Gli alberi della guerra e la foresta della pace

Il governo ucraino ha promesso “indagini immediate” dopo che è stato diffuso su Telegram un video la cui autenticità è tutta da verificare. Nelle riprese si vedono quelli che sembrano essere soldati ucraini, i quali sparano alle ginocchia di uomini apparentemente prigionieri russi, durante un’operazione nella regione di Kharkiv. Così ha ricostruito la vicenda la tv statunitense Cnn.

Nel video di quasi sei minuti, che l’emittente Usa non pubblica limitandosi a descriverlo, quelli che sembrano soldati ucraini affermano di aver catturato un gruppo di ricognizione russo basato a Olkhovka, una cittadina vicino a Kharkiv a una trentina di chilometri dal confine russo. Restano forti dubbi sulla veridicità del video: e alcuni esperti e debunker su Twitter fanno notare anche che il sangue non si trova dove dovrebbe dopo gli spari, facendo presupporre che i prigionieri potessero essere feriti già prima. Ci sono anche dubbi sulle fasce blu e bianche che identificherebbero i soldati ucraini. Stando alla Cnn, non è chiaro quale unità ucraina possa essere stata coinvolta. I soldati sembra che parlino in un misto di ucraino e russo con accenti ucraini.

Mentre da parte ucraina si prendono le distanze da questo episodio, di cui peraltro si mette in discussione l’attendibilità, si promettono indagini immediate e si dichiara fedeltà ai principi previsti dalla Convenzione di Ginevra per quanto concerne il trattamento dei prigionieri, alla Russia non pare vero di definire mostruose le immagini di torture, riservandosi di valutarle legalmente per porre in atto azioni legali contro i responsabili. Siamo in presenza di un goffo tentativo russo di sviare l’attenzione dalle proprie orrende e colossali malefatte.

Bombe sugli ospedali, stupri di massa. A Mariupol è in corso un genocidio. In questa città, dove vivevano un milione di persone e che non esiste più, neanche la Croce rossa internazionale riesce a entrare. Dietro alle rovine ci sono combattenti, in cima agli edifici i cecchini. Piovono missili e granate a qualunque ora del giorno. Almeno 100mila persone sono intrappolate. Non arriva cibo, non c’è acqua potabile, la temperatura si abbassa sotto lo zero di notte ma non c’è gas da riscaldamento e neanche elettricità. E accendere un fuoco, di notte, vuol dire diventare un bersaglio.

Secondo la procuratrice generale dell’Ucraina, Iryna Venediktova, «quello che sta accadendo a Mariupol non è più un crimine di guerra. La guerra ha delle regole, ma qui non ci sono regole. Penso che si possa parlare di genocidio quando l’intera città è tenuta in ostaggio, dove non c’è possibilità di andarsene. Dove vengono prese a fucilate colonne di sfollati che cercano di partire. Dove viene distrutto un ospedale per la maternità», ha detto Venediktova.

Dalla città martire che Putin ha ordinato di prendere ad ogni costo per completare la cerniera costiera dal Donbass alla Crimea, arrivano solo i racconti del sottosuolo. I vivi parlano solo dei morti. Gli uni e gli altri nascosti in qualche cavità aspettando il miracolo della pace o un convoglio che li porti via.

Questa è la guerra in Ucraina, né più né meno di tutte le guerre: faccio fatica a individuare il confine tra atti e crimini di guerra. La guerra è un crimine di per se stessa, anzi, come dice papa Francesco, è un sacrilegio.

Scrive Nello Scavo su Avvenire, quotidiano dal quale ho attinto le note di cui sopra: “Succede che in guerra, come in ogni guerra, il nemico braccato talvolta non si presenti con la faccia feroce del combattente, ma mostri i connotati mesti del figlio sperduto. Come Radislav, il soldato russo che in una fattoria ucraina viene nascosto da una coppia di agricoltori di mezza età. Non se la sono sentita di consegnarlo alla polizia. Per i russi è un disertore. Per i militari di Kiev un invasore. Non è il solo. A Mosca sono terrorizzati dalle fughe di notizie.

Ma i casi di diserzione si stanno moltiplicando, mentre molti soldati a contratto si sono dimessi. «Eravamo in Bielorussia, ci avevano detto che era un’esercitazione come le altre. Hanno mentito. In Ucraina ci venivo in vacanza, a trovare i parenti, adesso mi chiedono di ucciderli», ha spiegato Radislav. Fuggiaschi e disertori. Per necessità e per scelta. Attraverso svariate fonti in Europa, in Ucraina e in Russia siamo entrati in contatto con alcune delle famiglie russe, preoccupate per la sorte dei militari mandati allo sbaraglio all’assalto di Kiev. Il morale è ai minimi e le voci di ammutinamento non sono più solo «calunnie del nemico». Il colonnello russo Yuri Medvedev, comandante della 37esima brigata fucilieri motorizzati è stato deliberatamente travolto da uno dei suoi carri armati.

Una rappresaglia interna motivata dall’aver mandato a morte centinaia di ragazzi. Sui social sono state diffuse le immagini dell’ufficiale gravemente ferito e portato in Bielorussia, dove sarebbe morto. Radislav è stato fortunato, ma non c’è modo di sapere come se la caverà. È stata la contadina che lo ha accolto a rassicurare la madre del soldato, in Russia. L’ha rincuorata e ha promesso che faranno in modo che nessuno gli faccia del male. Il giovanissimo carrista non aveva con sé né documenti né armi. In un filmato si vede la colonna di corazzati cadere in una imboscata”.

Una piccola riscossa di umanità che ci fa dire che non tutto è perduto. Alle stragi, agli stupri, alle torture, alle vendette, alle macerie materiali e umane fa riscontro qualche episodio di solidarietà, di ribellione, di obiezione di coscienza: forse non siamo così cattivi come la guerra ci impone di essere… Forse fanno più rumore gli alberi bellicosi che cadono della foresta pacifica che (nonostante tutto) cresce.