Le montagne russe: militari, economiche e religiose

L’invasione russa dell’Ucraina al suo inizio lasciava intravedere una immediata e facile conclusione sul piano militare con la precipitosa resa, più del popolo ucraino che di Zelensky, e l’instaurazione di un governo fantoccio amico dell’invasore.

Si pensava invece che la Russia avrebbe fatto molta fatica a reggere l’urto delle sanzioni economiche e finanziarie e avrebbe sofferto il contraccolpo finendo sull’orlo di un vero e proprio default: le sbruffonate di Putin nascondevano la debolezza del sistema produttivo con il ricatto energetico, l’artificiale e mafiosa struttura finanziaria con il pericolo del trascinamento occidentale nel gorgo di una crisi mondiale. Solo l’arma nucleare avrebbe potuto frenare l’attacco ad un gigante economico coi piedi d’argilla.

Le cose stanno andando in modo opposto. La Russia risulta impelagata in una guerra di posizione che dimostra tutta la sua arretratezza militare. Forse nessuno si aspettava che Putin fosse così debole sul campo e che l’Ucraina fosse così forte nella sua resistenza, a causa della convinzione popolare e della dotazione di un arsenale militare di prim’ordine, peraltro in via di progressiva implementazione per i massicci aiuti provenienti dall’Occidente (soprattutto dagli Usa).

La Russia sembra invece sopportare con una certa disinvoltura i problemi economici, complice il sistema dittatoriale che consente un dirigismo economico addirittura sorprendente, complice la scarsa reattività del popolo russo alle prospettive di impoverimento, complice la ricchezza energetica che continua a fornire, nonostante tutto, i mezzi finanziari atti a sostenere una guerra sempre più complicata e problematica.

Negli ingranaggi della situazione russa molto tesa e difficile si è inserito il “granellino” di sabbia della questione religiosa. Putin poteva contare sull’appoggio culturale di quel Kirill,  che quando era il “ministro degli esteri” del patriarcato veniva considerato filo-occidentale, ma che poi ha  dovuto rivedere abbondantemente le sue posizioni politico-religiose a partire dai primi anni del 2000 e poi, una volta divenuto patriarca, si è per così dire innamorato dell’ideologia del cosiddetto Russkii mir (letteralmente “mondo russo”), secondo cui esiste una sfera o civiltà russa transnazionale, chiamata Santa Russia o Santa Rus’, che include appunto Russia, Ucraina e Bielorussia (e talvolta Moldova e Kazakistan), con l’Occidente visto come il nemico conclamato, soprattutto rispetto ai valori anche e soprattutto religiosi tradizionalmente posti alla base di questa unità (leggi Mimmo Muolo su Avvenire).

Continuo a fare riferimento a quanto scrive il quotidiano Avvenire in merito all’evoluzione della Chiesa ortodossa.

La decisione del Consiglio della Chiesa ortodossa ucraina, guidata dal metropolita Onufriy e legata finora al patriarcato di Mosca, di dichiarare «la piena indipendenza e autonomia», dopo aver condannato la guerra ed espresso dissenso rispetto alla posizione presa dal patriarca Kirill sul conflitto, è una di quelle notizie che – se confermata – può proiettare i suoi effetti ben oltre i confini del complesso e frastagliato mondo dell’ortodossia. Certo non è solo una questione interna al patriarcato di Mosca, sul quale pure è destinata a scaricare le sue prime conseguenze.

Perdere l’Ucraina, infatti, per Kirill vorrebbe dire essere privato di 10mila parrocchie, 15 milioni di fedeli e uno dei principali serbatoi di vocazioni, di sacerdoti e anche di offerte economiche. Evidente, dunque, l’indebolimento del patriarca di Mosca e di tutte le Russie (cioè appunto Russia, Ucraina e Bielorussia) a partire dallo stesso titolo. Il che lo metterebbe in un angolo e in ulteriore difficoltà rispetto alle frange più oltranziste all’interno del patriarcato, tra le quali si è ultimamente distinto il metropolita di Pskov e Porkhov, Tikhon Shevkunov, da sempre amico del presidente Putin e da molti indicato come il suo “padre spirituale”.

La “secessione” dell’Ucraina, dunque, sarebbe una grave perdita per una Chiesa che aveva già dovuto incassare lo “sgarbo” dell’altra comunità ortodossa ucraina, quella guidata dal metropolita Epifanio, al quale il patriarcato ecumenico di Costantinopoli aveva concesso l’autocefalia, compromettendo così i rapporti tra Kirill e Bartolomeo.

