Mi stavo malinconicamente convincendo di essere isolato nel mio scetticismo verso la strategia fondata (quasi) esclusivamente sulla vaccinazione, ignorando la necessità assoluta degli interventi a monte (vedi il potenziamento di sanità e trasporti pubblici) e dei provvedimenti di accompagnamento (imposizione di presidi, adozione di misure di contenimento, norme di comportamento), quando ho letto finalmente l’artico di Luca Ricolfi su La Stampa intitolato “Covid, quegli allarmi inascoltati”, di cui riporto di seguito sommario ed incipit.
“Il momento giusto per intervenire non è quando la gente è abbastanza spaventata per accettare ogni restrizione, ma è prima, molto prima. E questo per una ragione semplice: più si aspetta a correggere la dinamica dell’epidemia, invocando il principio che gli interventi devono essere “proporzionati” alla gravità della situazione, più si allunga e si indurisce il periodo delle restrizioni indispensabili.
Che il vaccino non basti, nemmeno se vacciniamo quasi tutti, nemmeno se facciamo la terza dose, nemmeno se vacciniamo i bambini, gli studiosi indipendenti lo dicono da parecchio tempo. La novità è che, da qualche giorno, lo riconoscono anche le autorità sanitarie europee. Il modo in cui questa consapevolezza si sta facendo strada, però, è alquanto fuorviante”.
Si capiva che per vincere la guerra si sarebbero dovute combattere e vincere molte battaglie contemporaneamente o in rapida successione, invece si è preferito puntare tutto sulla vaccinazione, scommettendo sulla sua efficacia, recitando quotidianamente uno scriteriato atto di fede nella scienza e confidando ciecamente nell’invincibile armata dei virologi.
Il covid ha relativizzato tutte le nostre assolutezze personali e di sistema e allora, anziché rivedere la strategia con una nuova scala di obiettivi e strumenti, si è preferito assolutizzare e sintetizzare la strategia stessa concentrandola sull’arma atomica della vaccinazione senza adeguatamente valutarne le difficoltà e le limitatezze applicative e le conseguenze socio-sanitarie.
Non sto a ripetere o a parafrasare quanto Luca Ricolfi afferma molto più autorevolmente di me, mi permetto solo di aggiungere come il comportamento dei governanti non sia stato tanto dettato da scomoda lungimiranza strategica, ma dalla miope e progressiva tattica dello stato di necessità conclamato. Non si tratta del senno di poi da parte di chi osa criticare, ma dell’ignoranza del prima da parte di chi dovrebbe governare.
Si continua a rinviare le decisioni adottandole a babbo morto, ad allertare ed angosciare le persone più per prepararle al peggio che per invitarle alla virtù. Il filo conduttore di questa pseudo-strategia è la difesa ad oltranza del “mercato”: non si vuole compromettere la ripresa economica senza capire che non si tratta di favorire la guarigione in atto, ma di accanimento terapeutico o peggio ancora di suicidio assistito. Temo che i dati sull’andamento della pandemia, relativamente migliori per quanto riguarda il nostro Paese rispetto agli altri, possano essere motivo per un ulteriore gioco al rinvio, che ci porterebbe allo scoppio ritardato di conseguenze disastrose. Spero vivamente di sbagliarmi.