La Francia: c’era un mio conoscente che ironicamente aveva soprannominato così la moglie per rendere l’idea di una burrascosa convivenza coniugale, costretta a resistere più per vicinanza e convenienza che per amore e convinzione. Evviva la sincerità!
La convivenza degli italiani con i cugini francesi e viceversa non è mai stata troppo facile e serena: ci si odia cordialmente. Ricordo come mia sorella, nella sua solita schiettezza di giudizio, una volta si lasciò andare e parlò di “quegli stronzoni di Francesi”: forse non sbagliava di molto. Un conto è essere superiori su basi oggettive, un conto è ritenersi aprioristicamente migliori. Sono convinto che la Francia, come del resto l’Italia, abbia parecchi scheletri nell’armadio da nascondere e invece di cercare l’alleanza con i Paesi più simili, con cui instaurare collaborazioni e solidarietà, ha preferito la fuga in avanti verso la Germania: della serie “è meglio leccare i piedi ai tedeschi” che condividere “la puzza dei piedi” con gli italiani.
Sarà la volta buona per uscire da questo schema deleterio? Un trattato Italia-Francia, dopo mesi di negoziati tra i due Paesi, è stato firmato da Draghi e Macron davanti a Mattarella e lascerebbe sperare in qualcosa di buono per il futuro: una sorta di agenda comune sui grandi temi e le priorità condivise, dalla difesa europea al tema dei migranti, dalla transizione digitale alle questioni ambientali, senza dimenticare il fronte economico e le regole del Patto di stabilità.
Il trattato punta a rafforzare la cooperazione tra Italia e Francia anche con la partecipazione periodica di uno o più ministri di un governo a un Consiglio dei ministri dell’altro governo. È lungo 14 pagine il Trattato del Quirinale firmato questa mattina dal premier Mario Draghi e dal presidente Emmanuel Macron. Nel preambolo si afferma tra l’altro «l’obiettivo di un’Europa democratica, unita e sovrana per rispondere alle sfide globali che le Parti si trovano ad affrontare; riaffermando a questo proposito l’impegno comune ad approfondire il progetto europeo in linea con la responsabilità condivisa quali Paesi fondatori, nel rispetto dei valori dell’Unione e del principio di solidarietà».
Alla firma del Trattato del Quirinale è seguita una lunga e intensa stretta di mano tra il premier Mario Draghi, il presidente francese Macron e il capo dello Stato Sergio Mattarella, al termine della quale è scattato un applauso. Alla cerimonia presenti anche i ministri degli esteri Luigi di Maio e Jean-Yves Le Drian. Poco dopo, mentre venivano suonati i rispettivi inni nazionali al Colle, nel cielo di Roma sono sfrecciate le Frecce Tricolori in doppia formazione, una con i colori della bandiera italiana e un’altra con quelli francesi.
I capitoli del trattato vanno dagli affari esteri, la sicurezza e difesa, alla cooperazione economica, industriale e digitale. E ancora: politiche migratorie, giustizia e affari interni, istruzione, spazio, sviluppo sociale, alla cultura e i giovani, la cooperazione transfrontaliera.
«Noi, Italia e Francia, condividiamo molto più dei confini, la nostra storia, la nostra arte, le nostre economie e società si intrecciano da tempo. Le istituzioni che abbiamo l’onore di rappresentare si poggiano sugli stessi valori repubblicani, sul rispetto dei diritti umani e civili, sull’europeismo» ha aggiunto il premier italiano che ha anche ringraziato il presidente Mattarella per aver promosso questo accordo. Con questa firma, «dotiamo l’Europa di strumenti che la rendono più forte. I nostri obiettivi sono la transizione ecologica, la lotta al cambiamento climatico, la transazione digitale, la ricerca di una sovranità europea. Sono gli stessi obiettivi dell’Unione».
Non vado oltre queste note di mera cronaca tratte da La stampa per due motivi: per una sorta di scaramanzia europeistica e per non (s)cadere nel libro dei sogni. Mi sono sempre chiesto perché Italia e Francia non abbiano trovato finora un terreno di forte e proficua collaborazione in ambito europeo. Le risposte stanno nelle loro storie fatte di nazionalismi più o meno spinti, di gelosie geopolitiche, di incomprensioni diplomatiche, di guerre e di strategie troppo diverse. Troppo debole l’Italia per essere un partner affidabile, troppo forte la Francia per essere un fratello maggiore anziché un antipatico cugino. Un senso di inferiorità italiano messo a confronto con un senso di superiorità francese. Difficile, quasi impossibile, metterli d’accordo. Sembra che qualcuno ci stia tentando seriamente.
Sergio Mattarella sta concludendo il suo mandato con alcune mosse significative di livello internazionale, vuole passare alla storia non tanto e non solo per aver saputo galleggiare alla grande sulle miserie politiche italiane, ma anche e soprattutto per aver posto il nostro Pese in una dimensione convintamente europea e multilaterale. Mario Draghi ha lo spessore leaderistico per dialogare alla pari con gli altri Stati. Molto spesso nella storia i Paesi hanno cercato di coprire le magagne interne con politiche aggressive e bellicose all’esterno. L’Italia sta fortunatamente facendo il contrario: tenta di risolvere i problemi interni collocandoli in una dimensione sovranazionale fatta di collaborazione pacifica e solidale. Accontentiamoci, anche perché non è poco. Mio padre, con una espressione minimalisticamente saggia, direbbe: “L’è sémpor mej parlär ‘d päza che pensär ‘d fär dil guéri”.