L’assolutismo aggressivo e il fatalismo difensivo.

In questi giorni mi viene spontanea una ricorrente riflessione, che si attaglia alla surreale situazione pandemica che stiamo vivendo, se proprio si vuole, anche al provocatorio documento femminista contro il papa nominato “misogino dell’anno” ed ai fatti del giorno che tento di commentare a modo mio.

La verità non è monopolio di nessuno, nemmeno del papa, nemmeno a maggior ragione dei politici, dei virologi e men che meno dei giornalisti (specie quelli alla Bruno Vespa). Per me credente, su questa terra la verità consiste in una ricerca alla luce del Vangelo e della propria coscienza (ecco perché ammiro molto Massimo Cacciari in quanto, pur con tutti i suoi difetti e pur non essendo credente, ha il coraggio, a volte fin troppo, di misurarsi in questa ricerca e di incazzarsi con chi pretende di non lasciarglielo fare): non è facile mettere in collegamento queste due fonti. In fin dei conti tutta la nostra sofferenza è riconducibile a questa sfida che troverà compimento nell’aldilà, quando conosceremo la verità tutta intera. In quel momento rivedremo la nostra vita e forse ci sarà da dare la testa contro il muro per tutti gli errori commessi. Diremo: “Era tutto così facile…”.

No, non è facile, ma bisogna sforzarsi di fare questa difficile sintesi. Sto facendo della filosofia spicciola e della religione a mio uso e consumo. Gira e rigira bisogna tornare, senza integralismi di sorta, al Vangelo. Mettiamola così! Ricordo come don Gallo, a colloquio inquisitorio con un alto prelato, di fronte alle contestazioni sul suo comportamento trasgressivo, disse: “Cerco soltanto di applicare il Vangelo…”. Al che il curiale perbenista rispose spazientito: “Se la metti su questo piano…”. “E su quale piano la dovrei mettere?” concluse don Gallo.

Per alleggerire il discorso, per sopravvivere alle psico-torture più mediatiche che scientifiche, più allarmistiche che realistiche, più gattopardesche che rivoluzionarie, forse un po’ di (in)sano fatalismo non guasterebbe. Vado in prestito da mio padre, che rischiava di scantonare addirittura nel cinismo.

In materia di lotta alla corruzione diceva con malcelato sarcasmo: «Bizoggna butär in tazér parchè a s’ris’cia ‘d mandär in galera dal comèss fin al sìndich, tutti invisciè…». Se volete, una sorta di versione da osteria della visione affaristico-massonica della nostra società.

Riguardo ai problemi igienici affermava sconsolatamente: “Se vón l’andiss a veddor cò sucéda in cuzén’na, al n’andriss pu a magnär in tratorìa”. Mi sovviene questa battuta quando sento parlare di blitz dei Nas nei ristoranti. Ci sarebbe forse paradossalmente da preoccuparsi più per la sporcizia che regna in certe cucine che del contagio virale in sala da pranzo. Di green pass ce ne vorrebbero parecchi: uno scambio alla pari, una vera e propria inflazione…

Di fronte agli insistenti messaggi statistici sulla morte di un bambino per fame ad ogni nostro respiro, si chiedeva: «E mi alóra co’ dovrissja fär? Lasär lì ‘d tirär al fiè?». Lo diceva forse anche per mettere fine ai pietismi di maniera che non servono a nulla e vanno molto di moda, anche a livello pubblicitario.

In materia sanitaria osservava con rassegnazione: “Se von al léziss il cartèn’ni al ne toriss pu ‘d medzèn’ni”. Tutti i farmaci hanno tali e tante controindicazioni da mettere i brividi e forse ci ammaliamo di più per gli effetti indesiderati dei medicinali che a causa delle malattie. Il discorso assai poco scientifico, ma molto realistico vale naturalmente anche per i vaccini, figuriamoci per quello anti-covid sperimentato “alla viva gli immunologi e le case farmaceutiche”. Mio padre si sarebbe chiesto: “Ani miga fat un po’ tròp a la zvèlta a catär al vachén? Prést e bén i stan mäl insèmma”.

Esiste un allarmante studio diffuso in questi giorni e ripreso da alcuni organi di stampa. Nel lungo e documentato articolo si vuole offrire «una stima realistica degli effetti avversi dei vaccini anti-Covid e del rapporto rischi-benefici». I risultati sono terribili, perché emerge che, dopo aver inoculato dosi di Pfizer, Moderna o Astrazeneca, ci sono stati molti più morti rispetto a quelli registrati con altri vaccini. Non è una ricerca sottoposta a revisione tra pari, né è stata pubblicata da riviste scientifiche, ma un articolo nel quale, pur sottolineando «l’enorme importanza della vaccinazione contro il Covid degli over 50 e dei soggetti fragili», tra le altre cose «viene tentata una stima del rapporto rischi-benefici, che pare spostare il punto in cui essi si bilanciano verso i 40-45 anni di età», e in cui si definisce «la vaccinazione dei giovani poco sensata» e quella dei bambini «poco responsabile».

Sono questioni non da poco. Ma il dato centrale dell’articolo, tuttavia, è questo: se la mortalità da vaccini antinfluenzali è stata di circa 0,26 morti per milione di dosi, per i vaccini anti-Covid, Pfizer e Moderna, si sono registrati 22,7 morti per milione di dosi somministrateI conti sono stati effettuati attingendo al grande database americano del Vaers, che – si legge – «da oltre 30 anni raccoglie le segnalazioni di effetti avversi relative a tutti i vaccini somministrati».

Nelle scorse settimane su ‘Query’, la rivista ufficiale del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze (Cicap), è stato pubblicato un articolo dal titolo emblematico: «Vaers: come un database del governo degli Stati Uniti alimenta una pericolosa disinformazione sui vaccini».  Nel testo, Graziella Morace scrive: «Si può trovare di tutto, anche segnalazioni prive di un collegamento plausibile con un vaccino, come casi di persone morte in un incidente stradale mentre tornavano a casa dopo essere state vaccinate», e si cita il caso dell’anestesista James Laidler, che nel 2004 «per dimostrare che chiunque può scrivere ciò che vuole sul Vaers e mostrare quindi la necessità di cautela nell’interpretazione dei dati da parte dei non esperti, pubblicò una segnalazione in cui affermava che il vaccino antinfluenzale lo aveva trasformato nell’incredibile Hulk».

Sembra di assistere ad una commedia pirandelliana. Ragion per cui il quotidiano Avvenire, a cui ho attinto, conclude con sagge parole: “Stiamo attraversando un momento delicato della pandemia. Abbiamo costantemente bisogno di capire di più, di capire meglio e di capire bene, per raggiungere il prossimo approdo e prepararci a un’altra partenza. E per questo occorre umiltà, ed essere anche pronti ad accettare verità scomode e inattese. Di certo, per difenderci dal Covid, non servirà l’aiuto dell’incredibile Hulk, ma di tanta buona ricerca sì, di ottima ricerca. E di nessun fuorviante sensazionalismo”.

Se devo essere sincero, forse per solidarietà famigliare, preferisco l’ironia graffiante di mio padre: era più chiaro quel che voleva dire a costo di essere impietoso. Amava Pirandello, ma non lo imitava affatto nella vita. Il teatro e la vita non son la stessa cosa!