È morto assassinato Giuseppe Verdi

“San Giovanni non vuole inganni”: è un proverbio popolare a sfondo religioso, diffuso in molte zone d’Italia e la cui spiegazione varia da regione a regione. Non la faccio lunga: il proverbio si spiega sicuramente con il comportamento inflessibile di Giovanni Battista; il suo uso mi rimanda ai ricordi dell’infanzia durante la quale la correttezza dei giochi veniva sottoposta ad una sorta di verifica contro i tentativi di barare.

Ora i bambini non giocano più, immersi come sono nelle divagazioni informatiche, e la figura di Giovanni Battista non fa parte del loro misero bagaglio culturale e religioso. Forse qualcuno trasmette loro l’esatto contrario, vale a dire l’incoraggiamento a farsi furbi, facendosi beffe dell’intransigenza educativa di un tempo ormai lontano.

La mia insistente e persistente vena religiosa mi porta ad allargare la scopertura degli inganni ad un altro gigante della fede cristiana: sant’Ambrogio, patrono di Milano. Se avete tempo e voglia di proseguire nella lettura, vi spiego il perché.

Proprio nel giorno della celebrazione della festa di questo Santo, a Milano si sono tenuti due eventi, peraltro legati ai due templi storici della città lombarda: il teatro alla Scala e lo stadio di san Siro, laddove si è cercato di far finta che nel frattempo nulla di grave fosse successo, riprendendo a vivere nonostante tutto. Mi riferisco all’inaugurazione della stagione lirica e alla partita calcistica di coppa campioni tra il Milan e il Liverpool.

Sant’Ambrogio, prendendo spunto dalle fruste, false e penose ritualità ospitate in questi contenitori, ha scoperto gli altarini del nostro misero “ristoro ai tormenti di rassegnata disperazione” (il caro amico poeta a cui ho scippato questa espressione mi perdonerà sicuramente). Non c’è covid che tenga, esistono degli elementi che non temono l’usura del tempo e nemmeno quella pandemica. Mi riferisco alla sfrontata mondanità degli eventi teatrali, all’imperterrito tifo calcistico, alla rovinosa tenacia di scenografi e registi dell’opera lirica, alla penosa ribalta dei cosiddetti porte-coton.

Una cosa per volta. Dopo due anni di sofferenze virali non sarebbe stato male rinunciare allo sfarzo teatrale dell’evento scaligero riportandolo rigorosamente nei confini artistici e culturali che meriterebbe, invece, con la scusa di celebrare il virtuoso (?) ritorno alla normalità (?) è andata in scena la solita pantomima mondana camuffata, questa volta, dalla risurrezione post passione del lock down. Il sacerdote celebrante di lusso era nientepopodimeno che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha benedetto l’evento, assolvendo cani e porci e santificando la festa profana (al suo posto me ne sarei rimasto tappato al Quirinale, anche se capisco l’esigenza di assecondare il ritorno del teatro nel teatro).

Non contenti della restaurata cornice di pubblico è stato proposto un “vomitevole” quadro con una rappresentazione al limite dell’osceno di un Macbeth in cui non è morto assassinato il re Duncano, ma è stato giustiziato Giuseppe Verdi. Siamo infatti giunti al secondo elemento che non teme vendetta: dopo il lusso della sala ecco l’inqualificabile e inossidabile smania modernista di registi e scenografi. Questi signori rovinano tutto con la loro presunzione interpretativa e con la complicità dei musicisti (leggasi la vergognosa omertà di Riccardo Chailly direttore musicale del teatro scaligero) che accettano il più grave dei compromessi tra musica, canto e…pisciate-cagate sul palcoscenico.

Mio padre amava l’opera rappresentata a teatro, perché l’opera lirica è teatro; era piuttosto scettico sugli spettacoli all’aperto (Arena di Verona compresa), non era molto portato all’ascolto delle incisioni discografiche, non gradiva affatto l’opera in TV (diceva che era come vedere lo spettacolo dal buco della serratura), la sopportava appena in radio. Ebbene per il Macbeth scaligero la Tv ha ingoiato il teatro, spalancando le sue porte sul palcoscenico, riuscendo a mescolare il tutto in un orrendo polpettone nel nome di una modernità a tutti i costi, anche a costo di trasformare il Macbeth di Verdi in un audiovisivo contenente una moderna storiella pseudo-sociologica.

Ma veniamo ai porte-coton. Cosa sono? Tempo fa Vincenzo Cerami, in un gustosissimo pezzo su l’Unità, ha scritto: “Ai tempi di Luigi XIV c’era una classe di persone privilegiate che venivano chiamate “porte-coton”. Di chi si tratta? Di nobili che avevano il privilegio di pulire il culo del re con un batuffolo di bambagia dopo che questi aveva fatto la cacca”. Ce ne sono in giro parecchi e l’altra sera alla Scala di Milano erano ben rappresentati da Bruno Vespa e Milly Carlucci, che si sperticavano negli ignoranti elogi di una vera e propria menata di regime, spacciando per operazione di alta cultura robe di infima cucina. Evviva la funzione educativa della televisione e della Rai in particolare!

Mentre alla Scala si uccideva Verdi, a san Siro morivano le pretese europee del tanto osannato Milan: un funerale di massa, visto che il pubblico raggiungeva quasi le sessantamila presenze sugli spalti. Quando si dice tifo…E il distanziamento? E la lotta al Covid? La Scala e san Siro sono stati esentati e messi sotto la protezione di sant’Ambrogio, che, per chi ha occhi e orecchie, ha scoperto gli inganni di una gran brutta serata. Forse era meglio il lock down…e speriamo di non ricascarci dentro a furia di serate insulse celebrate per buttare fumo, anziché incenso, coi riti mondani in nome di virus contro i virus. Anche Sergio Mattarella, giustamente acclamato alle grida di bis, deve stare attento: non vorrei infatti che concludesse il suo settennato, esercitato in modo impeccabile al capezzale di un Paese in gravissime difficoltà, trasformandosi da medico autorevole, coerente e coraggioso in medico pietoso che fa la piaga puzzolente. Ma lui lo sa benissimo e forse è proprio per evitare questo rischio che se ne vuole andare.