I passi perduti del governo tecnico

Tassa sui volontari, Pd e 5S all’attacco della mossa leghista che elimina l’esenzione Iva per il terzo settore. Conte: “Le iniziative di solidarietà sociale devono essere incentivate con sgravi fiscali”.  L’ultima grana da risolvere è l’Iva alle associazioni del terzo settore. Prima il Partito democratico, poi il leader Cinque Stelle Giuseppe Conte si sono scagliati contro un emendamento leghista (ben visto dal Tesoro) che dal primo gennaio farebbe venir meno l’esenzione verso le associazioni di volontariato. Benché ci sia di mezzo una procedura di infrazione dell’Unione europea, l’asse giallorosso chiede un compromesso che tenga conto delle loro esigenze.

Di questa delicata problematica ho avuto modo di occuparmi a livello professionale in un passato ormai abbastanza lontano. Il discorso si è sempre impantanato nel contrasto, peraltro piuttosto pretestuoso, tra l’esigenza di agevolare l’attività di chi risponde privatamente a bisogni di carattere sociale e il timore di consentire impropri privilegi a danno della concorrenza e di una fiscalità perequata.

Lungi da me entrare nel merito della questione: mi farebbe ringiovanire, ma mi creerebbe angosciosi ritorni di fiamma. Mi accontento di fare una riflessione squisitamente politica: quando si dice governo tecnico, sembra di scoprire l’acqua calda della competenza e della efficienza. Non è proprio così se, come sembra, il ministro del Tesoro del governo Draghi (il più tecnico dei governi repubblicani?), che potrebbe addirittura in prospettiva diventare premier pur sotto la tutela draghiana, vuole mettere mano a cambiamenti fiscali penalizzanti per un mondo virtuoso e meritevole di grande considerazione.

Si starebbe formando un’asse tra ministro e Lega, alleati contro il cosiddetto terzo settore, il quale da una parte scombina l’impostazione egoistica salviniana e dall’altra tocca il principio dell’equità fiscale vissuto come un totem liberista. La tecnica purtroppo non è neutra, se deborda nella politica, rischia di combinare disastri in nome di un falso purismo, che diventa automaticamente presupposto per il governo dei forti.

Giorno dopo giorno mi accorgo (forse si tratta anche di un atto di pentimento per la mia eccessiva e sbrigativa accondiscendenza intellettuale verso l’operazione Draghi) delle contraddizioni presenti nell’azione governativa della compagine ministeriale di Draghi, fatta peraltro su misura assoluta del premier: la politica è confinata nel rissoso gioco parlamentare e lì finisce per diventare solo ed esclusivamente battaglia elettoralisticamente identitaria. Mentre il governo e certe forze politiche vedono il terzo settore come fastidioso concorrente o come pericoloso antagonista, altre forze politiche, seppure a parole e magari solo a titolo strumentale, si schierano in pedissequa difesa dell’opera del privato-sociale: una recita manicheistica che non serve a nessuno. La politica è ben altra cosa!

Riguardo ai rapporti fra Stato e forze operanti nel sociale mi sovviene una colorita esperienza fatta durante la mia vita professionale (peraltro più volte ricordata). Andai a rappresentare le cooperative parmensi (quelle sociali in particolare) aderenti all’associazione in cui prestavo il mio servizio. Dove? In Prefettura! A Parma si intende. Era stata convocata una riunione dei rappresentanti delle forze economiche e sociali in occasione dell’emergenza creatasi in Italia, ed anche a Parma, per la fuga in massa degli Albanesi dal loro Stato in piena bagarre post-comunista. Eravamo alla fine degli anni ottanta, se non erro. Era un afoso pomeriggio estivo: arrivai senza giacca e cravatta e con un po’ di ritardo (fatto strano ed eccezionale per la mia quasi maniacale puntualità) alla riunione, che si teneva in un’ampia sala della prefettura, ricca di stucchi ed affreschi. L’incontro si svolgeva attorno ad un grande e lungo tavolo. Non era in funzione l’impianto microfonico e quindi non si capiva nulla. Il collega a cui era seduto vicino, ad un certo punto mi chiese perché tutti parlassero a così bassa voce. Me la cavai con una stupida battuta: «Probabilmente, bisbigliai, non si può parlare ad alta voce per il pericolo che gli stucchi possano deteriorarsi in conseguenza delle onde sonore?!». Chi riuscì a sentirmi mi guardò scandalizzato: ero arrivato in ritardo, senza giacca e cravatta ed ora osavo fare lo spiritoso in Prefettura? Il dibattito si trascinò stancamente e francamente non ricordo granché dei contenuti: se gli Albanesi arrivati a Parma si fossero aspettati qualcosa di concreto da quell’incontro… Ad un certo punto il Prefetto (non ricordo il nome) fece un attacco nei confronti delle associazioni di volontariato e del privato-sociale in genere, sostenendo che, a suo giudizio, l’impegno non era all’altezza della situazione emergenziale. Non seppi tacere, non sopportai un simile “becco di ferro”. Non ricordo le testuali parole, ma dissi sostanzialmente: «Da uno Stato incapace di affrontare le difficoltà, non sono accettabili critiche a coloro che si stanno comunque impegnando. C’era solo da dire grazie e tacere…». Non ebbi molte solidarietà. Mettersi contro il Prefetto non è tatticamente il massimo dell’opportunismo, ma …

Concludo citando di seguito quanto leggo su vita.it, il portale della Sostenibilità sociale, economica e ambientale riguardo alle novità legislative che si profilano per la fiscalità in campo sociale.

La norma è l’ennesimo pasticcio all’italiana. È a tutti noto che esiste una procedura d’infrazione dell’Unione Europea nei confronti dello Stato Italiano (Procedura d’infrazione n. 2008-2010) con la quale si contestano le modalità di recepimento della soggettività passiva nell’art. 4 del D.P.R. IVA ed in particolare l’aver escluso dal campo di applicazione iva operazioni rientranti nel campo di esenzione dell’iva.

Quello che però è insopportabile è la tecnica legislativa che in Italia viene adottata e l’assoluta mancanza di considerazione nei confronti delle decine di migliaia di organizzazioni che compongono l’economia civile di questo paese. Una modifica così rilevante non può essere infatti adottata in tutta fretta e utilizzando un paradigma che rivela l’assoluta incapacità tecnica del legislatore di ricomporre un quadro armonico tra la Riforma del Terzo Settore, la disciplina da essa prevista ai fini delle imposte dirette e la disciplina prevista per le organizzazioni escluse o che resteranno al di fuori del Terzo Settore.

La norma va ritirata e riscritta tenendo conto dell’intero quadro normativo e dell’esigenza di fornire alle organizzazioni di Terzo Settore non l’ennesima bastonata ma un quadro stabile e ragionato sul piano tributario.