Morti sul lavoro, i numeri di una strage italiana: sono oltre mille nei primi 11 mesi del 2021. A crescere è soprattutto il dato sui lavoratori extracomunitari. L’analisi per età rileva incrementi per gli Under 34 e la fascia 40-49 anni, sul lavoro si muore più al Sud.
In questo quadro tragico si leggono in filigrana un po’ tutti i problemi etici, sociali ed economici del nostro Paese. Innanzitutto non è assolutamente vero che, come recita la Costituzione, l’Italia sia una repubblica democratica fondata sul lavoro. Tutti gli elementi di questa definizione sono in discussione. Una repubblica o una oligarchia, vale a dire un sistema basato su una ristretta cerchia di persone che occupa una posizione di potere in seno a istituzioni, organizzazioni e simili, o anche gioca un ruolo di preminenza in determinati ambienti sociali o culturali. Democratica o governata da gente molto lontana dal farsi carico dei problemi dei cittadini. Fondata sul lavoro e sulla sana imprenditorialità oppure sull’affarismo e la speculazione finanziaria. Se il lavoro non è la base su cui costruire il Paese, ci può stare tutto, dalla mancanza di lavoro alle discriminazioni, alle inequità, alle morti. Tutto diventa inevitabile e accettabile con rassegnazione.
Il fatto che i morti sul lavoro siano poi spesso lavoratori extracomunitari la dice lunga sulla nostra prosopopea anti-stranieri, considerati come ladri di lavoro a danno degli italiani per poi essere sfruttati, trattati da animali e messi, come dice una nota ed eloquente espressione parmigiana, “cmé i rosp al sasädi”.
Non è un caso se per lavoro si muore più al sud: il nostro meridione sconta un gap culturale, sociale ed economico che non si riesce a colmare, anzi forse tende ad accentuarsi in conseguenza di un modello di sviluppo che privilegia le aree più pronte a recepire le opportunità distribuite in malo modo.
Muoiono molti giovani costretti ad accettare, senza la dovuta preparazione professionale, lavori pericolosi e poco protetti. Anche il lavoro giovanile rappresenta un nodo centrale per la nostra società. O tutte le istituzioni pubbliche e private si impegnano a dare prospettive di lavoro serie ai giovani oppure la nostra società non ha futuro. Quando osservo i giovani, mi chiedo quale ruolo potranno e sapranno svolgere ed in quale società si troveranno a vivere.
Le morti sul lavoro sono il tragico terminale di un assetto socio-economico squilibrato e sconsiderato. Pensare di risolvere i problemi solo inasprendo le pene ed accentuando i controlli in materia di sicurezza è semplicistico e fuorviante. Tutti abbiamo grosse responsabilità e non bastano i superficiali titoloni mediatici, le commozioni del momento, le invettive d’occasione, le varie proteste, le promesse istituzionali. Ci vuole un cambio di mentalità in tutta la società e una revisione profonda nei meccanismi di sviluppo economico e di strutturazione sociale.
Se per i morti da covid possiamo fatalisticamente imprecare contro qualcosa e qualcuno, nasconderci dietro l’impossibile previsione e preparazione, dietro l’enormità e la globalità del fenomeno, per i morti sul lavoro non ci sono scusanti e allora… li stiamo collocando in un sistematico e vomitevole dimenticatoio, magari assieme ai morti per suicidio in carcere: i motivi per voltarci dall’altra parte siamo maestri nel trovarli.