I rampini dell’Occidente

Mi sono permesso di criticare in questi giorni il pensiero, se non unico, dominante, che emerge a commento dell’invasione dell’Ucraina, pensiero che non esito a definire “bellicista”. Dal momento che la miglior difesa è l’attacco ecco quello dotto e argomentato di Federico Rampini nel suo ultimo libro “Suicidio occidentale”.

In estrema sintesi la tesi in esso contenuta e questa: “Se un attacco nel cuore dell’Europa ci ha colto impreparati, è perché eravamo impegnati nella nostra autodistruzione. Il disarmo strategico dell’Occidente era stato preceduto per anni da un disarmo culturale. L’ideologia dominante, quella che le élite diffondono nelle università, nei media, nella cultura di massa e nello spettacolo, ci impone di demolire ogni autostima, colpevolizzarci, flagellarci. Secondo questa dittatura ideologica non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni, abbiamo solo crimini da espiare. Questo è il suicidio occidentale. L’aggressione di Putin all’Ucraina, spalleggiato da Xi Jinping, è anche la conseguenza di questo: gli autocrati delle nuove potenze imperiali sanno che ci sabotiamo da soli”.

Avrei due “timide” obiezioni da rivolgere a questo importante e impegnato scrittore di cose internazionali. La prima riguarda la sottovalutazione del pericolo russo, che non è avvenuta per una sorta di complesso culturale di inferiorità da parte del mondo occidentale, ma per presuntuosa e dominante volontà affaristica, che da anni ha steso un velo di pietoso silenzio sulle malefatte del regime russo. Non ci siamo disinteressati degli attacchi alla democrazia da parte degli attuali due “imperi del male”, Russia e Cina, per i sensi di colpa che ci condizionano, ma per gli interessi economici che ci guidano.

Trump, nella sua paranoica realpolitik, arrivava ad ammirare Putin, bypassando o disturbando l’Unione europea. Ora che gli Usa, con Biden, hanno ripreso a ragionare (?) e attaccano a spron battuto e talora sconsideratamente il macellaio Putin, la Ue si fa trovare debole, disunita e sparpagliata, anche se tatticamente e precariamente ricompattata di fronte alla contingenza devastante di una guerra alle porte di casa. Non è questione di autodistruzione culturale occidentale, ma di riduzione della politica internazionale a mero affarismo globale salvo poi svegliarsi dal sonno utilitaristico quando è tardi.

Il secondo discorso è relativo alla mancanza di autostima occidentale. La nostra democrazia, anche se, come diceva Churchill, è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora, non è certo esente da colpe e limiti gravissimi, così come l’equilibrio internazionale perseguito fino ad oggi grida vendetta al cospetto di Dio. Scontiamo i nostri clamorosi errori e non è proprio il caso di sentirsi primi della classe: l’autocritica è sempre e comunque positiva senza paura di ammettere i propri errori e le proprie manchevolezze. Abbiamo purtroppo anche crimini da espiare, guerre assurde da farci perdonare, esami di coscienza da fare.

Nel corso della trasmissione di “L’aria che tira”, un programma in onda su La7, durante un acceso confronto sull’aumento delle spese militari e sul conflitto fra Russia e Ucraina, il giornalista del Corriere della Sera Federico Rampini, l’autore del libro di cui sto criticando la tesi di fondo, ha attaccato Tarquinio – per il quale le sanzioni economiche «sono come bombardamenti: non piegano i regimi, ma piagano i popoli, si blocca il grano in Russia e si muore di fame in Nord Africa» – ritenendo «ignobile» il «mettere sullo stesso piano sanzioni e bombardamenti» e accusando Tarquinio di essere «uno dei tanti che lavorano per Putin».
In difesa del direttore di Avvenire si sono espressi esponenti politici di diverso orientamento, di rappresentanti dell’associazionismo, di personalità della cultura, dello sport e di “semplici” lettori. «Un abbraccio di solidarietà e stima» è arrivato dal direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, convinto che «quanto accaduto a Marco Tarquinio su La7tv dimostra il “conformismo bellico”».

Mi compiaccio degli attestati di solidarietà inviati a Marco Tarquinio a cui aggiungo il mio, anche se sarebbe meglio avere il coraggio di esprimere idee e sostenere tesi in contro-tendenza e non aspettare che i pochi coraggiosi vengano sbrigativamente e strumentalmente tacciati di putinismo.

Posso essere d’accordo che l’attuale momento non sia il più indicato per una revisione democratica, ma nemmeno per un colpo di spugna sul passato remoto e recente e per non vedere gli errori del presente di cui Marco Tarquinio si fa obiettivo, coerente e credibile censore. Pensiamo soltanto agli egoismi da cui ci siamo fatti guidare, alle ingiustizie che abbiamo costruito, alle porcherie che abbiamo sparso per il mondo.

Il fatto di avere a che fare con le travi dei comunismi riveduti e scorretti di Putin e Xi Jinping non ci esime dal togliere le travi dagli occhi occidentali. Forse sono proprio queste nostre travi che non ci hanno permesso non dico di rimuovere, ma nemmeno di vedere le travi dei due imperi di Russia e Cina.