Il filosofo Massimo Cacciari, in una intervista rilasciata al quotidiano La stampa, sintetizza in modo mirabile lo svolgimento e la conclusione della vicenda dell’elezione quirinalizia: “La soluzione è rassicurante ma la politica ne esce a pezzi. Siamo di fronte a una malattia mortale dei partiti. Salvini e Conte clamorosamente sconfitti, Letta è rimasto a guardare”.
Per la verità è una malattia che viene da lontano, ma forse la prova del Quirinale l’ha evidenziata in tutta la sua gravità. Diagnosticare il male è relativamente semplice, trovare la giusta terapia è invece molto difficile. C’è sicuramente una carenza di leadership che mette i partiti allo sbando. All’abbandono delle ideologie si è risposto con la personalizzazione delle forze politiche. Oltre l’acqua sporca delle anacronistiche dottrine abbiamo buttato il bambino dei sempiterni valori. Al confronto sulle idee abbiamo sostituito la manfrina mediatica delle sparate populiste. Dalla militanza fatta di impegno e partecipazione siamo passati all’adesione acritica in base all’aria che tira. La selezione della classe dirigente è passata dalle scuole di partito e delle organizzazioni cattoliche alla improvvisazione delle promozioni on line dopo la rovinosa tappa intermedia del “portaborsismo” imperante.
Proprio Cacciari, alcuni anni or sono, ipotizzò ed auspicò un ritorno alla politica partendo dai minimi livelli, vale a dire dai quartieri, dalle piccole aggregazioni civiche e territoriali. Sarà possibile? In una società dell’usa e getta è piuttosto improbabile tornare alla paziente costruzione di un tessuto socio-culturale che possa rifondare e riavviare virtuosamente le forze politiche. D’altra parte più si aspettano soluzioni dall’alto è più si soffre la carenza della politica. Era eccessivo aspettarsi che dalla nomina parlamentare del presidente della Repubblica potesse scaturire una riforma del sistema politico. Non si può cominciare un’opera dalla fine, non si può ricostruire un edificio partendo dalla terrazza.
È indubbio che la società civile abbia in sé molto di sano da offrire alla politica, ma non si riesce a metterle in collegamento: da una parte si cerca nella società civile l’omologazione agli schemi della politica, dall’altra parte la società civile tende ad estraniarsi dalla vita politica non intendendo contaminarsi col malato sistema partitico. Tutto rimane occasionale e improvvisato e non si innesca alcun procedimento efficace di revisione.
Anche la questione femminile rischia di rimanere alle dichiarazioni di principio: poteva avere un senso emblematico scegliere un capo dello Stato donna, ma non avrebbe certo significato cambiare radicalmente i meccanismi della politica. L’apporto femminile potrebbe effettivamente costituire la grande novità sistemica, ma non illudiamoci che la cooptazione di donne da parte del potere maschilista possa cambiare in profondità la politica. Chiedo scusa della plasticità dell’immagine al limite del volgare, ma il ricco e affascinante universo femminile rischia di fare “da foglia di fica” agli equilibri di potere sostanzialmente misogini.
E allora? Meno male che c’è Mattarella, ma, se rimaniamo inerti sotto il suo pur rassicurante ombrello, rischiamo grosso. Il presidente lo ha aperto diverse volte nel suo primo settennato: ultimo ombrellone, quello griffato Draghi. Evidentemente aveva pensato che fosse giunta l’ora di confidare forzosamente nell’impermeabile della politica. Purtroppo su di essa non cade una pioggerella, ma un autentico nubifragio. E allora rifugiamoci pure sotto la tettoia mattarelliana.
Riprendo il suo brevissimo ma nobilissimo intervento fatto immediatamente dopo la sua rielezione: “Ringrazio i presidenti della Camera e del Senato per la loro comunicazione. Desidero ringraziare i parlamentari e i delegati delle Regioni per la fiducia espressa nei miei confronti. I giorni difficili trascorsi per l’elezione alla Presidenza della Repubblica, nel corso della grave emergenza che stiamo tuttora attraversando sul versante sanitario, su quello economico e su quello sociale richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento. Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati, e naturalmente devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti, con l’impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini”.
Non illudiamoci, perché i moniti e gli esempi di Mattarella non basteranno. Sembra dirci: “Io continuo a pedalare, ma voi?”. Qualcosa deve cambiare. Non dico tutto, ma molto, molto di più rispetto alla riforma dei regolamenti parlamentari come auspica Enrico Letta, o all’elezione diretta del capo dello Stato come propongono, da sponde opposte, Matteo Renzi e Giorgia Meloni. Queste minimali ricette assomigliano tanto a la speransa di mäl vestì, ch a faga un bón invèron”.