Torino, dalla sharia alla grande bellezza: cinque ragazze afghane per la prima volta al museo del cinema. Gli sguardi sorpresi davanti alle stelle del grande schermo. «Ora respiriamo libertà» Due mesi fa erano ammassate all’aeroporto di Kabul per sfuggire alla sharia e trovare la salvezza a bordo di un Boeing 767 dell’aeronautica militare italiana. Ora sgranano gli occhi di fronte allo spogliarello di Sophia Loren sotto lo sguardo complice di Marcello Mastroianni in «Ieri, oggi, domani». Immerse nella grande bellezza, i burqa e i kalashnikov dei talebani sembrano lontani anni luce: «Finalmente possiamo respirare la libertà». Così Filippo Femia dalle colonne de La Stampa descrive il bagno di modernità (?) di alcune rifugiate afghane.
Abbiamo sempre bisogno di simboleggiare i problemi, senza preoccuparci di ridurli a mere contrapposizioni teatrali, senza evitare la banalizzazione su cui scatenare infiniti, vuoti e mercantili dibattiti. Forse tutto serve a (non) affrontare i problemi veri. Tutti vediamo con enorme disprezzo la deriva sessuofobica, maschilista e ipocrita dell’Islam nei confronti della donna. A volte però vengo preso dal provocatorio e atroce dubbio, che fa arrabbiare tutti e che, proprio per il mio innato gusto dissacrante di andare controcorrente, voglio riportare, senza tanti fronzoli e distinguo: siamo così sicuri che siano più emancipate le donne occidentali che esibiscono il loro corpo al limite dell’autocompiaciuta indecenza a confronto delle donne islamiche che nascondono il proprio corpo al limite dell’auto-colpevolizzante rigore etico-religioso?
Attenzione a non buttare nell’acqua spogliarellistica le donne afghane, pensando che così imparino immediatamente a nuotare nella nostra presunta civiltà. Potrebbero affogare nel mare di ritorno della donna oggetto: da bambole dell’oscurantismo a bambole del consumismo. Come sempre gli estremi si toccano.
Non credo sia un discorso moralistico da lasciare rigorosamente alla coscienza individuale. Dal tabù del sesso alla indigestione del sesso il passo può essere breve. Alle donne afghane facciamo vedere le due facce della medaglia, non illudiamole con l’immagine di una società del libero amore, mostriamo loro anche la nostra società del libero disamore e disvalore.
Dall’altra parte non dimentichiamo il problema della convivenza della nostra società con l’Islam al di là delle estremizzazioni talebane. Sostiene Vito Mancuso: «L’imam di Firenze ha accostato le suore cristiane alle donne musulmane, ma ha dimenticato che le suore rappresentano un gruppo particolare di donne che ha liberamente scelto di vivere in povertà, castità e obbedienza, e il cui abbigliamento richiama il loro stile di vita alternativo. Sono ben lontane però dal rappresentare tutte le donne occidentali, le quali hanno altrettanto liberamente orientato se stesse secondo ben altri stili di vita e di abbigliamento. L’islam, che non ha suore, in un certo senso tende a rendere un po’ suore tutte le donne che vi aderiscono. Il che però non è compatibile con l’idea di donna cui l’Occidente è giunto. E di questo i musulmani e le musulmane che vogliono vivervi dovrebbero, a mio avviso, prendere atto».
Mi sembra resti aperta nell’Islam (non solo quello radicale o radicaleggiante), grande come una casa, la questione femminile che considero centrale. Non è certo di buon auspicio che i musulmani, anziché affrontarla con serietà e umiltà, facciano una camaleontica difesa d’ufficio delle loro usanze pseudo-religiose. Inventando magari assurde mode da “ultima spiaggia”.
La questione femminile resta apertissima anche nel nostro vivere civile (?). Non è consolante infatti prendere atto che nella società dove alle donne non vietiamo di indossare abiti succinti, di giocare a pallavolo, di andare all’università etc. etc., continuiamo tuttavia imperterriti a considerare le donne territorio di caccia maschilista con tanto di quotidiana carneficina. E lasciamo perdere il discorso della parità, quella vera, di là da venire.
Non facciamo quindi i piacioni con le donne afghane togliendole giustamente dalla padella talebana per cuocerle poi ingiustamente sulla brace del maschilismo all’occidentale, forse peggiore di quello islamico perché più subdolo.