La marmellata russa e le dita leghiste

Mani pulite è il nome giornalistico dato a una serie d’inchieste giudiziarie, condotte in Italia nella prima metà degli anni novanta da parte di varie procure giudiziarie, che rivelarono un sistema fraudolento ovvero corrotto che coinvolgeva in maniera collusa la politica e l’imprenditoria italiana.  Mia madre non si capacitava (forse fingeva di non capacitarsi) del fatto che questa operazione giudiziaria fosse stata denominata “mani pulite”. “I gan tùtti il man spòrchi ètor che pulìdi…”, così commentava a modo suo quanto emergeva dalle latrine partitiche.

Un mio amico, comunista tutto d’un pezzo, mi incontrò occasionalmente durante quel periodo e mi confessò, realpolitikamente, di non essere affatto sorpreso e scandalizzato: “Si è sempre saputo che i partiti di governo, in primis la Democrazia cristiana, prendevano i soldi dagli industriali, mentre il Partito comunista li prendeva soprattutto dalla Russia…”. Non potei che dargli ragione, aggiungendo però che il sistema partitico forse era andato in corto circuito, perché il partito socialista aveva craxianamente esagerato. Sull’antisocialismo ci trovammo perfettamente d’accordo.

A proposito del Partito socialista riporto, a senso, lo scambio di battute fra Indro Montanelli e Fernando Santi (un socialista di antico e ammirevole stampo) avvenuto agli albori del centro-sinistra. «Ma perché, onorevole, chiese Montanelli, lei è così ostile a questo nuovo equilibrio politico-governativo?». «Lei non li conosce i miei compagni, rispose Santi, una volta entrati nelle stanze del potere sarà un finimondo…».

Non è il caso di continuare sulla storia della corruzione politica in Italia, che col tempo non si è affatto allentata, ma si è personalizzata diventando forse ancora più grave: un tempo si rubava per il partito, successivamente si è cominciato a rubare in proprio con la scusa del partito.

Il discorso però è tornato di moda con i rapporti Lega-Russia: nel recente passato un’interrogazione leghista sarebbe stata pagata 20 mila euro dai russi. Il settimanale “L’espresso” ha pubblicato un’inchiesta sui documenti ottenuti dal quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung sul fronte sovranista internazionale a sostegno di Putin. Ed è spuntato il suggerimento ad un senatore leghista di presentare una interrogazione per chiedere al governo italiano di sospendere le sanzioni contro la Russia varate dopo l’annessione illegale della Crimea. Atto parlamentare poi depositato. L’invito arrivava da una collaboratrice del milionario russo putiniano Konstantin Malofeev con in calce l’indicazione della somma di denaro.

L’interpretazione politica è la seguente: l’estrema destra europea che tratta con i russi. Un fronte sovranista internazionale, che va dalla Lega Nord di Matteo Salvini ai partiti nazionalisti e xenofobi della Germania, Austria, Olanda e altri paesi della Ue, che cerca appoggi e organizza incontri da tenere segreti con la cerchia degli oligarchi che sostengono Vladimir Putin. E poi un messaggio, con quello che appare come un programma di lavoro, un suggerimento destinato a un parlamentare italiano, un senatore leghista.

Non ho riportato il nome del destinatario di queste sporche attenzioni putiniane, perché non è mai giusti infierire, ma anche perché i fatti non sono assodati e non so se siano giudizialmente rilevanti e/o provati.  Ho inoltre l’impressione che, ammesso e non concesso che la Lega abbia messo le dita nella marmellata putiniana, certi suoi peccati non siano isolati e che probabilmente non siano da inquadrare in una vera e propria congiura politica destrorsa, ma nel solito appetito finanziario dei partiti. Non voglio scetticamente minimizzare, ma non credo che queste scaramucce internazionali abbiano valore di veri e propri disegni strategici anti-occidentali e possano rientrare in veri e propri attentati verso gli equilibri democratici internazionali. Se abbiamo paura di Salvini e delle sue cazzate dirette o indirette, poveri noi…

La Lega in passato è stata foraggiata da Silvio Berlusconi che la teneva al guinzaglio. Rotto questo rapporto, mutata radicalmente la prospettiva politica di questo movimento (da federalista a nazionalista, da liberista a populista, da nordista a sovranista), impostato un disegno strategico molto impegnativo per arrivare al potere, bisognava trovare i fondi necessari per sostenere un baraccone al quale forse non bastano i legami territoriali e sociali consolidati nel tempo (Lombardia, Veneto, imprenditori del Nord-Italia) a garantire  un adeguato flusso di risorse finanziarie per le casse del partito.

Siamo sempre al discorso difensivo di Bettino Craxi, il “così fan tutti”: i partiti hanno bisogno di soldi e li vanno a cercare dove sono. Certo che andare a battere cassa dalla Russia non è il massimo della linearità e coerenza politiche. L’imbarazzo leghista è palpabile e porta persino a sfiorare certi discorsi pacifisti per farsi perdonare i peccati di gioventù, che si dovrebbero pagare in vecchiaia (campa cavallo…). Dall’eventuale incasso di certe cambiali rilasciate alla o dalla Russia si passa alla (quasi) crisi di coscienza per le armi all’Ucraina e a discutere al ribasso di spese militari. Se non ci fosse di mezzo una smaccata strumentalità politica, si potrebbe gridare al miracolo di una conversione sulla via di Kiev con Zelensky che dice a Salvini: “Matteo, Matteo perché mi perseguiti?”.