se ne vedranno altre. Così come le controindicazioni e gli effetti indesiderati del vaccino.  La parola d’ordine fin dall’inizio non è stata la verità, ma la sdrammatizzazione se non addirittura la copertura della peraltro scarsa verità conosciuta sulla malattia e sui suoi andamenti. Le balle bisogna saperle raccontare e l’unica cosa di cui siamo capaci è questa: raccontare e credere alle balle, che dovrebbero stare in poco posto e invece continuano a imperversare.

La gente respira meglio senza mascherine col rischio di non respirare più. L’importante è poter andare al bar, al ristorante, in vacanza, il resto non conta. Se l’economia tira va tutto bene: l’operazione è riuscita anche se ci ammaliamo e moriamo. Si parla di vaccinazioni a ripetizione e tutti cominciano a dubitare della loro efficacia. D’altra parte non c’è altra arma di difesa. Almeno così dicono gli esperti e i governanti.

La distrazione di massa è paradossalmente la guerra in Ucraina. «Parlèmma ‘d robi alégri» intimarono gli amici di mio padre alla compagnia in vena di discorsi penosi: uno di loro, accettando il perentorio invito, rispose: «Co’ costarala ‘na càsa da mòrt?».