Il populismo al cucchiaio, che piace ai terroristi

Il simpatico e acuto salmodiare di Enzo Iannacci diceva: “Quelli che…votano a destra perché Almirante sparla bene”. Di politici che sparlano bene ce ne sono parecchi, anche ai massimi livelli internazionali. Da tempo considero, ad esempio, tempo perso ascoltare e osservare Donald Trump nelle sue esercitazioni con le quali “prende per il culo” il mondo intero. L’ultima non l’ho potuta evitare: il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale dello stato di Israele e il conseguente spostamento in tale città della sede dell’ambasciata statunitense. Si tratta di una insensata provocazione atta a gettare benzina sul fuoco dei già incandescenti rapporti medio-orientali. Se è vero, come è vero, che il conflitto tra israeliani e palestinesi è la madre di tutte le questioni di quell’area, aggiungere benzina proprio lì significa voler incendiare ulteriormente quella parte di mondo in cui, tra l’altro, alberga il terrorismo islamico.

Ho seguito con i nervi a fior di pelle l’insensato annuncio ufficiale fatto da Trump e, se non mi sono troppo innervosito, credo di aver capito che questo buffone faccia un ragionamento paradossale: siccome tenere Gerusalemme a bagnomaria non è servito a risolvere i problemi della convivenza tra Arabi e Israeliani, tanto vale buttare, come si suol dire, il prete nella merda e giocare d’anticipo mettendo tutti davanti al fatto compiuto.

C’è però un “piccolo” particolare: se si vuole spiazzare l’avversario che spinge alla porta, al fine di togliergli una importante argomento conflittuale bisogna aprire la porta improvvisamente e non chiuderla a doppia mandata o blindarla, con il solo risultato di innervosire il nemico. Roba di buon senso, non certo di alta strategia internazionale.

Il meno che possa succedere è di portare acqua polemica al mulino del terrorismo islamico, avvicinando ad esso i palestinesi, i musulmani stuzzicati nel loro orgoglio, nonché tutti coloro che odiano gli americani e gli occidentali. Mi sembra che Trump non vada oltre gli specchietti per le allodole per i suoi elettori a costo di mettere a repentaglio gli equilibri mondiali: spinge gli arabi in braccio ai terroristi o nella migliore delle ipotesi in braccio a Russia e Cina, isola ulteriormente l’Europa, se ne frega di tutto e di tutti (degli immigrati in primis…).

L’annuncio vomitato davanti alle telecamere mi ha colpito non solo e non tanto a livello verbale, ma anche per l’atteggiamento strafottente che lo ha accompagnato: un mix della gestualità di tutti i peggiori dittatori della storia. Un po’ di Mussolini, un po’ di Hitler, financo un po’ (tanto) di Berlusconi. Se lo scontro televisivo tra Kennedy e Nixon all’inizio degli anni sessanta dello scorso secolo cambiò il modo di rapportarsi con l’elettorato, non vorrei che l’apparizione televisiva di Trump per annunciare al mondo l’opzione gerosolitana passasse alla storia come il nuovo modo di volere la pace preparando la guerra.

La contenuta irritazione europea, l’impacciato e flebile appello vaticano, la strumentale reazione del mondo arabo, l’irritante soddisfazione israeliana, la tatticistica e sorniona attesa delle superpotenze rendono il quadro surreale, tale da far canticchiare: “Quelli… a cui piace Trump, perché una cucchiaiata di populismo fa sempre bene, due ancora meglio…”.