Un “maddaleno pentito” del draghismo

Un’autorevole commentatrice politica, Annalisa Cuzzocrea, sul quotidiano La Stampa così titola il suo pezzo: “Il doppio timore di Draghi: se la maggioranza si spacca sul Quirinale il governo rischia”. Sottotitolo: “Il premier teme le divisioni nella maggioranza”. Dalle parti di Palazzo Chigi, in queste ore confuse e difficili, ricordano quanto Mario Draghi aveva detto durante la conferenza stampa di fine anno. Una domanda retorica che era sembrata, ad alcuni, una minaccia, ma che altro non era che un dato di fatto: «È immaginabile una maggioranza che si spacchi sull’elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga il giorno dopo sul governo?», aveva chiesto il premier.

Più i giorni passano e più mi accorgo che Mario Draghi con la politica fa una certa fatica: è infatti un grossolano errore forzare la situazione legando due discorsi che hanno una ben distinta valenza. Così facendo si rischia di fuorviare presidenza della Repubblica, parlamento e governo: una storica frittata istituzionale, che si giustifica soltanto con un discutibilissimo e subdolo disegno pseudo-presidenzialistico. In poche parole temo che Draghi voglia comunque garantirsi un futuro: da capo dello Stato con un suo attendente a livello governativo oppure da premier con un suo prono-ammiratore a livello del Quirinale.

I suoi assordanti silenzi inducono a pensar male: dica cosa pensa di fare e si tolga dalla bagarre. Desidera proseguire il suo premierato? Si impegni e lasci perdere le combinazioni politiche verso il Quirinale. Non si rafforza il governo con la spada di Draghi sui partiti. Desidera salire al Colle? Lo dica apertamente e il Parlamento farà le sue valutazioni senza il ricatto del “così o pomì”. Diversamente rischia di passare alla storia come il premier tentenna.

Ipotizziamo che in Parlamento si crei una maggioranza per l’elezione del capo dello Stato non coincidente con quella che sostiene il governo. Niente di scandaloso! A quel punto Draghi se ne andrebbe a casa, ritenendo il suo governo indebolito e non più garantito da un presidente della Repubblica estraneo al disegno? Al contrario, se la maggioranza rimanesse compatta, tutto andrebbe bene e Draghi farebbe una sorta di pendolo tra Chigi e Quirinale?

I pasticci istituzionali non fanno bene al Paese. Draghi è stato designato e fiduciato come premier di governo con precisi scopi, che restano tuttora validi ed in gran parte incompiuti. Qui casca l’asino al di là delle ingegnerie istituzionali in cui ci si sta esercitando silenziosamente. Ho molte e crescenti perplessità sull’azione di governo draghiana, sono assai deluso, mi aspettavo molto di più.

Mi permetto al riguardo di riportare di seguito quanto scrive Giorgio Cremaschi su MicroMega con riferimento alle uscite in conferenza stampa di Draghi. Se dovessi quantificare in percentuale la mia adesione al giudizio di questo illustre personaggio del sindacalismo italiano, potrei dire di essere d’accordo al novanta per cento. Qualcuno riterrà che io sia un “maddaleno pentito” rispetto al giudizio positivo a suo tempo dato sull’operazione Draghi ideata da Sergio Mattarella. In teoria era un’ottima pensata, in pratica si sta rivelando un passaggio obbligato, ma troppo stretto e carente. Forse, lo ammetto, pretendo troppo. Ciò non toglie che Mario Draghi sia complessivamente sfuggente e sostanzialmente “allineato e coperto”. Ma preferisco cedere la parola a Cremaschi…

“Sono contro la logica del meno peggio, che porta sempre al peggio, e per questo confermo tutte le critiche di fondo al governo precedente. Ma quello attuale è sicuramente peggiore.

La conferenza stampa di Draghi era stata pompata da tutti i mass media come un appuntamento per tutto il paese. È stato un appuntamento a vuoto.

Un vuoto che corrisponde sempre di più a quello dello stesso governo che, per usare un’espressione del passato, pare aver esaurito la propria spinta propulsiva.

Governare una banca, anche la più importante in Europa, e governare un paese non sono la stessa cosa ed è un errore micidiale crederlo, soprattutto se poi si pensa di governare un paese come una banca. O come un’azienda di Confindustria.

Ho la sensazione che Draghi, con la sua sensibilità per i rischi fallimentari, voglia fuggire da un governo in cui non sa più cosa fare e con chi; e che per questo vorrebbe proprio diventare Presidente della Repubblica. Una ragione in più perché questo non succeda”.