Parto da un piccolo e grazioso episodio, che fece andare in visibilio mia nonna materna (lei così austera si addolciva con un nipote che forse, in un certo senso, le assomigliava un po’). Ero andato con mia madre e mia nonna a trascorrere qualche giorno di vacanza a Fabbro Ficulle (paesino in provincia di Terni), ospite del convento dove viveva mia zia suora Orsolina. Avevo quattro-cinque anni, non ricordo con precisione. Pranzavamo in una saletta messa molto gentilmente a nostra disposizione ed in quella saletta vi era un apparecchio radio: la nonna gradiva ascoltarla durante il pasto, soprattutto le piaceva seguire il giornale radio. Un giorno, al termine del notiziario politico, me ne uscii candidamente con questa espressione: “Adesso nonna chiudi pure la radio, perché a me interessa il governo”. Lascio a voi immaginare le reazioni di mia madre, ma soprattutto di mia nonna, incredula e divertita, che rideva di gusto ma forse aveva anche fatto qualche pensiero.
Continuo con un altro episodio: la dice lunga sul mio interesse alla politica, che ho nel sangue e mi ha sempre affascinato e coinvolto fin da ragazzo. Conversando con una mia carissima amica ho recentemente sintetizzato le mie opzioni esistenziali fondamentali in quattro punti di riferimento: il Vangelo e la fede cristiana, a cui, con tanta fatica e scarsi risultati, mi ispiro; la politica, a cui mi interesso in modo estremamente convinto ma fortemente critico; la musica, l’opera lirica in particolare, in cui trovo il riferimento e il nutrimento per la mia debordante sensibilità d’animo; le donne, alla cui ricerca sono spasmodicamente impegnato in modo fin troppo passionale e sensuale.
Torno immediatamente nel campo della politica, agli albori della mia militanza, chiedendo umilmente scusa per la digressione di cui sopra, troppo delicata per essere confidenziale e troppo esistenziale per essere contenuta in un commentino qualsiasi.
Ero iscritto all’Azione Cattolica come aspirante e l’assistente nazionale era un sacerdote molto in gamba, don Pierfranco Pastore. Il fratello di questo sacerdote era Giulio Pastore, un importante leader politico, che era votato come candidato presidente della Repubblica da uno sparuto gruppo di deputati democristiani in contrasto con l’indicazione ufficiale del partito (non ricordo chi fosse in quel momento il candidato della DC). Allora non ero ancora a conoscenza degli schieramenti politici, ma tifavo visceralmente per Giulio Pastore, che naturalmente non venne eletto (eravamo nel 1964 e la spuntò Giuseppe Saragat).
Ebbene qualche anno dopo entrai in politica, mi iscrissi alla Democrazia Cristiana, aderendo alla corrente della sinistra sindacal-aclista, il cui fondatore era proprio quel Giulio Pastore la cui figura mi aveva affascinato quasi al buio. Questa corrente poi fu capeggiata da Carlo Donat Cattin: un gruppo politico di minoranza (a Parma il leader era Carlo Buzzi, che considero il mio padre politico) che faceva una politica di sinistra all’interno di un partito sostanzialmente di centro se non addirittura di centro-destra (la DC era un fenomeno politico strano, irripetibile e difficilmente catalogabile). Se si vuole, in questa mia collocazione politica c’è tutto il mio desiderio di andare contro corrente, non per esibizionismo o presunzione come qualcuno pensa, ma per onestà intellettuale.
Ho richiamato questi miei curiosi trascorsi per dimostrare come certe opzioni della nostra vita siano innate, facciano parte del nostro DNA: per quanto mi riguarda l’interesse alla politica, l’ansia per la giustizia sociale abbinata alla fede cristiana e la propensione a schierarmi in minoranza, all’opposizione, e mai con il pensiero dominante. In questo ci sono anche gli insegnamenti di mio padre e di mia sorella. Mia madre era su un altro piano, oserei dire un altro pianeta, quello della carità a tutto tondo.
Uno strano modo per giustificare l’ansia e la trepidazione con cui sto seguendo la preparazione dell’elezione del prossimo Capo dello Stato: ne parlo e ne scrivo continuamente, la mia lingua batte dove il dente duole e, mai come in questo momento storico, duole il dente della politica.
Se qualcuno fosse mai interessato a sapere quale sia il mio candidato preferito, provo a fare l’acrobata senza rete. Vedrei molto bene al Colle Giuseppe Sala, attuale sindaco di Milano. Da tempo mi frulla in testa questa candidatura. Quando ho ascoltato la sua dichiarazione all’indomani della conferma a sindaco, mi sono ulteriormente convinto: un uomo politico, che concepisce la politica come un servizio, che va oltre gli schieramenti di partito, nella massima apertura al dialogo ed alla collaborazione con tutti e in stretta connessione con i bisogni di cittadini.
Il presidente della Repubblica non dovrebbe essere un uomo divisivo. Qualcuno equivoca questo discorso finendo col rovistare nel campo dell’extra-politica. Nossignori. Il capo dello Stato deve avere sensibilità, esperienza e capacità politica. Non deve essere uomo di parte, ma che sa mediare fra le parti, andando oltre e rappresentandole nell’interesse del Paese. Giuseppe Sala sta dimostrando, sul significativo e difficile campo di una città europea, la capacità di essere punto di riferimento per l’intera cittadinanza. Uomo moderno, ancorato a valori permanenti e proiettato in un futuro fatto di “glocalizzazione”.
Deve esser quindi persona in grado di rappresentare i cittadini cogliendone pregi e difetti, orientando i primi e contenendo i secondi. Nel caso di Sala un personaggio capace di valorizzare le particolarità emergenti dal decentramento, dalle periferie dello Stato per farne la punta di diamante del progresso dell’intera nazione in una logica europeistica. Un uomo del nord a servizio dell’intera nazione. Un milanese che sa essere italiano ed europeo.
In esso tutti i partiti e i loro grandi elettori potrebbero ritrovare un importante pezzo di speranza e di opportunità. Un uomo sobrio, discreto, leale e corretto. Se fossi un grande elettore lo proporrei e lo voterei convintamente. Non sono un grande elettore, sono un piccolo patito della politica e mi limito a “tifare”: ieri per Giulio Pastore, oggi per Giuseppe Sala.
Chiacchierando con un carissimo amico, a cui ho confidato questa mia preferenza, ho concluso così: non succederà, ma se mai Sala dovesse diventare il nuovo presidente della Repubblica italiana, mi candido a fare l’opinionista e il corrispondente dall’Italia del prestigioso “Time”.