E proprio questa compresenza delle due Chiese sul territorio della nazione attaccata dall’esercito di Putin apre un altro fronte gravido di conseguenze. Nel comunicato diffuso venerdì, il Consiglio torna ad esprimere «il suo profondo rammarico per la mancanza di unità nell’ortodossia ucraina». È probabile che tutto ciò sia il frutto delle preoccupazioni per la diaspora “interna” alla stessa ortodossia di quel Paese.

Secondo l’agenzia Risu, citata dal Sir, dopo il 24 febbraio, data di inizio dell’aggressione russa, si è intensificato il processo dei trasferimenti di parrocchie dalla Chiesa legata a Mosca a quello autocefala. In totale più di 200 comunità. Per cui il Consiglio auspica che si possa riprendere il dialogo, «fermare il sequestro di chiese e i trasferimenti forzati di parrocchie».

Per chi conosce bene quegli ambienti, potrebbe essere il preludio per la realizzazione del progetto di riunificazione, finora rimasto a livello di intenzioni. «Il momento è propizio», sostiene una fonte ben informata. Potrebbe nascerne addirittura un patriarcato ortodosso ucraino unico. E a questa nuova entità potrebbe avvicinarsi molto anche la comunità greco-cattolica di Kiev che fa capo all’arcivescovo maggiore Shevchuk. L’Ucraina diventerebbe così una sorta di laboratorio ecumenico avanzato per il fatto che i due punti di riferimento dell’eventuale patriarcato ortodosso ucraino sarebbero da una parte Costantinopoli, dall’altra la Santa Sede. Il che potrebbe anche rinvigorire quell’ecumenismo di base e dell’affrontare insieme problemi concreti che anche Francesco predilige.

In sostanza lo scenario che la decisione degli ortodossi ex filo russi di Kiev lascia intravedere è una sorta di eterogenesi dei fini rispetto alle intenzioni di Putin e dello stesso Kirill. Se infatti il capo del Cremlino ha cercato in questi mesi l’appoggio e la giustificazione della sua azione militare, strumentalizzando per i suoi fini egemonici la componente ortodossa russa, proprio gli attori ecclesiastici stanno cominciando a presentargli il conto.

L’Ucraina, non ancora conquistata militarmente, potrebbe essere persa sotto il profilo religioso. E per lui e Kirill non sarebbe certo un successo.

Putin rischia di trovarsi strada facendo senza generali affidabili, senza oligarchi di stretta osservanza e senza appoggi religiosi. Si potrebbe azzardare: “chi di religione ferisce di religione perisce”. Intendiamoci non è bello assistere alla compromissione della Chiesa ortodossa con la peggior politica, non è edificante assistere allo scontro fra le varie fazioni della Chiesa che nulla hanno di religioso e tutto hanno di posizionamenti tattici e di potere, non è consolante vedere come gli ortodossi seguano più gli istinti nazionalistici che le ispirazioni evangeliche. Tutto ciò premesso, almeno e forse, stanno capendo che schierarsi con Putin è una follia. Un primo passo di cui prendere atto.

Ora viene il bello: come si porrà la Chiesa Ucraina, indipendente da Mosca e finalmente riunificata, nel caldissimo e delicatissimo agone bellico? Resterebbe da fare un difficile e radicale ulteriore passo in avanti, quello di schierarsi sempre e comunque dalla parte della pace, che si costruisce con la non violenza e non con le armi. Forse potrebbe essere tardi e poi non si potrà essere neutrali.

Vale quanto scriveva don Primo Mazzolari nel suo libro “Tu non uccidere”: i profeti hanno sempre qualcosa da dirci. “La non-violenza non va confusa con la non-resistenza. Non-violenza è come dire: «no» alla violenza. È un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva. La pigrizia, l’indifferenza, la neutralità non trovano posto nella non-violenza, dato che alla violenza non dicono né sì né no. La non-violenza si manifesta nell’impegnarsi a fondo. La non-violenza può dire con Gesù: «Non sono venuto a portare la pace ma la spada». Gli ortodossi lascino perdere Kirill e gli altri loro capi più o meno invischiati nel potere, non si facciano condizionare dalla loro impresentabile storia e ascoltino queste parole: ne trarranno insegnamenti utili.