“Non si fermano le proteste a Gerusalemme e nei territori occupati. Due vittime negli scontri e feriti dopo la decisione americana di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e trasferirvi l’ambasciata Usa da Tel Aviv. Colpiti dall’aviazione israeliana obiettivi nel nord della Striscia di Gaza, in risposta al lancio di 2 razzi verso Israele. La tensione è alle stelle, gli scontri intorno alla spianata delle moschee potrebbero riaccendersi dopo le cerimonie per i 30 anni dall’inizio della prima Intifada. Trump ha invitato alla calma e alla moderazione”: questa, nell’estrema sintesi riportata da Televideo, la situazione incandescente venutasi a creare nei rapporti tra Israele ed i Palestinesi. E siamo solo all’aperitivo. Il punto più interessante e paradossale delle notizie è però l’appello alla calma e alla moderazione da parte di Trump: un becco di ferro di portata mondiale.
Ricordo scolastico. In classe con me, addirittura mio indimenticabile amico e compagno di banco, vi era un ragazzo piuttosto emotivo, che, quando veniva chiamato a rispondere a qualche domanda o a leggere un brano, si agitava notevolmente con relativa sorpresa degli insegnanti. I compagni, con la solita scherzosa ma sadica ironia, lo invitavano alla calma: «Non preoccuparti, stai sereno…». E lui, naturalmente, si agitava ancora di più e bestemmiava tra i denti contro i colleghi, che lo prendevano in mezzo e ridevano come pazzi.
Il presidente Usa prima ha appiccato il fuoco e poi invita a spegnerlo, ben sapendo che in questi casi gli inviti alla calma ottengono esattamente l’effetto contrario in quanto suonano come una beffarda, ulteriore provocazione.
Non mi sono mai illuso che gli Stati Uniti potessero svolgere un’azione pacificatrice: la storia insegna che purtroppo tutti gli Stati, Italia compresa, cercano innanzitutto il proprio tornaconto e poi, semmai, la pace con gli altri Paesi. Nel caso in questione però non riesco sinceramente a trovare il bandolo della matassa degli interessi americani, che spingerebbero Trump a comportarsi in modo schizofrenico fino a tal punto.
Ho ascoltato autorevoli esperti ed osservatori fare alcune ipotesi peraltro molto teoriche e non del tutto convincenti. A livello internazionale gli Stati Uniti punterebbero ad un’alleanza di ferro con Israele e Arabia Saudita contro gli altri Paesi medio-orientali: strategia gradita anche alla Russia così chiamata a ridiventare il polo attrattivo degli anti-americani. In questa prospettiva verrebbe quadrato anche il cerchio delle tacite intese russo-americane, pre e post elettorali, attorno alle quali continua a dipanarsi il tormentone di un Trump sfacciatamente favorito dal nemico. Una sorta di spartizione del bottino, petrolio incluso.
A livello interno Trump terrebbe caldo il suo elettorato, rinsaldando con esso i rapporti, in vista anche di eventuali impeachment, che continuano a profilarsi. Quale miglior metodo di quello guerrafondaio: il nemico esterno distrae l’attenzione dai problemi interni e fa scattare le opportune molle patriottiche.
Se e nella misura in cui fossero vere queste interpretazioni, il comportamento di Trump sarebbe un condensato delle più orrende e tragiche ragioni di stato. Un tempo in occidente si scendeva in piazza contro l’imperialismo americano (ciò avviene ancora in Palestina, Turchia e Iran con tanto di bruciatura della bandiera a stelle e strisce), ma il mondo e le mentalità sono cambiate. Trump e Putin (suo sodale) piacciono anche alla gente europea, che vede in essi la scorciatoia populista ai problemi di vario genere. Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Svezia, a livello dei loro governi, sono contro Trump su Gerusalemme, ma poi entrerà in ballo la ragion di stato…
Lo stato di diritto, come sosteneva Pannella, dovrebbe andare contro la ragion di stato. Sta succedendo esattamente il contrario in quanto la ragion di stato schiaccia i diritti su cui dovrebbe fondarsi la pacifica convivenza.
“Spes contra spem”: un’espressione latina di Paolo di Tarso a significare la ostinata fede di Abramo capace di sperare contro ogni speranza, diventata un motto di Giorgio La Pira quale simbolo dell’idea audace di chi sa “osare l’inosabile”, usata da Pannella nel suo invito ad essere speranza (spes) piuttosto che avere speranza (spem) anche nella sua ultima lettera a papa Francesco del 22 aprile 2016.
Quindi ci resta solo papa Francesco. Riuscirà ad essere speranza per chi non ha speranza? Cosa potrà fare come agnello in mezzo ai lupi? Basteranno la sua sensibilità e la potenza dello Spirito Santo a tenerlo lontano dai pasticci internazionali e dai meri interessi vaticani nel mondo? Speriamo…